"Incontrare qualcuno che faccia per te tutto quello che tu hai sempre fatto per gli altri."
Queste parole erano come un tarlo nella sua mente, scavavano nel profondo mentre Amanda cercava di darle il giusto significato, le cose male interpretate potevano essere molto dolorose e lei l'aveva capito in questi ultimi mesi, aveva capito che le cose che non dici e le cose che gli altri dicono possono cambiare l'intero corso della tua esistenza, in modo irreparabile a volte.
E così adesso cercava di guardare tutto con questi nuovi occhi che aveva e tutto le sembrava enormemente diverso come se fin'ora avesse visto la sua vita da una prospettiva limitata mentre ora si ritrovava a guardarla dall'alto: ripensava ad una bambina scontrosa, a una ragazzina ribelle, ad una donna indipendente e forte e vedeva soltanto una bambina che soffriva, un' adolescente che gridava quel dolore, una donna che fingeva di non averlo mai provato perchè fingere era la cosa che aveva imparato meglio in tutti questi anni, perchè fingere era per lei l'unico modo per fuggire da tutto quel dolore.
In questa nuova luce aveva imparato a vedere anche lui diversamente, aveva capito perchè, nonostante il buon senso, lui era così difficile da dimenticare, non gli dava più colpe, non ne dava neppure a se stessa ormai, non c'erano peccati da espiare, non c'erano errori, anzi, era stato tutto come doveva essere: loro si erano trovati perchè lei potesse capire, non sapeva se per lui era stata la stessa cosa, non sapeva se anche lui aveva imparato qualcosa e probabilmente non avrebbe dovuto essere importante questo aspetto per lei, anche se purtroppo lo era. Di una cosa però era certa, che tutto questo dolore era servito a qualcosa, che quei pochi giorni passati insieme, quelle lunghe telefonate erano bastate, non serviva altro perchè se fosse servito sarebbe stato, niente in questa vita accade per caso.
Dire addio a lui significava in qualche modo dire addio alla vecchia Amanda, quella che si prendeva cura degli altri, quella che scavava nell'animo delle persone per trovare qualcosa di bello, di interessante, qualcosa che magari nessuno vedeva.
Possono cambiare le persone? Certo che possono, ora sapeva che era possibile, ma cambiare richiede un grande sforzo, cambiare è molto doloroso, ecco perchè la maggiornza degli esseri umani rimane sempre uguale, ecco perchè cambiare fa sempre così tanta paura, è più rassicurante rimanere quello che si è, ci vuole meno fatica, meno tempo, ma molto, tantissimo dolore.
...sono le passioni che ti salvano quando tutto intorno sembra crollare, solo attraverso loro sei vivo...
giovedì 12 maggio 2011
martedì 29 marzo 2011
Di sole e di pioggia. Angela Barile.
"...poi non è che la vita vada come tu te la immagini.
Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.
Così...Io non è che volevo essere felice, questo no.
Volevo...Salvarmi, ecco: salvarmi.
Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri.
Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti.
No. Sono i desideri che salvano.
Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai.
Però troppo tardi l'ho capito.
Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male.
E' lì che salta tutto, non c'è verso di scappare, più ti agiti, più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci.
Non se ne esce.
Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare.
Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non te lo puoi nemmeno immaginare..."
Oceano mare ( Alessandro Baricco)
Ti guardo dormire in questa notte che sembra non finire mai, hai la faccia tranquilla di un bambino che sta sognando, quanti mondi diversi ci sono tra me e te!
Guardo le tue labbra un pò dischiuse, le tue palpebre chiuse e immobili...
La mia è una notte di paura e di rabbia: paura per quello che succederà, rabbia perchè non riesco a viverti per quello che sei, un attimo intenso e inaspettato, un momento solo mio e tuo.
Ti copri parzialmente il viso con un lembo del cuscino, arricci le labbra in una smorfia rilassata, sei così vicino a me stanotte eppure ti sento lontano, molto più lontano di quando sei stato lontano per davvero, o forse, molto probabilmente, sono io a non esserci, tu sei con me e penso a quando non ci sarai più, che cosa sciocca sa essere a volte la mente umana!
Ti ho desiderato tanto nei nostri giorni e nelle nostre notti lontane, a volte mi mancava il fiato al sol pensiero del tuo corpo che si muoveva da qualche parte, improvvisamente ti sentivo accanto come se davvero ci fossi, ed ora che siamo insieme in questa città piovosa, ora che tu sei qui accanto a me, con il tuo respiro che si confonde col mio, in questa notte disperata, ora è più forte la paura del desiderio.
Fuori piove, il rumore della pioggia interrompe questa notte silenziosa, tu allunghi una mano e io avrei voglia di accarezzarla, ma mi trattengo, non voglio svegliarti, voglio che questa notte non finisca mai.
Ridevi sempre di me quando ti dicevo - ti prego non farmi addormentare- non mi capivi...e come avresti potuto?
Ridevi sempre di me quando ti dicevo - ti prego non farmi addormentare- non mi capivi...e come avresti potuto?
Ho vissuto ogni attimo che passavamo insieme con la paura che un altro non ce ne sarebbe stato, ogni momento di non coscienza per me era un momento sprecato, un momento che toglievamo a quello che forse poteva essere l'ultimo.
Ed ora eccoti accanto a me, fuori credo cominci già ad albeggiare, ha smesso di piovere, un raggio di sole filtra dalle persiane e illumina leggermente la stanza, tu ti muovi ancora addormentato, e proprio in quel momento mi tornano alla mente alcune frasi di un libro che ho letto un pò di tempo fa:
" Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in modo strano, inesorabile, e tu ti accorgi, che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. E' lì che salta tutto, non c'è verso di scappare, più ti agiti, più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli, più ti ferisci. "
Queste parole mi svegliano da una notte di non sonno, mi risuonano nella mente come se una parte dentro di me avesse risposto a tutte le domande di queste ultime settimane, eccole che si insinuano nelle cellule del mio corpo pian piano come un orgasmo lungo e leggero, alleggeriscono i piedi, le gambe, i fianchi, lo stomaco, fino a d arrivare al cuore, fino a sentire che tutto è più leggero, che fuori ora c'è il sole.
MI avvicino lentamente a te, e ti sveglio.
Il mio tempo. Angela Barile.
Elena si era chiesta spesso quanto tempo era passato da quel giorno. Certo che sapeva contare i giorni, le settimane, i mesi, ma non era al tempo cronologico a cui Elena alludeva: c'è un tempo che non ha niente a che fare con le ore e i minuti, c'è un tempo che tu solo riesci a riconoscere, qualcosa che scorre nelle tue vene, silenzioso e impetuoso, a volte come un uragano, a volte come un esile ruscello, è quello il tempo che ti guida nelle tue scelte, è quello il tempo che ti soccorre o ti devasta nel giro di un attimo.
Elena l'aveva sentito arrestarsi, accelerare, decelerare, aveva visto un attimo trasformarsi in un anno, ore diventare dei secondi in corsa, si era bagnata con l'uragano, rinfrescata nell'esile ruscello, eppure quel tempo Elena non riusciva a calcolarlo, nè il tempo della gioia, nè quello del dolore.
E' strano come dopo un pò i fatti non contino più tanto, contano nel tempo cronologico, non certo nel tempo del tuo cuore, lì abitano solo le emozioni e sono loro a trasformare i tuoi ricordi, a farti dubitare che certe cose siano successe oppure no.
Per Elena il suo tempo era stato lunghissimo e infinitamente lento, l'aveva sentito scorrere nelle vene come fosse stato piombo, il tempo del dolore è sempre terribilmente pesante, è pieno di dossi faticosi da attraversare, di strade scivolose e gelide come ghiaccio, di laghi infuocati come la lava di un vulcano.
In questo tempo non esisteva Lui, il suo uomo, ma solo quello che aveva provato, solo certe parole dette nei fremiti della passione, quelle taciute nei silenzi dopo l'amore, esisteva una città rumorosa e un paesino in collina, il ticchettio della pioggia e il sole accecante dell'estate e infine, tanto tanto silenzio come se niente di ciò fosse mai stato.
Elena era lì a cercare di vivere come se niente di importante fosse accaduto perchè quello che ricordava o credeva di ricordare, dopo tutto, era importante solo per lei.
Quanto conta che quello che è stato sia riconusciuto anche dagli altri? Per lei contava, per lei la condivisione, la comprensione sarebbero valse a qualcosa,nella solitudine continuava solo a sentirsi pazza, o forse lo era, magari solo in quel tempo magico, quel tempo solo suo, che segretamente scorreva come linfa nel suo corpo.
I bambini la chiamavano dall'altra stanza, li sentiva litigare e sentiva Matteo, il più piccolo, frignare con insistenza. Eccolo il tempo cronologico che la chiamava, in quel tempo Elena smetteva di essere una donna innamorata, e ritornava ad essere solo una madre, era in quel tempo che Elena si rifugiava per rimanere coi piedi per terra, il tempo di chi combatte ogni giorno tra quello che è e quello che sarebbe potuto essere, nell'infinita dicotomia che è la realtà di ogni essere umano.
" Eccomi, arrivo " rispose la mamma.tenza.
Elena l'aveva sentito arrestarsi, accelerare, decelerare, aveva visto un attimo trasformarsi in un anno, ore diventare dei secondi in corsa, si era bagnata con l'uragano, rinfrescata nell'esile ruscello, eppure quel tempo Elena non riusciva a calcolarlo, nè il tempo della gioia, nè quello del dolore.
E' strano come dopo un pò i fatti non contino più tanto, contano nel tempo cronologico, non certo nel tempo del tuo cuore, lì abitano solo le emozioni e sono loro a trasformare i tuoi ricordi, a farti dubitare che certe cose siano successe oppure no.
Per Elena il suo tempo era stato lunghissimo e infinitamente lento, l'aveva sentito scorrere nelle vene come fosse stato piombo, il tempo del dolore è sempre terribilmente pesante, è pieno di dossi faticosi da attraversare, di strade scivolose e gelide come ghiaccio, di laghi infuocati come la lava di un vulcano.
In questo tempo non esisteva Lui, il suo uomo, ma solo quello che aveva provato, solo certe parole dette nei fremiti della passione, quelle taciute nei silenzi dopo l'amore, esisteva una città rumorosa e un paesino in collina, il ticchettio della pioggia e il sole accecante dell'estate e infine, tanto tanto silenzio come se niente di ciò fosse mai stato.
Elena era lì a cercare di vivere come se niente di importante fosse accaduto perchè quello che ricordava o credeva di ricordare, dopo tutto, era importante solo per lei.
Quanto conta che quello che è stato sia riconusciuto anche dagli altri? Per lei contava, per lei la condivisione, la comprensione sarebbero valse a qualcosa,nella solitudine continuava solo a sentirsi pazza, o forse lo era, magari solo in quel tempo magico, quel tempo solo suo, che segretamente scorreva come linfa nel suo corpo.
I bambini la chiamavano dall'altra stanza, li sentiva litigare e sentiva Matteo, il più piccolo, frignare con insistenza. Eccolo il tempo cronologico che la chiamava, in quel tempo Elena smetteva di essere una donna innamorata, e ritornava ad essere solo una madre, era in quel tempo che Elena si rifugiava per rimanere coi piedi per terra, il tempo di chi combatte ogni giorno tra quello che è e quello che sarebbe potuto essere, nell'infinita dicotomia che è la realtà di ogni essere umano.
" Eccomi, arrivo " rispose la mamma.tenza.
Un posto in cui tornare. Angela Barile.
"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". C.P. Quando ero piccola per arrivare a Volturara ci si doveva inerpicare per una strada di montagna piena di curve e dossi, mia madre se ne lamentava sempre, diceva che le faceva male lo stomaco a farla, per me quella strada, invece, era una specie di via verso il paradiso. Ai miei occhi di bambina quei prati verdi circondati da montagne erano quanto più si potesse avvicinare all'idea che avevo del " cielo ", potevo giocare per strada insieme agli altri bambini, arrampicarmi sugli alberi per raccogliere le ciliegie, esplorare in bici le campagne e camminare lungo le vie senza tenere la mano a nessuno. Nonostante a Volturara non ci avessi mai vissuto, era quello il mio paese, era quella che sentivo casa mia; a distanza di anni, dopo molti posti e tante città cambiate, girare quella curva, costeggiare "la spineta", e attraversare la piccola strada principale, é per me motivo di gioia infinita, consapevole che nel mio cuore nessun posto sarà mai più bello di quello. Ultimamente mi accade spesso di pensarci, di pensare al verde oliva delle sue montagne, a quel cielo blu macchiato dal bianco delle nuvole, al lago che appare e scompare durante le stagioni dell'anno; la nostalgia di quel piccolo paesino è una costante nella mia vita, ogni volta che sento il bisogno di casa mi arriva alle narici quell'odore acre di terra e fumo di camino, rivedo le vecchiette con il fazzoletto nero in testa che ti guardano curiose e ti salutano perchè, anche se non hanno la più pallida idea di chi tu sia, dopotutto sei lì, per quelle strade, e sicuramente sarai figlia o nipote di qualcuno che loro conoscono; e poi ci sono i suoni, i suoni delle voci che si rincorrono, delle mucche e delle pecore che d'estate pascolano nei prati, le voci dei bambini che giocano e urlano...quanto urlano! E poi quella sensazione di paralisi del tempo, come se certe cose lì dovessero rimanere uguali nei secoli dei secoli, la sicurezza che anche se la tua vita è un'altalena di gente e di posti, ogni volta che potrai, ogni volta che vorrai, ci sarà sempre un posto da raggiungere, un posto ai piedi di un castello diroccato che ti aspetta, qualcosa, qualcuno da cui poter tornare quando ti sembra che la tua vita corra troppo veloce. |
mercoledì 17 novembre 2010
XY. Sandro Veronesi.
Non so perchè, leggendo questo libro, mi è tornato alla mente il romanzo di Gramellini, " L'ultima riga delle favole ", e, in particolare, alcune parole dello stesso scrittore " Ci sono tanti libri che raccontano il male...e sanno raccontarlo bene...io ho provato a scrivere un romanzo che parli del bene...".
Ecco, quando io ho letto "XY", ho pensato a queste parole, ai tanti romanzi che raccontano bene del male, e il libro di Veronesi appartiene certamente a questa schiera. Eppure la catalogazione non può essere così banale, perchè questa non è per niente una storia banale e scontata, anzi, credo non mi sia mai capitato di leggere qualcosa del genere.
All'inizio XY assomiglia ad un giallo: le caratteristiche ci sono tutte, Un piccolo paesino sperduto sulle montagne del Trentino, dove una mattina muoiono ben 11 persone, in modo assolutamente inspiegabile e illogico. Ma non è sulla soluzione dei delitti che si impernia il romanzo, quanto sugli effetti deleteri che questa atrocità ha sugli abitanti del piccolo borgo, su come il male possa trasformare completamente la vita delle persone, in un paesino, come quello di San Giuda, dove non arriva neanche la televisione, tanto meno internet; un paese, che fino al momento dei delitti, se di delitti si può parlare, si gestiva in maniera completamente autonoma, praticamente staccato dal resto del mondo.
L'unico a conservare un barlume di lucidità, in tutta questa storia, è il parroco del villaggio, Don Ermete. E' lui che, ad un certo punto, chiede aiuto ad una psicologa, l'altra protagonista del romanzo, Giovanna: entrambi diventano i veri e propri detective di questa strage, coloro che si oppongono con assoluta decisione a quello che l'autorità vuole far passare come un' improbabile atto terroristico.
Ma, man mano che il romanzo va avanti, ci rendiamo conto non solo che una spiegazione ragionevole e logica a questi omicidi non c'è, ma che oltretutto non è importante conoscerla, la cosa fondamentale è imparare a reagire, andare avanti.
Ecco così che, tra improbabili spiegazioni, il romanzo non è più tanto la ricerca dei colpevoli della strage, quanto la scoperta e la rinascita dei due protagonisti, che si mettono a nudo, che mostrano e accettano la parte oscura di se stessi, così come devono necessariamente accettare ed accogliere il male nato da tutta questa storia, perchè non è negando la malvagità che l'essere umano potrà risorgere, ma soltando affrontandola e riuscendo a sopravvivere senza traumi e rimorsi.
Ecco, quando io ho letto "XY", ho pensato a queste parole, ai tanti romanzi che raccontano bene del male, e il libro di Veronesi appartiene certamente a questa schiera. Eppure la catalogazione non può essere così banale, perchè questa non è per niente una storia banale e scontata, anzi, credo non mi sia mai capitato di leggere qualcosa del genere.
All'inizio XY assomiglia ad un giallo: le caratteristiche ci sono tutte, Un piccolo paesino sperduto sulle montagne del Trentino, dove una mattina muoiono ben 11 persone, in modo assolutamente inspiegabile e illogico. Ma non è sulla soluzione dei delitti che si impernia il romanzo, quanto sugli effetti deleteri che questa atrocità ha sugli abitanti del piccolo borgo, su come il male possa trasformare completamente la vita delle persone, in un paesino, come quello di San Giuda, dove non arriva neanche la televisione, tanto meno internet; un paese, che fino al momento dei delitti, se di delitti si può parlare, si gestiva in maniera completamente autonoma, praticamente staccato dal resto del mondo.
L'unico a conservare un barlume di lucidità, in tutta questa storia, è il parroco del villaggio, Don Ermete. E' lui che, ad un certo punto, chiede aiuto ad una psicologa, l'altra protagonista del romanzo, Giovanna: entrambi diventano i veri e propri detective di questa strage, coloro che si oppongono con assoluta decisione a quello che l'autorità vuole far passare come un' improbabile atto terroristico.
Ma, man mano che il romanzo va avanti, ci rendiamo conto non solo che una spiegazione ragionevole e logica a questi omicidi non c'è, ma che oltretutto non è importante conoscerla, la cosa fondamentale è imparare a reagire, andare avanti.
Ecco così che, tra improbabili spiegazioni, il romanzo non è più tanto la ricerca dei colpevoli della strage, quanto la scoperta e la rinascita dei due protagonisti, che si mettono a nudo, che mostrano e accettano la parte oscura di se stessi, così come devono necessariamente accettare ed accogliere il male nato da tutta questa storia, perchè non è negando la malvagità che l'essere umano potrà risorgere, ma soltando affrontandola e riuscendo a sopravvivere senza traumi e rimorsi.
giovedì 4 novembre 2010
Caos calmo. Sandro Veronesi.
Pietro è un uomo realizzato nel suo lavoro con una bella moglie e una figlia di dieci anni.
Tutto il suo mondo sembra, però, crollare, quando, in un giorno d'estate, mentre lui salva una donna in mare, sua moglie muore a casa colta da un'aneurisma.
E' qui che comincia il caos calmo di questa storia, è da qui che Pietro riparte in un modo assolutamente spiazzante e inconsueto. Lui e sua figlia reagiscono a questo dolore senza mostrare la disperazione normalissima per un caso come questo, al caos che vaga dentro di loro entrambi reagiscono con calma sorprendente.
Pietro decide per un periodo di non andare più a lavorare e comincia ad aspettare sua figlia davanti alla sua scuola, rimane lì tutto il tempo che sua figlia è in classe, dapprima chiuso in macchina, poi seduto su una panchina nel parco di fronte.
Ed ecco che la sua posizione, sia fisica che mentale, diventa un vero e proprio crocevia di persone e di storie, da questo nuovo punto di vista Pietro, scopre la parte oscura degli altri. Ognuno, familiari, colleghi,sfoga su di lui, che dovrebbe soffrire e non soffre, il proprio dolore, le proprie meschinità, ed è da qui che il nostro protagonista parte, da un nuovo modo di vedere le cose, e , forse, ci fa riflettere Sandro Veronesi, che la disperazione e la frenesia della nostra società siano solo un modo per non affrontare le cose veramente importanti? A volte basta solo un nuovo punto di vista per uscire da situazioni dolorose: e così Pietro, seduto davanti a quella scuola, con lo sguardo rivolto alla finestra dell'aula di sua figlia, riesce a vedere quello che prima non vedeva, segue il normale corso degli eventi, da solo contiene tutte le storie che gli vengono raccontate, tutti i destini di quella gente, che davanti alla sua apparente calma, sputa su di lui tutto il proprio dolore, tutta la propria rabbia.
Sandro Veronesi, con questo romanzo, ha vinto il premio strega nel 2006, nel 2008 è uscito anche il film ad esso ispirato, film che, peraltro, segue abbastanza fedelmente la storia, con un Nanni Moretti che, secondo me, interpreta Pietro in un modo sublime.
Con questo storia, che parte da una tragedia, da una morte inspiegabile, l'autore ci mostra un nuovo modo di affrontare il dolore senza cadere in facili sentimentalismi, con pagine commoventi e ironiche, con occhi sempre nuovi e capaci di sorprendersi davanti al sorriso di un bambino down oppure davanti allo sguardo seducente della ragazza che passeggia col cane, dandosi la possibilità di fermarsi a conoscere veramente le persone, di accettare inviti da sconosciuti rallentando una volta tanto la giostra vorticosa e altalenante che è la nostra vita.
Tutto il suo mondo sembra, però, crollare, quando, in un giorno d'estate, mentre lui salva una donna in mare, sua moglie muore a casa colta da un'aneurisma.
E' qui che comincia il caos calmo di questa storia, è da qui che Pietro riparte in un modo assolutamente spiazzante e inconsueto. Lui e sua figlia reagiscono a questo dolore senza mostrare la disperazione normalissima per un caso come questo, al caos che vaga dentro di loro entrambi reagiscono con calma sorprendente.
Pietro decide per un periodo di non andare più a lavorare e comincia ad aspettare sua figlia davanti alla sua scuola, rimane lì tutto il tempo che sua figlia è in classe, dapprima chiuso in macchina, poi seduto su una panchina nel parco di fronte.
Ed ecco che la sua posizione, sia fisica che mentale, diventa un vero e proprio crocevia di persone e di storie, da questo nuovo punto di vista Pietro, scopre la parte oscura degli altri. Ognuno, familiari, colleghi,sfoga su di lui, che dovrebbe soffrire e non soffre, il proprio dolore, le proprie meschinità, ed è da qui che il nostro protagonista parte, da un nuovo modo di vedere le cose, e , forse, ci fa riflettere Sandro Veronesi, che la disperazione e la frenesia della nostra società siano solo un modo per non affrontare le cose veramente importanti? A volte basta solo un nuovo punto di vista per uscire da situazioni dolorose: e così Pietro, seduto davanti a quella scuola, con lo sguardo rivolto alla finestra dell'aula di sua figlia, riesce a vedere quello che prima non vedeva, segue il normale corso degli eventi, da solo contiene tutte le storie che gli vengono raccontate, tutti i destini di quella gente, che davanti alla sua apparente calma, sputa su di lui tutto il proprio dolore, tutta la propria rabbia.
Sandro Veronesi, con questo romanzo, ha vinto il premio strega nel 2006, nel 2008 è uscito anche il film ad esso ispirato, film che, peraltro, segue abbastanza fedelmente la storia, con un Nanni Moretti che, secondo me, interpreta Pietro in un modo sublime.
Con questo storia, che parte da una tragedia, da una morte inspiegabile, l'autore ci mostra un nuovo modo di affrontare il dolore senza cadere in facili sentimentalismi, con pagine commoventi e ironiche, con occhi sempre nuovi e capaci di sorprendersi davanti al sorriso di un bambino down oppure davanti allo sguardo seducente della ragazza che passeggia col cane, dandosi la possibilità di fermarsi a conoscere veramente le persone, di accettare inviti da sconosciuti rallentando una volta tanto la giostra vorticosa e altalenante che è la nostra vita.
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