lunedì 17 giugno 2013

Un fiume di parole.

Il foglio bianco mi osserva sconsolato, le parole non scivolano dalle dita, si vergognano a prender forma, sono trattenute da cancelli che neanche io conosco e, per quanto mi sforzi, l'unica cosa che riesco a vedere è questa pagina candida, la storia che deve sporcarla non viene fuori, che poi a pensarci bene è un po' la storia della mia vita, quella di non sporcare, intendo, di non disturbare. E chissà, forse, è questo che voglio evitare, imporre la mia presenza, le mie frasi, l'inchiostro nero che sbava sulla pagina bianca.

Mi scopro a fatica, sempre molto controllata, difficilmente mi lascio andare, nascondendomi dietro un modo di fare affettato e schivo, eppure questo spazio bianco continua a chiamarmi, mi sfida, e , a me manca la grinta, manca l'ambizione, lo guardo quasi sentendomi in colpa perchè non so dargli vita.
So scrivere solo di quello che sento, e, così, pur di buttar giù qualcosa scrivo di questa mancanza, perchè non c'è mancanza più grande che rinunciare per scelta alla nostra essenza, e , io lo faccio ogni giorno in cui non scrivo nulla.

E' come se dentro di me esistessero tante persone, perennemente in lotta tra di loro, metterle a nudo in tutte le loro forme è sempre stato e continuerà ad essere il compito della mia vita,e so che la scrittura è il mio mezzo, l'unico modo che ho perchè a nessuna manchi ossigeno, perchè non possiamo pensare di essere uno soltanto e dobbiamo ascoltarle tutte le nostre parti nascoste, è questo l'unico modo che abbiamo per avere una vita piena.

E così scrivo, all'inizio, lo so, sembrerà quasi un sussurro, poi piano piano alzerà la voce, si imprimerà con forza il disegno della lettera sul foglio, chiederà ascolto, visibilità, amore, e, solo così sgorgheranno le parole e non ci sarà più modo di fermarle, gli argini saranno rotti, i cancelli sradicati dal terreno.

L'immagine che voglio dare alla mia vita è quella di un fiume, perchè i fiumi non conoscono tregua, danno vita, a volte sono in piena, arrabbiati, maestosi, altre volte scorrono piano, e a stento distingui il rumore delle acque che si fanno spazio tra le sponde e, infine, trasportati dalla corrente sfociano nel mare.





                                      

domenica 30 dicembre 2012

La guardiana di cappelli. Angela Barile.

Uno strano lavoro il mio, così strano che devi pensare per forza che ci sia un motivo se lo fai.
Appartengo a quella fila di persone che credono che esista una ragione per ogni evento della vita, anche se, non sempre, devo ammettere, è possibile capirla, a volte le cose sembra che accadano a casaccio o, comunque, seguendo percorsi imperscrutabili ai nostri occhi.





                                              
Ho passato quattro anni chiusa in un negozio a vendere cappelli, o, meglio, come ho sempre ironizzato io, a far loro la guardia. Un lavoro che non ho scelto e, che, devo ammettere, non ho amato. Mi ha rubato il tempo, il sonno,a volte, l'ottimismo. Mi sono sentita catapultata in una realtà che non mi apparteneva, a fare quello che mai avrei desiderato fare. Nessuno fa il lavoro che ama, è vero, ma io ho fatto di tutto per non farlo, lo capisco adesso, è chiaro, la mia è stata una scelta inconsapevole, ma sta di fatto che avrei potuto lavorare in qualsiasi altro negozio e, invece, mi sono ritrovata qui a passare ore interminabili da sola.
Il tempo me lo sono dovuto inventare, ho dovuto pensare a come riempirlo e l'ho fatto con quello cha amo di più: i libri e la scrittura.

In questi anni ho letto centinaia di romanzi saggi, raccolte di poesie, all'inizio, come sempre, solo per passare il tempo, poi pian piano mi sono accorta che nei libri cercavo altro, non la bella storia o il personaggio convincente, non il verso perfetto o la prosa scorrevole, ma scavavo, piuttosto, tra le pagine per trovare me, per trovare qualcosa che mi riguardasse e di cui non ne sospettassi l'esistenza.
Questo lavoro mi ha costretta, attraverso una delle cose che amo di più- i libri- a guardare dentro me stessa, a capire le parti di me più scomode, a rivedere certe mie posizioni, ho cominciato a scrivere, ho aperto questo blog e, molto spesso, ho scritto alla parte più sconosciuta di me più che agli altri.

Probabilmente se non avessi trovato un lavoro del genere non lo avrei mai fatto o forse il processo sarebbe stato molto più lungo. Tutto è perfetto così com'è, tutto è come deve essere, mi ripeto spesso, anche quando sembra che sia tremendamente difficile e doloroso, nessuno vuole punirti, ogni cosa accade perchè tu impari. Se davvero può un mantra infonderti serenità, queste parole allora sono il mio.

La mia avventura lavorativa è al termine, quello che dovevo imparare spero di averlo imparato,e, se non dovessi esserci riuscita, spero che mi sarà data ancora una possibilità.
Altre sfide mi aspettano adesso, forse dure,forse più di quello che immagino.
Per il nuovo anno mi auguro ancora di imparare come è stato per gli ultimi sei anni della mia vita, con me porto via tutto, ogni singolo istante di debolezza, di disperazione, di gioia, ogni persona che ho amato o detestato.
 Porto via questa città che ora resta indissolubilmente legata a me, perchè non ti liberi mai della vita che hai vissuto.

giovedì 6 dicembre 2012

Vedi alla voce:amore. David Grossman.

                                                              
                                                  
Ho comprato Vedi alla voce:amore distrattamente e con leggerezza, a richiamarmi era stato il nome dell'autore del quale avevo letto Che tu sia per me il coltello, che mi era piaciuto moltissimo.
Ma dopo poche pagine avevo già capito che di leggero questo romanzo non aveva proprio nulla, sia per l'argomento trattato ( si parla infatti dell'Olocausto ), sia per il tipo di prosa, difficile da capire. Non è certo un libro per tutti questo, ti appassiona pian piano, paragrafo dopo paragrafo, finchè ti ritrovi irrimediabilmente innamorata dei suoi personaggi, della poesia che emanano, dell'immortalità delle loro vite.

Il romanzo è diviso in quattro parti: nella prima Momik, figlio di sopravvissuti all'Olocausto, nato dopo la fine della seconda guerra mondiale, è sempre più incuriosito dagli accenni che gli adulti della sua famiglia fanno su  quel paese lì  e sulla belva nazista, ma nessuno di loro ne parla mai apertamente davanti al bambino, così ,agli occhi di Momik, la Germania, mai nominata, diventa un paese incantato, e , la belva nazista, assume i contorni di un animale feroce vero e proprio.

Ma è solo nella seconda parte che, Momik, finalmente adulto, potrà partire alla scoperta dei luoghi e dei fatti, che, da bambino, gli avevano destato tanta curiosità, e, lo fa seguendo le tracce di uno scrittore ebreo, Bruno Shultz, ucciso da un'ufficiale nazista: e così comincia il viaggio di Bruno in mare insieme ad un gruppo di storioni, la morte si riveste di  un nuovo corpo, diventando una vera e propria rinascita.
Bellissimi sono i paragrafi in cui è l'oceano a parlare, perdutamente innamorato di quest'uomo che smette di vivere sulla terra, per vivere nelle sue acque.

Nella terza parte è raccontato un incontro a metà tra realtà e immaginazione: quello tra il nonno di Momik, Wasserman, e un ufficiale nazista, Niegel, in un campo di concentramento.
Niegel riconosce in Wasserman lo scrittore dei libri della sua infanzia e, ordina all'ebreo che, ogni sera, gli racconti una storia. Comincia così tra i due un rapporto paradossale che si inverte continuamente tra sudditanza e supremazia dell'uno nei confronti dell'altro. Wasserman vorrebbe morire, ma nonostante più volte i nazisti abbiano provato ad ucciderlo all'interno del campo, lui sembra completamente immunizzato ad ogni pallottola che gli attraversa il cranio. La sua immortalità dipende dal fatto che lui è uno scrittore e, uno scrittore è le sue storie e le storie di chi scrive non muoiono mai.
Wassemann conquista Niegel raccontando ogni sera, le avventure dei ragazzi di cuore,  gli stessi protagonisti dei libri che scriveva in passato, ma stavolta cresciuti, invecchiati e, con l'aggiunta di un nuovo personaggio, Kasik, un bambino che cresce ed invecchia precocemente così da esaurire l'intero suo ciclo vitale in 24 ore.
Niegel, attraverso questa storia, prende man mano consapevolezza dei suoi demoni,e , attraverso la conoscenza con Wassermann si ferma a riflettere sulle sue azioni nel campo, prima viste solo da un punto di vista meccanico.

Ma è solo nella quarta parte che tutti i tasselli vanno al loro posto.
Qui Momik, ormai cresciuto e consapevole, compila una vera e propria enciclopedia, e, ogni voce, spiega, in qualche modo, tutto quello che abbiamo letto in precedenza, ma non con un ordine temporale,   seguendo piuttosto una sequenza basata sulle emozioni.

Vedi alla voce: amore è un libro di una profondità inaudita, l'unico romanzo sull'olocausto che abbia mai letto, che accenna soltanto ai fatti tragici di quel periodo, come se Grossmann non riuscisse a prendere dalla realtà le parole per descrivere tanto orrore, preferisce esprimersi nel "non detto" attraverso la fantasia, mischiando personaggi reali ed altri immaginari, trasformando uomini in storioni, rendendo immortali gli scrittori e, infine, creando, un vero e proprio essere umano, limitato nel tempo nello spazio, a cui dedicare una vera e propria enciclopedia, che pian piano diventa l'enciclopedia di tutta l'umanità.




mercoledì 7 novembre 2012

Mr Nobody.

Ieri, durante uno dei miei lunghissimi buchi lavorativi, ho scovato un film da guardare su youtube.
Il film è Mr nobody, il regista è il belga Jaco Van Dormael, le riprese di questa pellicola sono iniziate il 4 Giugno 2007 e finite il 14 Dicembre dello stesso anno. Il film in realtà non è ancora mai uscito in Italia (io infatti l'ho visto con i sottotitoli) e non ha avuto nemmeno il successo che io credo meritasse.
L'idea sulla quale si basa la storia è, secondo me, geniale ed estremamente poetica.
Siamo nel 2092, in un mondo in cui la vecchiaia e la morte non esistono più, la ricerca genetica è riuscita a bloccare l'invecchiamento delle cellule. Mr Nobody ha 118 anni ed è l'ultimo uomo mortale esistente sulla terra.

La storia comincia con il racconto che lui fa della sua vita ad un medico e ad un giornalista.All'inizio i suoi ricordi particolarmente confusi ci disorientano, e sia i due interlocutori che lo ascoltano sia noi telespettatori siamo portati a pensare che dipendano dalla vecchiaia del protagonista che sembra confonderli e in alcuni casi addirittura inventarli. Ecco che per ogni bivio che gli si presenta nella vita Mr Nobody fa prima una scelta, poi un'altra, vivendo il filo della sua esistenza su vari percorsi narrativi , come se tutti fossero reali anche se contraddittori l'uno con l'altro.

In realtà non era del film in se per se che volevo parlarvi (anche se consiglio a tutti di vederlo ), ma del concetto di destino, di quanto noi pensiamo possa contare nella nostra esistenza e della possibilità che abbiamo di cambiarlo. Il regista ci mostra come ogni scelta nella vita possa completamente stravolgerla cambiando i luoghi, le persone che conosciamo, le esperienze. Ogni filo narrativo nel film è una sorta di opportunità che Mr Nobody ha per cambiare completamente la sua vita: nessuna di queste è migliore di un'altra, nessuna di queste sembra più vera o più profonda, tutte rappresentano la sua vita , con una fine paradossale, ma a proposito non voglio anticiparvi nient'altro.

Io personalmente credo che ognuno di noi nasca con un destino ben preciso, il margine che abbiamo di poterlo cambiare è minimo, io credo che le cose fondamentali della vita di ognuno avvengano in ogni caso, qualsiasi scelta noi facciamo, è piuttosto la non-scelta  a paralizzarci ed è forse l'unico modo che abbiamo di non realizzare il disegno della nostra esistenza.
Ora che sono davanti a un bivio mi muovo con una certa consapevolezza: non credo che il cambiamento che sto per fare muterà completamente la mia vita, non credo che una città o un lavoro abbiano il potere di rendere una vita migliore, l'unica cosa che conta davvero in questi casi è fare quello che meglio corrisponde a noi stessi, nient'altro. Mr Nobody racconta a 118 anni le vite vere o presunte che ha vissuto, tempo e spazio non esistono più nei suoi ricordi, lui è ancora quel bambino fermo davanti ad un binario della stazione mentre sceglie se restare con sua madre o andare con suo padre, perchè dopo tutto l'essenza non muta, alla fine la cosa veramente importante è ritrovarci.

giovedì 25 ottobre 2012

Cosa tiene accese le stelle.Mario Calabresi.




                                     

Ogni volta che provo a raccontare i sogni che vorrei realizzare a qualcuno, l'espressione che mi trovo davanti è tutt'altro che incoraggiante; l'opinione più diffusa è che questo non sia il tempo di sognare, bensì di accontentarsi, e , ammetto che per molti anni l'ho pensato anche io. Come scusanti alla mia rinuncia arrogavo due motivi fondamentali : i tempi difficili e precari nei quali viviamo e il fatto che se nessuno mi aveva mai incoraggiata, forse, era perchè "sapevano" che io non ero all'altezza dei miei sogni.

Poi sono cresciuta e ho capito che in realtà le scuse che mi tenevano lontana dal provarci erano assolutamente inconsistenti, perchè dopo tutto io non avevo mai fallito, decisamente non avevo nemmeno cominciato, così, per farmi coraggio ho attinto direttamente da me stessa,e, quando le motivazioni crollavano o non bastavano, ho cercato fiducia e speranza nei libri.

E' con questo stato d'animo che ho comprato " Cosa tiene accese le stelle ". Mi ha colpita il titolo e il nome dell'autore: Mario Calabresi è il direttore della "Stampa", il mio quotidiano preferito,lo conoscevo soprattutto per i suoi libri e articoli sul terrorismo e mi ha sorpresa piacevolmente il fatto che abbia scritto un testo come questo.
E' un saggio che parla, innanzitutto, dell'Italia e degli Italiani, di come il sentimento di sfiducia che permea questo paese abbia paralizzato ogni nostra iniziativa più della crisi stessa, di come semplicemente non esista più spazio per il futuro e per i sogni. Non è tanto di politica e riforme mancate o sbagliate che Calabresi vuole parlare, ma, piuttosto, di quello che ogni singolo individuo può fare per migliorare la propria situazione: " Bisogna cavarsela da soli e siamo diventati troppo egoisti per ricordarci come si fa. Orfani di padre, cioè dell'autorità che trae origine dall'autorevolezza e consente ai figli di avventurarsi in territori inesplorati, sapendo di poter contare all'occorrenza su una robusta ringhiera. E con una classe dirigente specializzata nel dare il cattivo esempio, priva del titolo morale per imporre regole che è la prima a non rispettare...Almeno per chi è convinto che non ci si possa aspettare il riscatto sociale da teorie economiche e ideologie politiche, ma solo dall'urgenza di tante rivoluzioni individuali che riescano a connettersi fra loro, creando una vera comunità. Darsi una disciplina esistenziale, fissare dei traguardi e poi mettersi in marcia senza vittimismi, perché i se sono la patente dei falliti, mentre nella vita si diventa grandi nonostante ".

Per suffragare queste parole, che potrebbero apparire a molti come una vuota paternale, Calabresi riporta degli esempi, più o meno famosi, di persone che ce l'hanno fatta, che raccontano la propria esperienza e , dimostrano che, tutto sommato, non è l'epoca a determinare la riuscita, ma la fatica e l'impegno: giornalisti, scienziati, imprenditori, tutti  a testimoniare che una possibilità c'è sempre, a volte fuori da questo paese, a volte a pochi passi da casa, che quello che conta è provarci, perchè non si sbaglia mai inseguendo le proprie passioni. Bisogna combattere per non diventare vittime di questa società, ma artefici di noi stessi.
"Tra vent'anni sarai più deluso dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto.." scriveva Mark Twain, quindi non ha senso non provarci, smettere di piangerci addosso è il primo passo verso la riuscita,e, come dice, la citazione di Leopardi che Calabresi ha scelto per il suo libro: " Questo tempo è gravido di avvenimenti … non lo sprecate. Quando ci libereremo dalla superstizione, dai pregiudizi, quando trionferà la verità, il diritto, la ragione, la virtù se non adesso? Quando risorgerà l’amor della patria? Quando? Sarà morto per sempre? Non ci sarà più speranza? Io parlo a voi… Ora è il tempo… O in questa generazione che nasce, o mai. Abbiatela per sacra, destatela a grandi cose, mostratele il suo destino, animatela."

sabato 20 ottobre 2012

Il corpo umano.Paolo Giordano.

E' impossibile non pensare a " La solitudine dei numeri primi " leggendo questo romanzo, e , non solo per la consequenzialità cronologica dei due, non solo perchè sono stati scritti dallo stesso autore, ma, anche  e, soprattutto, perchè in entrambe le storie sono le imperfezioni e i traumi umani i veri protagonisti.

Paolo Giordano ci ha messo ben cinque anni a scrivere il suo secondo libro e, sono sicura, che parte di questo tempo sia anche dovuto al fatto che non deve essere stato facile rimettersi in gioco dopo il successo del suo primo romanzo: milioni di lettori si erano immedesimati in Alice e Mattia, molti di noi si erano all'improvviso scoperti numeri primi tra miliardi di numeri positivi.

Ne " Il corpo umano " Paolo Giordano affronta un argomento che apparentemente non ha niente  a che vedere con il suo primo romanzo: in questo libro è la guerra a farla da padrone, la guerra vera, fisica, quella combattuta in Afghanistan, fatta di soldati, di uomini normali, molti di loro quasi degli anti- eroi; ma, accanto a questa guerra ce n'è un'altra che i protagonisti combattono, quella con se stessi, una guerra fatta di fughe e rimozioni, una guerra che non ha il rumore dei mortai, delle bombe, ma quello dei corpi, dei ricordi, che arrivano fin lì nel deserto, ad aggiungersi ai nemici, che sono dovunque, che li osservano, che li uccidono.

Questi ragazzi si ritroveranno in una delle aree più pericolose dell'Afghanistan, il Gulistan, il loro accampamento è la forward operating base ( fob ), una sorta di bolla di sicurezza di questa guerra e delle loro vite.  Lì c'è il tenente medico Alessandro Egitto, che accumula mesi su mesi di missione pur di non affrontare la sua vita da civile; la divisa, quell'area recintata in mezzo al deserto e gli antidepressivi che prende sono per lui la forma più alta di protezione che la sua mente riesca a concepire.
C'è poi il maresciallo Antonio Renè che, da civile offre servizi a pagamento alle donne sole, un uomo che si ritrova al comando di un intero plotone senza in realtà esserne veramente in grado e, poi, ancora, tanti altri uomini, che nella loro vita di tutti i giorni hanno paura, fuggono da legami familiari, legami sociali, uomini per i quali questa guerra è la loro prova più grande, il vero passaggio all'età adulta.

Ancora una volta Paolo Giordano parla ai nostri tormenti, della paura di affrontarli, degli errori, a volte letali, che può portarci a fare, una vita non vissuta  appieno, della vigliaccheria e dei sensi di colpa, che ogni uomo, almeno una volta nella vita si trova a vivere, le fragilità, le debolezze di chi fugge dalla guerra con se stesso, buttandosi in una guerra vera che paradossalmente considera meno pericolosa.



martedì 2 ottobre 2012

Incontrarsi. Angela Barile.

Provo a seguire il tuo passo, a non fare resistenza, ad accettarti così come sei, imperfetta e talvolta fragile.
Ho avuto paura di te, di questa sconosciuta che ogni tanto mi appariva in sogno, ho urlato più forte per coprire la tua voce, volevo smettere di soffrire, non capivo che la sofferenza era oppormi.
Adesso sono qui, non di fronte, ma di fianco a te, ti osservo bene prima di prendere qualsiasi decisione, ti ascolto e non fuggo più, anche se, a volte, quello che dici mi fa paura.

Ho passato 34 anni a cercarti,  per strada, nei bar, tra la gente, come se la completezza si potesse avere solo dall'esterno: quando si parla d'amore molti dicono che bisogna trovare il nostro pezzo mancante, ecco, io non sono daccordo, dobbiamo essere completi per amare, completi per non dare all'altro una responsabilità che non gli compete.
 Tutti questi anni per capirlo, a soffrire inutilmente per qualcosa che semplicemente cercavo nel posto sbagliato. Le prime volte in cui ti ho percepita davvero sono state nei miei sogni, nell'unica parte di me che non potevo controllare, all'inizio non ci badavo più di tanto, poi ho cominciato a guardarli questi sogni,e , pian piano, ho iniziato a conoscerti, se prima eri solo un fruscìo, poi, sei diventata vento e infine tempesta, più ti riconoscevo, più facevi rumore, più diventavi presenza concreta. All'inizio ti ho combattuta, mi facevi rabbia, non riuscivo a riconoscerti, mi apparivi come qualcosa di estraneo, di doloroso, poi finalmente ti ho accolta. Non c'è stato un momento preciso, solo, un pò alla volta, ho accettato che tu c'eri e, dopo un pò, hai cominciato a piacermi. E' come rinascere sai ( ma si che lo sai! ) con tutte le paure e le sorprese che la vita riserva, senza sapere nulla di quello che sarà, non immaginavo che l'incertezza potesse, in una certa misura, essere così stimolante, non immaginavo che si potesse essere coraggiosi anche avendo paura.

Ora sei qui con me, anche mentre scrivo, non riesco più a distinguere se sono le mie o le tue dita a pigiare i tasti, ormai non c'è più nessuna separazione, nessun confine, sia fuori che dentro, non cerco perchè ho già trovato, piuttosto assaporo, osservo, mi incuriosisco di tutto quello che ho intorno; non so che sapore ha trovare "il grande amore", ma conosco il sapore che mi hai lasciato tu dentro e fatico a credere che ci sia qulcosa che possa superarlo.