...sono le passioni che ti salvano quando tutto intorno sembra crollare, solo attraverso loro sei vivo...
giovedì 26 luglio 2012
Il tempo dei bilanci e delle decisioni.
Ricordo ancora, come fosse ieri, il mio primo treno per Firenze, ricordo il tepore anomalo di quel febbraio del 2007. Le valigie strabordavano della nuova me stessa che mi portavo dietro, un'Angela fatta di sogni, di dolori più o meno rimarginati, della volontà di poter fare quello che aveva sempre desiderato: andare via. Sono cresciuta con la strana consapevolezza di non vedere il futuro nel posto in cui ero nata e non soltanto lavorativamente ma anche e, soprattutto, emozionalmente. Ho sempre invidiato le persone che amavano la propria città di origine, io, personalmente non l'ho amata mai, ogni giorno della mia esistenza era costellato da questo non amore, senza che ci fosse un valido motivo.
Firenze per me era il raggiungimento di questo mio sogno, un punto di arrivo. Avevo 28 anni, mi sembravano pochi, oggi so che erano già troppi, che forse avrei dovuto laurearmi più in fretta, decidere più in fretta, ma è facile tirare le fila con la mia nuova consapevolezza, all'epoca ero una ragazzina o almeno così mi sentivo.
Firenze è stata il mio banco di prova, ha rappresentato lo sradicamento fisico di qualcosa che prima era solo una sensazione; ricordo i primi mesi, quasi su di giri, felice di essere libera e artefice della mia vita, uscivo tutte le sere, presa da una foga e un'entusiasmo incommensurabili, come sotto l'effetto di una droga, ho accettato il primo lavoro che mi veniva offerto, l'indipendenza mi sembrava il giusto prezzo da pagare alla rinuncia dei miei sogni: si, volevo scrivere, volevo lavorare con i libri, ma non c'era tempo, dovevo guadagnare, avere uno stipendio a fine mese.
Per anni mi sono detta che non era più tempo per sognare: già nel 2007 avevo scelto, se fossi rimasta a casa con i miei, forse, avrei potutto provare a fare master, stage, chissà a scrivere un romanzo, ma avevo fatto un'altra scelta e, non era stata avventata, ho sempre deciso tutto nella mia vita valutando bene i pro e i contro, peccato che col tempo le priorità cambino!
Di Firenze salvo le persone che ho conosciuto, meravigliose e accoglienti.
Mi dissero, prima di partire, che i fiorentini non erano granchè simpatici, che erano freddi, quasi aristocratici, io l'ho trovati infinitamente umani seppur molto discreti; ironici e contestatori, figli di una città antica e rispettata, innamorati della propria squadra di calcio, orgogliosi di quel giglio che, che, più di ogni altro, è il simbolo del loro passato e di un'appartenenza che a loro ho sempre invidiato, perchè io non riuscivo a sentirla.
Volevo affondare le mie radici in questo posto, ma in tutti questi anni non ci sono riuscita mai per un secondo, non mi sono mai sentita a casa qui, ho sempre sentito questi luoghi di passaggio, un controsenso se penso alla sensazione che avevo su quel treno che saliva verso nord, eppure eccomi adesso dopo cinque anni e mezzo a dover rivedere tutto daccapo.
C'è la crisi economica in tutto il mondo e io non ho più 28 anni, ho un lavoro stabile, pagato abbastanza bene, sicuro, ma che odio, in maniera profonda e quasi colpevole.
Ma se c'è una cosa che Firenze mi ha insegnato è l'umiltà di accettare che si può cambiare idea, che gli amici non possono sostituire la propria famiglia, che gli amori non arrivano quando dovrebbero, o forse non arrivano proprio perchè non devono, con un uomo accanto non mi sarei riavvicinata alla mia famiglia, alla mia terra, forse sarei rimasta qui, un uomo mi avrebbe dato prova che avevo ragione, che tutto poteva essere sostituito, ma non è stato così.
Ritorno a casa, o almeno mi avvicino perchè la paura di nessuna crisi mondiale può competere con i sorrisi della mia nipotina che a stento sa che esisto, con l'amore della mia famiglia che mi ha sempre assecondata in ogni mia scelta, anche quando la mia decisione mi allontanava da loro. So adesso che devo riappacificarmi con la mia terra e con tutto quello che mi ha permesso di essere quella che sono, qui mi sento una donna a metà, come dice una frase che ho letto un pò di tempo fa, un pianoforte senza i tasti neri, incapace di produrre una melodia completa.
mercoledì 18 luglio 2012
Il vile agguato. Enrico Deaglio.
Rabbia e incredulità, sono queste le sensazioni che mi hanno pervasa nella lettura de "Il vile agguato " di Enrico Deaglio. Già di per sè, l'attentato al giudice Paolo Borsellino crea sgomento, dolore, ma ancora peggio è, se vogliamo, il modo in cui a questa tragedia si è arrivati e come sono state condotte le indagini (indagini?) nei 20 anni seguenti.
Scopro con questo libro, da profana, abbastanza ignorante a proposito, fatti incomprensibili, la cui assurdità è talmente lampante da poter essere notata anche da un bambino, ma non dagli inquirenti, a quanto pare!
Innanzitutto mi colpsice che, abitava in via D'Amelio, un certo Salvatore Vitale , proprietario di un maneggio di Palermo, lo stesso in cui andava a saltare gli ostacoli il piccolo Giuseppe Di Matteo, si, proprio lui, il bambino rapito da Cosa nostra e successivamente ammazzato e sciolto nell'acido, per punire il padre pentito; lo stesso Vitale, a quanto pare, la mattina di quel giorno, aveva fatto allontanare dei bambini che giocavano a pallone vicino alla famosa 126 rossa che, poi, saltò in aria, lui stesso e la sua famiglia quel giorno non si trovavano a Palermo, ma erano andati a fare una gita in campagna.
Via D'Amelio era, inoltre, una zona pericolosissima, strada cieca, difficile da gestire, anche per la grande quantità di automobili parcheggiate,più volte la cosa era stata fatta notare, ma nessuno aveva preso provvedimenti ; tante cose in questa soria vengono ignorate o meglio "tralasciate" prima e dopo l'attentato, la scena del crimine viene immediatamente inquinata, non consentendo rilievi scentifici attendibili, per anni il processo si basa su un colpevole assolutamente non credibile, tale Vincenzo Scarantino, che confessa tutto,e, poi ritratta, riconosciuto innocente nel 2011.
Ancora oggi, a distanza di 20 anni, non si sa chi sia stato ad uccidere Paolo Borsellino, ma questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, siamo in Italia, "il paese felice" dove si preferisce insabbiare, nascondere, non vedere quello che per altri occhi sarebbe decisamente ovvio.
E' un'indagine questa che ti lascia con l'amarezza in bocca, che fa aumentare sfiducia e pessimismo.
La mafia che viene fuori da queste pagine è parte costituente del nostro paese, talmente ramificata e con radici così profonde, da non poter distinguere cosa tocca e cosa risparmia, non ci sono buoni che combattono contro cattivi, o, meglio, in questa guerra, il buono non sa mai chi ha davanti, è una lotta impari, non è più quella tra Stato e Mafia, perchè Stato e Mafia combattono fianco a fianco, sono l'uno parte integrante dell'altra.
La sensazione che ho avuto è che Falcone e Borsellino più in là non potessero andare perchè erano disperatamente soli, senza alcuna protezione, se non la propria scorta, fatta di uomini, di singoli uomini, che credevano realmente in quel che facevano, sapendo di rischiare ogni giorno la vita.
Questa è la storia di due grandi amici, che, sognavano di sconfiggere la Mafia,e, che per questo furono denigrati e uccisi, e, dopo la morte, osannati; persone che, in un altro mondo, sarebbero definite normali, ma, che, nel nostro diventano, eroi.
Scopro con questo libro, da profana, abbastanza ignorante a proposito, fatti incomprensibili, la cui assurdità è talmente lampante da poter essere notata anche da un bambino, ma non dagli inquirenti, a quanto pare!
Innanzitutto mi colpsice che, abitava in via D'Amelio, un certo Salvatore Vitale , proprietario di un maneggio di Palermo, lo stesso in cui andava a saltare gli ostacoli il piccolo Giuseppe Di Matteo, si, proprio lui, il bambino rapito da Cosa nostra e successivamente ammazzato e sciolto nell'acido, per punire il padre pentito; lo stesso Vitale, a quanto pare, la mattina di quel giorno, aveva fatto allontanare dei bambini che giocavano a pallone vicino alla famosa 126 rossa che, poi, saltò in aria, lui stesso e la sua famiglia quel giorno non si trovavano a Palermo, ma erano andati a fare una gita in campagna.
Via D'Amelio era, inoltre, una zona pericolosissima, strada cieca, difficile da gestire, anche per la grande quantità di automobili parcheggiate,più volte la cosa era stata fatta notare, ma nessuno aveva preso provvedimenti ; tante cose in questa soria vengono ignorate o meglio "tralasciate" prima e dopo l'attentato, la scena del crimine viene immediatamente inquinata, non consentendo rilievi scentifici attendibili, per anni il processo si basa su un colpevole assolutamente non credibile, tale Vincenzo Scarantino, che confessa tutto,e, poi ritratta, riconosciuto innocente nel 2011.
Ancora oggi, a distanza di 20 anni, non si sa chi sia stato ad uccidere Paolo Borsellino, ma questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, siamo in Italia, "il paese felice" dove si preferisce insabbiare, nascondere, non vedere quello che per altri occhi sarebbe decisamente ovvio.
E' un'indagine questa che ti lascia con l'amarezza in bocca, che fa aumentare sfiducia e pessimismo.
La mafia che viene fuori da queste pagine è parte costituente del nostro paese, talmente ramificata e con radici così profonde, da non poter distinguere cosa tocca e cosa risparmia, non ci sono buoni che combattono contro cattivi, o, meglio, in questa guerra, il buono non sa mai chi ha davanti, è una lotta impari, non è più quella tra Stato e Mafia, perchè Stato e Mafia combattono fianco a fianco, sono l'uno parte integrante dell'altra.
La sensazione che ho avuto è che Falcone e Borsellino più in là non potessero andare perchè erano disperatamente soli, senza alcuna protezione, se non la propria scorta, fatta di uomini, di singoli uomini, che credevano realmente in quel che facevano, sapendo di rischiare ogni giorno la vita.
Questa è la storia di due grandi amici, che, sognavano di sconfiggere la Mafia,e, che per questo furono denigrati e uccisi, e, dopo la morte, osannati; persone che, in un altro mondo, sarebbero definite normali, ma, che, nel nostro diventano, eroi.
lunedì 9 luglio 2012
La mia arma. Angela Barile.
Ringrazio Dio ogni giorno dell'amore per la lettura che mi ha donato.
Lui sapeva che mi sarebbe tornato utile; mentre io a 4 anni mi innamoravo delle parole lui era lì ad incoraggiarmi- Su Angela, continua così-mi diceva-i libri saranno la tua arma!.
Si, perchè ognuno di noi ne ha una, una capacità che lo aiuterà ad affrontare la vita: c'è chi è dotato di una profonda ironia, chi ha uno spiccato senso artistico, chi una naturale propensione all'egoismo, e, infine, chi, ha un profondo amore per qualcosa.
I libri, in effetti, mi hanno salvata più di una volta: da piccola quasi non me ne rendevo conto, sapevo, tuttavia, che la parola scritta mi apriva un nuovo mondo, era come una porta, che oltrepassavo quando ero triste, non mi sentivo capita, o, semplicemente quando, la realtà non mi bastava.
Tante cose nella vita non avrei potuto superare senza i libri e vi assicuro che non è un'esagearazione!
In un lavoro come il mio i libri mi hanno salvata nelle ore vuote e infinitamente lunghe di questo negozio/prigione, alcuni personaggi mi hanno soccorsa con una parola, una frase, e io ho colto sempre in essi quello che volevo sentirmi dire; alcuni sono stati un colpo di fulmine, altri ho imparato ad amarli pagina dopo pagina, di alcuni mi ha rapita un titolo, di altri l'immagine di una copertina, di altri ancora una citazione letta per caso su internet.
Quando il dolore, in certi giorni, è stato troppo forte, perdermi nelle pagine di un romanzo, è stato l'unico sollievo: arrivavano sempre in mio aiuto come angeli dal cielo, io li cercavo e loro apparivano sul mio cammino, come se fossero stati scritti solo per me tra milioni di esseri umani. Ognuno trova in un libro quello che cerca, libri che per me sono stati meravigliosi potrebbero dire poco o niente a qualcun altro, si arriva alle pagine di un romanzo con il proprio bagaglio, la propria personalità: io, per esempio mi sono sentita un numero primo nel romanzo di Paolo Giordano, orfana in "Fai bei sogni" di Gramellini, ho ritrovato il mio amore immaginato e sognato nelle lettere del romanzo di Grossman "Che tu sia per me il coltello" e potrei elencare un'infinita serie di titoli ancora e, probabilmente, non tutti saranno daccordo con me, molti avranno trovato questi libri noiosi,o, comunque , insignificanti.
Il potere e la magia della lettura è proprio questo, ognuno trova nei libri quello che serve, sono come una lampada di Aladino da accarezzare, un vaso di Pandora da aprire, dentro quelle pagine ci sei tu, innanzitutto, non una semplice storia, c'è quello che vuoi che ci sia.
So che posso sentire tutto questo solo perchè li amo, so che sembrerò una visionaria per chi legge poco o non legge affatto, ma chi mi conosce, potrà capire, anche se non condividere, queste parole con me.
Dopo tutto la lettura è la "mia " arma, ognuno, leggendo queste parole, forse, troverà la sua.
venerdì 22 giugno 2012
Ritorno a casa. Angela Barile.
Ho passato tutta la mia vita a scappare, ho sempre sentito una non-appartenenza in quello che mi circondava, mi chiedevo, a volte, da dove ero venuta fuori io, mentre guardavo il resto della mia famiglia: avevo, è vero, lo sguardo di mia madre, le mani e i piedi di mio padre, i modi di fare e il tono di voce delle mie zie, eppure mi sentivo altra , come se a loro non potessi appartenere.
Ho deciso, quando ero una bambina, che sarei andata via, perchè doveva pur esistere da qualche parte, qualcosa in cui mi potessi riconoscere, nel frattempo mi estraniavo sempre di più da tutta la mia famiglia, se una differenza sentivo, la accentuavo, come fosse un segno inequivocabile, come se tutti dovessero vedere che io ero fatta di una materia diversa, nè meglio nè peggio, semplicemente ero un'altra cosa.
Ero fatta di parole, innanzitutto; soprattutto di quelle che tacevo, fatta dei libri che leggevo, delle storie che inventavo, per anni ho vissuto davvero solo in quello che non esisteva, mentre recitavo una vita normale, sperando, ingenuamente, che poi, un giorno, lontana da tutto e da tutti, sarei stata semplicemente quella che ero.
E così, quando ho potuto, sono andata via. Col senno di adesso mi chiedo perchè non sia mai fuggita davvero lontano, insomma avrei potuto andare dove volevo, nessuno me lo avrebbe vietato, la mia famiglia mi avrebbe sicuramente aiutata, eppure il posto più lontano dove sono riuscita ad arrivare è questa città di mezzo, la città, che per chi viene dal Sud, separa in qualche modo una piccola da una grande distanza, sono finita in una città di fiume, anche se avrei voluto una città di mare, in una città a misura d'uomo, mentre avrei voluto una metropoli.
Non ho mai preso decisioni avventate nella mia vita, ho sempre seguito princìpi di cui mi fidavo ciecamente, peccato fossero ancora soltanto i princìpi di un'adolescente ribelle!
Eppure Firenze è stata il luogo in cui mi sono ritrovata: abbastanza lontana da ciò che mi era familiare, ho dovuto reinventarmi, valutare daccapo tutto ciò che mi aveva portata fin lì. Lontana da casa, dalla mia famiglia, dalle mie montagne, dal mio mare, ho capito che non potevo sostituire niente e nessuno, ho capito che, lo vogliamo oppure no, i luoghi e le persone dalle quali nasciamo sono la nostra essenza più profonda, sono il materiale che ci portiamo dietro per poter diventare ciò che siamo.
Staccarmi da loro mi è servito, ma solo per capire che a loro volevo tornare.
Mia madre mi ha raccontato che quando sono nata, durante il parto, mentre lei spingeva con tutte le sue forze per mettermi al mondo, io, caparbia, ad ogni spinta, risalivo su. Ho fatto la stessa cosa anche dopo: testarda, ho rifiutato quello che era inevitabile: un legame che c'era nelle cellule del mio corpo, che si rigenerava di continuo e che nessuna lontananza poteva cancellare.
Non so dove andrò adesso, non so cosa farò, per ora respiro profondamente, come quando sono nata la prima volta.
Ricomincio da qui, per morire e rinascere mille volte ancora.
Ho deciso, quando ero una bambina, che sarei andata via, perchè doveva pur esistere da qualche parte, qualcosa in cui mi potessi riconoscere, nel frattempo mi estraniavo sempre di più da tutta la mia famiglia, se una differenza sentivo, la accentuavo, come fosse un segno inequivocabile, come se tutti dovessero vedere che io ero fatta di una materia diversa, nè meglio nè peggio, semplicemente ero un'altra cosa.
Ero fatta di parole, innanzitutto; soprattutto di quelle che tacevo, fatta dei libri che leggevo, delle storie che inventavo, per anni ho vissuto davvero solo in quello che non esisteva, mentre recitavo una vita normale, sperando, ingenuamente, che poi, un giorno, lontana da tutto e da tutti, sarei stata semplicemente quella che ero.
E così, quando ho potuto, sono andata via. Col senno di adesso mi chiedo perchè non sia mai fuggita davvero lontano, insomma avrei potuto andare dove volevo, nessuno me lo avrebbe vietato, la mia famiglia mi avrebbe sicuramente aiutata, eppure il posto più lontano dove sono riuscita ad arrivare è questa città di mezzo, la città, che per chi viene dal Sud, separa in qualche modo una piccola da una grande distanza, sono finita in una città di fiume, anche se avrei voluto una città di mare, in una città a misura d'uomo, mentre avrei voluto una metropoli.
Non ho mai preso decisioni avventate nella mia vita, ho sempre seguito princìpi di cui mi fidavo ciecamente, peccato fossero ancora soltanto i princìpi di un'adolescente ribelle!
Eppure Firenze è stata il luogo in cui mi sono ritrovata: abbastanza lontana da ciò che mi era familiare, ho dovuto reinventarmi, valutare daccapo tutto ciò che mi aveva portata fin lì. Lontana da casa, dalla mia famiglia, dalle mie montagne, dal mio mare, ho capito che non potevo sostituire niente e nessuno, ho capito che, lo vogliamo oppure no, i luoghi e le persone dalle quali nasciamo sono la nostra essenza più profonda, sono il materiale che ci portiamo dietro per poter diventare ciò che siamo.
Staccarmi da loro mi è servito, ma solo per capire che a loro volevo tornare.
Mia madre mi ha raccontato che quando sono nata, durante il parto, mentre lei spingeva con tutte le sue forze per mettermi al mondo, io, caparbia, ad ogni spinta, risalivo su. Ho fatto la stessa cosa anche dopo: testarda, ho rifiutato quello che era inevitabile: un legame che c'era nelle cellule del mio corpo, che si rigenerava di continuo e che nessuna lontananza poteva cancellare.
Non so dove andrò adesso, non so cosa farò, per ora respiro profondamente, come quando sono nata la prima volta.
Ricomincio da qui, per morire e rinascere mille volte ancora.
mercoledì 6 giugno 2012
Il bacio di Venere e Sole. Angela Barile.
Oggi, 6 Giugno 2012 Venere e Sole si incontrano, un evento astrologico eccezionale avvenuto otto anni fa e che accadrà nuovamente tra 105 anni.
Ora, per chi non lo sappia, io sono una grande appassionata di astrologia e il fatto che questo "bacio" tra la stella e il pianeta più evocativi dello zodiaco avvenga mentre soggiornano nel mio segno zodiacale, devo dire, mi affascina moltissimo.
Quisquilie! Diranno gli scettici, eppure io questo transito lo sento. Sarà che tutto intorno a me sta cambiando velocemente, sarà che io mi sento una persona nuova, sarà che ho addosso tanta energia capace di spostare montagne. Sembro ferma, eppure mi muovo; per la prima volta nella mia vita non mi accade il contrario, per la prima volta nella mia vita sono al centro del mio universo e ridimensiono gli altri.
Mi sento come ci si può sentire nell'occhio del ciclone, in quei secondi che rappresentano una calma apparente, in quei secondi che sono il preludio di una rivolta devastante.
La rivolta c'è nel mio eterno andare, nel bastare a me stessa, nel cessare di aspettare.
La rivolta sono io che mi muovo leggera, una piuma che si fa trasportare dal vento, ma che non è alla sua mercè. Bisogna affidarci a noi stessi ogni tanto, a quella parte più profonda e più antica che ci portiamo dentro, lei sa sempre quello che c'è da fare!
Ecco la mia rivoluzione, ecco il mio transito personale.
Ora, per chi non lo sappia, io sono una grande appassionata di astrologia e il fatto che questo "bacio" tra la stella e il pianeta più evocativi dello zodiaco avvenga mentre soggiornano nel mio segno zodiacale, devo dire, mi affascina moltissimo.
Quisquilie! Diranno gli scettici, eppure io questo transito lo sento. Sarà che tutto intorno a me sta cambiando velocemente, sarà che io mi sento una persona nuova, sarà che ho addosso tanta energia capace di spostare montagne. Sembro ferma, eppure mi muovo; per la prima volta nella mia vita non mi accade il contrario, per la prima volta nella mia vita sono al centro del mio universo e ridimensiono gli altri.
Mi sento come ci si può sentire nell'occhio del ciclone, in quei secondi che rappresentano una calma apparente, in quei secondi che sono il preludio di una rivolta devastante.
La rivolta c'è nel mio eterno andare, nel bastare a me stessa, nel cessare di aspettare.
La rivolta sono io che mi muovo leggera, una piuma che si fa trasportare dal vento, ma che non è alla sua mercè. Bisogna affidarci a noi stessi ogni tanto, a quella parte più profonda e più antica che ci portiamo dentro, lei sa sempre quello che c'è da fare!
Ecco la mia rivoluzione, ecco il mio transito personale.
mercoledì 9 maggio 2012
Andare. Angela Barile.
La cosa meravigliosa del dolore è che può darti una possibilità, può dartela se tu glielo concedi, se non ti sottrai al suo richiamo spaventoso. So che ci sono infinite teorie sull'utilità del dolore, ma so anche che sono solo parole vuote se non lo vivi sulla tua pelle, se non permetti a tutta quella sofferenza di svuotarti. Il vuoto è terribile, lo senti mentre ti consuma dall'interno, mentre ti inaridisce il cuore, ma se tu non ti opponi, se tu gli permetti di abitare dentro di te, se lo accetti e gli dai tutto lo spazio che gli serve, ecco, è proprio in quel momento, che si aprono nuove strade, o meglio, è solo in quel momento che tu riesci a vederle.
Sono qui, ferma, da tanto tempo ormai, :ferma mentre credevo di andare. Sono sempre stata una persona che gli altri definivano coraggiosa, perchè sono andata via per ricominciare da zero in un altro posto, ho sempre risposto che ci voleva più coraggio a restare in un luogo che sentivi non essere tuo e in cui non vedevi futuro, andare era una specie di necessità, era il solo modo che avevo per inseguire me stessa.
Cosa è successo poi? E' successo che in questo inseguirmi mi sono persa, senza neanche rendermene conto, il dolore mi è piovuto addosso come una pioggia infuocata, aveva un volto diverso di volta in volta, ma era sempre lo stesso, ad un certo punto ho cominicato a dimentichare chi l'aveva causato e a chiedermi perchè era venuto, perchè non si placava mai, perchè la serenità era diventata una piccola pausa tra un dolore e un'altro. Penso che questo cambio di prospettiva, questa domanda sia stata la chiave di tutto, è in quel momento che ho cominciato ad abitare il mio vuoto, ad accettarlo. Non mi è mai piaciuto molto il termine "accettare", per me ha sempre significato rassegnarsi, ho capito poi che il verbo "accettare" è in movimento, non ha la staticità della rassegnazione, accettare è abbracciare quello che hai intorno, rassegnarsi è come incatenarsi.
Sono nella fase adesso in cui questo vuoto non mi sembra così terribile, è ora diventato uno spazio, sto provando ad arredarlo, a capire lo stile che voglio dargli, per ora è solo pieno di luce e ha porte e finestre spalancate e so che al momento può bastare. Non so ancora precisamente cosa voglio, ma chi lo sa mai veramente? So solo che desidero andare avanti, seguirmi nel coacervo di strade e nella folla di gente che incontrerò, porto con me i libri, la scrittura e qualche ricordo perchè mi mostri sempre da dove vengo.
Non mi serve nient'altro.
Sono qui, ferma, da tanto tempo ormai, :ferma mentre credevo di andare. Sono sempre stata una persona che gli altri definivano coraggiosa, perchè sono andata via per ricominciare da zero in un altro posto, ho sempre risposto che ci voleva più coraggio a restare in un luogo che sentivi non essere tuo e in cui non vedevi futuro, andare era una specie di necessità, era il solo modo che avevo per inseguire me stessa.
Cosa è successo poi? E' successo che in questo inseguirmi mi sono persa, senza neanche rendermene conto, il dolore mi è piovuto addosso come una pioggia infuocata, aveva un volto diverso di volta in volta, ma era sempre lo stesso, ad un certo punto ho cominicato a dimentichare chi l'aveva causato e a chiedermi perchè era venuto, perchè non si placava mai, perchè la serenità era diventata una piccola pausa tra un dolore e un'altro. Penso che questo cambio di prospettiva, questa domanda sia stata la chiave di tutto, è in quel momento che ho cominciato ad abitare il mio vuoto, ad accettarlo. Non mi è mai piaciuto molto il termine "accettare", per me ha sempre significato rassegnarsi, ho capito poi che il verbo "accettare" è in movimento, non ha la staticità della rassegnazione, accettare è abbracciare quello che hai intorno, rassegnarsi è come incatenarsi.
Sono nella fase adesso in cui questo vuoto non mi sembra così terribile, è ora diventato uno spazio, sto provando ad arredarlo, a capire lo stile che voglio dargli, per ora è solo pieno di luce e ha porte e finestre spalancate e so che al momento può bastare. Non so ancora precisamente cosa voglio, ma chi lo sa mai veramente? So solo che desidero andare avanti, seguirmi nel coacervo di strade e nella folla di gente che incontrerò, porto con me i libri, la scrittura e qualche ricordo perchè mi mostri sempre da dove vengo.
Non mi serve nient'altro.
martedì 10 aprile 2012
Qualcosa da scrivere. Angela Barile.
E' qualche settimana ormai che non scrivo più nulla sul blog. Ho avuto bisogno di qualche giorno di pausa per capire bene quello che volevo.
Mi sono interrogata a lungo sul significato della scrittura per me, sul peso che hanno nella mia vita le parole scritte: quelle che scrivo io e quelle che leggo nei libri.
Quando ero molto piccola, un giorno, vidi mio padre che stava leggendo un quotidiano, lo faceva muovendo leggermente le labbra: nella mia ottica di bambina mi sembrò che , attraverso quei disegni sul foglio, lui fabbricasse parole, la cosa mi colpì molto e decisi che dovevo imparare.
Non ricordo precisamente come sia avvenuto, so solo che è come se avessi saputo sempre farlo. E così, dapprima ho cominciato a leggere le favole, poi a inventarle( me le raccontavo la sera prima di addormentarmi) infine, verso i sei o sette anni ho iniziato a scriverle.
Ci sono cose che fanno parte di te nel profondo, cose : ecco, leggere e scrivere per me da bambina è stata un'acquisizione naturale, un riaffiorare in superfice di qualcosa che in me era già presente.

Con gli anni, i libri e la scrittura sono diventati un rifugio, sono sempre stata una sognatrice, e la mia vita quotidiana certo non bastava a soddisfare le mie esigenze, così mi nutrivo di ogni tipo di romanzo e scrivevo qualsiasi genere di storia che mi sarebbe piaciuto poter vivere: le mie eroine inventate erano in grado di fare cose che io non avrei mai avuto il coraggio di vivere nella mia vita reale, inseguivano amori lontani, scappavano di casa, si perdevano nell'oblio della droga e dell'alcool, ed erano così reali ai miei occhi che, a volte, facevo fatica a distinguere quei personaggi dalla me in carne ed ossa.
Con il passar del tempo la scrittura è diventata un modo per scoprirmi, per conoscere la mia parte più profonda e autentica, ho sempre scritto solo per me stessa, concretamente le cose che scrivevo non potevano interessare gli altri, anzi, erano così personali e intime che la sola idea che qualcuno potesse leggerle mi metteva in grave imbarazzo.
Poi all'improvviso la vita mi ha regalato qualcosa: il tempo, un tempo costretto all'interno di quattro mura, un tempo in cui le parole nella mia testa erano l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi per non impazzire.
Ho cominciato così a scrivere, ho aperto questo blog, e , per la prima volta, gli altri hanno letto quello che scrivevo: spesso cose molto personali, altre volte considerazioni, recensioni dei libri che amavo di più.
Eppure a leggerle, col senno di poi, anche le mie recensioni hanno una matrice troppo intimista, anche in esse non riesco ad essere oggettiva, così più che la critica del romanzo, è l'impatto che quella storia, quella scrittura ha su di me che viene fuori.
Non so se sarò mai in grado di scrivere qualcosa che oltre che corrispondere a me , possa anche interessare in modo compiuto gli altri, per il momento la scrittura resta il miglior mezzo che ho per esprimere me stessa, l'unico modo che conosco per comunicare con i mille personaggi che convivono e si scontrano dentro di me, senza di essa sarei una persona disturbata e infelice.

Ho pensato tante volte di cominciare a scrivere qualcosa che potesse, almeno in teoria, essere pubblicabile, tra i miei sogni di bambina e di adolescente c'era anche quello di diventare una scrittrice, non mi rendevo conto allora di quanto possa essere difficile scrivere per gli altri, quando si scrive per se tante cose possono darsi per scontate, non c'è bisogno di spiegare ogni passaggio, di descrivere nei dettagli quello che accade, tu sei creatrice, protagonista e pubblico.
Scrivere per gli altri presuppone un approccio diverso, che non ho mai utilizzato prima e che forse non mi viene così naturale, di conseguenza uno sforzo maggiore.
Non so se riuscirò mai a farlo, ma ci sto provando: in questi giorni di assenza dal blog ho iniziato a scrivere qualcosa di diverso, qualcosa che presupponga una pubblicazione ma soprattutto un pubblico, in alcuni paragrafi a guidarmi è la mia voce interiore, come sempre lei detta e io scrivo, ma spesso devo prendere le redini e guidarla, tradurla, perchè non si metta a parlare nella sua lingua personale: il dialetto stretto di una terra sperduta e sconosciuta ai più.
Creare dei collegamenti tra me e il mondo esterno, ecco, ora è questo che deve diventare per me la scrittura, almeno è quello che proverò a fare.
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