...sono le passioni che ti salvano quando tutto intorno sembra crollare, solo attraverso loro sei vivo...
giovedì 6 marzo 2014
A un bivio.Angela Barile.
Vedo segni ovunque, segni che non posso cogliere.
Non riesco a rassegnarmi all'idea che la crisi, quella economica e politica che stiamo attraversando, ti tagli davvero le gambe. Sono convinta che la nostra vita personale, fortemente legata alle vicende collettive, non possa ridursi solo a questo, penso che almeno la metà della responsabilità sia nostra, e, nel caso specifico, sia mia. Mi aggiro intorno alla mia esistenza come un fantasma, mi affanno nel cercare uno sbocco lavorativo che vada contro tutto quello che ho sempre sognato, in nome di un realismo e un pragmatismo che sia al passo di questi tempi, e, ogni volta, mi vedo sbalzata fuori, come se qualcuno mi dicesse:" Non cercare scuse...non devi accontentarti!" Non so se sia la paura o la mancanza di fiducia a bloccarmi, a costringermi a cercare una via di fuga che ogni volta mi viene puntualmente preclusa. So che potrei agire, nonostante la crisi, nonostante l'epoca nella quale sto vivendo non sia quella della realizzazione, ma non lo faccio, resto lì, ferma, imbalsamata, aspettando qualcosa in cui non credo, e, che per questo non arriverà mai.
Le parole non scivolano come vorrei, dentro me ci sono muri invalicabili, che ho costruito chissà per quale ragione, probabilmente per proteggermi, ed è più forte il desiderio di sicurezza, più forte la paura, che la voglia di farcela. Non fai solo quello che non vuoi, tante cose ho voluto fortemente nella mia vita e le ho sempre ottenute, per esempio, sono brava ad andar via, a cambiare città, a ricominciare da zero, sembro una persona coraggiosa, intraprendente,e, per alcune cose lo sono. Ma poi mi blocco, non tanto con le parole, che riesco tranquillamente a lasciar fluire girando in tondo, ma con le storie che ho dentro, incapace di metterle sulla carta. Ho avuto tanto tempo a disposizione e ne ho ancora, eppure resto qui, a chiedermi perchè sto sprecando la mia vita nell'intento preciso di essere niente, nella paura insormontabile di diventare qualcuno, o, meglio, semplicemente, me stessa.
Ci sono vite con percorsi netti, più o meno facili, fatte di lavori e di amori più o meno soddisfacenti, di perdite e di unioni, vite che ti catapultano da qualche parte senza sapere come ci si è arrivati, destini ineluttabili, incomprensibili, a volte tragici, altri benevoli, e poi, ci sono vite come la mia, che non sanno che direzione prendere, che ti accerchiano, con sprazzi di luce che ogni tanto fanno capolino, attraverso loro ti sembra di intravedere qualcosa, ma non sai come si fa a saltare il cerchio, non hai il coraggio di perdere l'equilibrio nemmeno per un secondo. Ci sono vite che tu vedi senza scelta e che, invece, hanno milioni di possibilità, o, forse, solo una, e , quella scelta, sei tu!
martedì 4 febbraio 2014
Le lacrime di Nietzsche. Irvin. D. Yalom.
Siamo a Vienna nel 1882. Un rinomato medico dell'epoca, Josef Breuer, si ritrova ad acconsentire alla strana richiesta di Lou Salomè, donna molto affascinante e di particolare carisma, lei sostiene che un suo carissimi amico, " un certo Friederick Nietzsche" necessiti di urgenti cure a causa di un malessere debilitante che lo colpisce sia nel corpo che nell'anima: forti emicranie, parziale cecità e manie suicide, secondo la donna, la filosofia tedesca è a repentaglio, perchè quest'uomo è, secondo lei, la grande promessa del futuro.
Sarà molto difficile convincere Nietzsche ad acconsentire alla cura, e il dottor Breuer alla fine ci riuscirà solo con una serie di articolati stratagemmi.
Ma Josef Breueer non è un medico come tutti gli altri, è un importante scienziato e, soprattutto il precursore e maestro di Sigmund Freud, a lui si deve il merito di avere applicato un'ancora embrionale metodo psicoanalitico a una sua paziente, Bertha Pappenheim, per curare la sua isteria. E' questa cura che Lou Salomè vuole che venga applicata al suo amico, convinta che i disturbi fisici di Nietzsche siano correlati anche alla sua sfera psicologica ed emotiva.
Il resto della trama è particolarmente complesso e, delinearla brevemente sarebbe un pò come sminuire questo romanzo, che io ho trovato enormemente profondo e interessante. L'autore, oltre ad essere un notevole scrittore, è anche un famoso psichiatra,e, in queste pagine, oltre ad un indiscusso talento, è, evidentemente presente una competenza precisa e dettagliata, non solo per quanto riguarda la vita dei suoi protagonisti, realmente esistiti e, del resto notissimi, ma anche per l'analisi attenta e pertinente dell'animo umano, prendendo come punto di partenza un uomo decisamente eccezionale come Nietzsche.
Interessante è il rapporto tra medico e paziente, che piano piano si inverte, ad un certo punto non si capisce bene chi dei due curi l'altro: attraverso questa terapia vengono fuori tutte le debolezze e i dubbi esistenziali di Breuer, ossessionato dalla sua paziente Bertha, con una crisi matrimoniale in atto e con molte incertezze sul suo ruolo di medico, di marito e di padre. Man mano che andiamo avanti nella lettura ci rendiamo conto che paziente e medico non sono poi così diversi,e, questa volta sarà la filosofia di Nietzsche a soccorrere Breuer, e le scoperte personali di uno, questo venirsi incontro in una relazione profonda e esaltante, rappresenteranno una chiave di svolta anche nella vita del filosofo.
Tante cose mi hanno colpita in questo libro, bellissimi sono i dialoghi serrati tra Breuer e Nietzsche, interessante questo mescolarsi continuo tra realtà e fantasia. L'autore, alla fine del romanzo, ci tiene a precisare, che i due non si sono mai incontrati, eppure ogni dettaglio è tanto pertinente da ritenere naturale immaginare che possa essere accaduto.
Ci sono dei libri che ci scelgono in particolari momenti della nostra vita, arrivano a noi solo quando siamo in grado di poterli leggere, non avviene spesso, ma per fortuna, a volte, accade. A me è successo così con questo romanzo, l'avevo visto già altre volte in libreria, mi era capitato di accarezzarne la copertina, sfogliarne le pagine, sentirne l'odore, ma solo adesso ho avvertito la necessità di comprarlo e, fidatevi, come tante altre cose nella vita, non è stato un caso!
sabato 18 gennaio 2014
Ermione.
Eccola, ancora una volta, nuda davanti a se stessa.
L'immagine del suo corpo la riempiva, vestita si trovava sempre mille difetti, ma quando era spogliata di tutto, ogni imperfezione le sembrava perfetta: aveva la sensazione che tutto fosse predisposto in lei così come doveva essere, un' immagine generosa senza essere eccessiva, era così che si sentiva, dentro e fuori.
Non solo gli occhi sono lo specchio dell'anima, ma anche il corpo lo è: le cosce robuste e forti con le quali si era sempre rialzata, la vita che si assottigliava sopra i fianchi torniti, i seni, che da adolescente erano sempre stati il suo cruccio, e che ora le sembrava avessero semplicemente la giusta misura. Tutto in lei sembrava comunicare accoglienza senza essere invadente, il suo pregio maggiore, che a volte però le si ritorceva contro.Con un corpo così, che si sposava alla perfezione con ciò che era dentro, Ermione piaceva sempre a tutti, non era quasi mai successo che qualcuno la evitasse o la eliminasse dalla propria vita, lei era una che restava, una che doveva restare, una donna piacevole, interessante, gradevolmente imbranata, una di quelle persone che chiami se hai un problema, se vuoi essere ascoltato, se vuoi passare una serata a ridere e chiacchierare. A volte Ermione avrebbe voluto essere insopportabile, una di quelle donne con un brutto carattere, così avrebbe saputo che quando qualcuno l'avesse cercata non era certo per avere qualcosa in cambio, ma solo perche' la voglia era stata più forte di tutto il resto.
E invece si ritrovava quel corpo che parlava, che diceva agli altri quello che lei era, ed era così assordante quella voce, che, anche se avesse voluto essere diversa nessuno ci avrebbe creduto mai, anche lei, col tempo se ne era convinta, è un ruolo quel corpo, una specie di destino, e tutte le volte che lei cercava di scostarsene, aveva la sensazione di andare contro natura.
Siamo quello che siamo, non abbiamo altra scelta, l'unica possibilità che ci è concessa è quella di accettarci o continuare a combattere contro noi stesse. Ed Ermione non sapeva far altro che combattere e anche a smettere non sapeva proprio come fare, chissà se anche questa è natura, se anche questo è destino.
Si guardò negli occhi, attentamente, senza nessun rimprovero.
Intuì che c'erano aspetti di lei che non era ancora pronta a vedere, ma che un giorno sarebbero venuti fuori, che dopotutto non ci conosciamo mai abbastanza, che ci sono cose che accadono e che abbattono tutte le nostre certezze, e, il fatto che non siano ancora accadute non significa che non esistano.
Si può perdere il respiro certe volte, si può perdere il controllo, si può perdere persino quello che credevamo di essere
L'immagine del suo corpo la riempiva, vestita si trovava sempre mille difetti, ma quando era spogliata di tutto, ogni imperfezione le sembrava perfetta: aveva la sensazione che tutto fosse predisposto in lei così come doveva essere, un' immagine generosa senza essere eccessiva, era così che si sentiva, dentro e fuori.
Non solo gli occhi sono lo specchio dell'anima, ma anche il corpo lo è: le cosce robuste e forti con le quali si era sempre rialzata, la vita che si assottigliava sopra i fianchi torniti, i seni, che da adolescente erano sempre stati il suo cruccio, e che ora le sembrava avessero semplicemente la giusta misura. Tutto in lei sembrava comunicare accoglienza senza essere invadente, il suo pregio maggiore, che a volte però le si ritorceva contro.Con un corpo così, che si sposava alla perfezione con ciò che era dentro, Ermione piaceva sempre a tutti, non era quasi mai successo che qualcuno la evitasse o la eliminasse dalla propria vita, lei era una che restava, una che doveva restare, una donna piacevole, interessante, gradevolmente imbranata, una di quelle persone che chiami se hai un problema, se vuoi essere ascoltato, se vuoi passare una serata a ridere e chiacchierare. A volte Ermione avrebbe voluto essere insopportabile, una di quelle donne con un brutto carattere, così avrebbe saputo che quando qualcuno l'avesse cercata non era certo per avere qualcosa in cambio, ma solo perche' la voglia era stata più forte di tutto il resto.
E invece si ritrovava quel corpo che parlava, che diceva agli altri quello che lei era, ed era così assordante quella voce, che, anche se avesse voluto essere diversa nessuno ci avrebbe creduto mai, anche lei, col tempo se ne era convinta, è un ruolo quel corpo, una specie di destino, e tutte le volte che lei cercava di scostarsene, aveva la sensazione di andare contro natura.
Siamo quello che siamo, non abbiamo altra scelta, l'unica possibilità che ci è concessa è quella di accettarci o continuare a combattere contro noi stesse. Ed Ermione non sapeva far altro che combattere e anche a smettere non sapeva proprio come fare, chissà se anche questa è natura, se anche questo è destino.
Si guardò negli occhi, attentamente, senza nessun rimprovero.
Intuì che c'erano aspetti di lei che non era ancora pronta a vedere, ma che un giorno sarebbero venuti fuori, che dopotutto non ci conosciamo mai abbastanza, che ci sono cose che accadono e che abbattono tutte le nostre certezze, e, il fatto che non siano ancora accadute non significa che non esistano.
Si può perdere il respiro certe volte, si può perdere il controllo, si può perdere persino quello che credevamo di essere
giovedì 10 ottobre 2013
I miei mantra personali.
Che poi è vero, funziona quasi sempre così, cerchi di seguire una strada, la tua, e , solitamente lo fai andando contro tutto e tutti, spesso incontri qualcuno che ti asseconda, se sei fortunato addirittura qualcuno che ti aiuta, ma difficilmente incontrerai qualcuno che crede in te e, nemmeno te lo devi aspettare dopotutto, chi lo dice che la fiducia, la stima ti siano dovute? Per lo più la forza te la devi dare da sola, devi imparare a gestire i momenti no, non aspettare che passino, che quelli da soli non passano mai, se mai darti da fare, costruire te stessa in modo da renderli quasi innocui, in modo che non ti impediscano di andare avanti.
Smetti di lamentarti, che le lamentele ti peggiorano sempre, attaccati a qualcosa, che so, a qualche passione, ecco si, quello aiuta sempre, perchè qualche volta ci sarà bisogno di estraniarti, di non pensare e una chitarra, una penna, un libro avranno questo potere.
Prova a combattere, ma non come ad un incontro di boxe, ma come ad una partita a scacchi, pondera ogni mossa, mantieni il sangue freddo, prevedi i movimenti dell'avversario e previenili, non pensare alla sconfitta, ma mettila in conto e tieni sempre un piano alternativo, ma non prendere niente troppo sul serio, che la vita è imprevedibile e in un attimo ti trovi in mutande o coperto d'oro.
Prova a superare i tuoi limiti, fai quello di cui hai più paura, goditi le sfide, prendi quello che di bello incontri sulla tua strada, impara dal dolore, ma poi lascialo andare.
Prova a vincere la tua emotività, a spiegarti senza urlare e dare di matto, fai in modo che la tua determinazione e la tua lotta non siano visti come capricci del momento, fà che gli altri ti prendano sul serio, e anche quando tutto ti sembra perduto, tu, mantieni la calma, siediti e rifletti, c'è sempre una strada alternativa che non avevi considerato, riposa un attimo e poi prendila.
Ricomincia.
giovedì 12 settembre 2013
I fiori blu. Raymond Queneau.
La prima volta che un libro di Queneau mi è balzato davanti agli occhi è stato più o meno una ventina d'anni fa: mia sorella era stata costretta dal suo insegnante di letteratura francese a studiare Zazie dans le metro, devo ammettere che sia per il suo bassissimo livello di entusiasmo sia per il fatto che il testo fosse in francese (lingua a me sconosciuta!) non ebbi la benchè minima voglia di leggerlo, e, col tempo, sono rimasta piuttosto prevenuta verso l'opera di quest'autore, per anni è finito nel mio dimenticatoio.
Alcune settimane fa qualcuno mi ha parlato de I fiori blu con un certo entusiasmo, e, allora, mi sono detta "Perchè no?Proviamo!"
L'approccio iniziale con questo libro è stato di puro divertimento: il romanzo ha un linguaggio estremamente originale, basato su neologismi, giochi di parole, che lo rendono complicato all'inizio, ma che finiscono, irrimediabilmente, per incuriosirti; la traduzione in italiano non poteva essere affidata a un semplice traduttore, ci voleva una personalità che avesse un'estrema padronanza sia del francese che dell'italiano, meglio ancora, uno scrittore, come Italo Calvino.
Nella nota del traduttore che c'è alla fine del romanzo, Calvino, spiega, di come le sue iniziali resistenze a cimentarsi in questo lavoro, siano state vinte da una non specificata attrazione che queste pagine esercitavano su di lui: la traduzione non aveva potuto essere fedele all'originale, molte volte alcuni termini, alcune espressioni, erano stati riadattati per risultare piu' comprensibili al lettore italiano, mantenendo però sempre intatti lo stile e il significato originale.
Verrebbe da pensare, quindi, che protagonista assoluto di questo romanzo sia, appunto, il suo linguaggio, a discapito della trama, ma assolutamente non è così, anzi, entrambi si compenetrano,e, le esigenze dell'una corrispondono perfettamente a quelle dell'altro.
La storia raccontata, come ben si può immaginare, non è assolutamente consueta: parla infatti di due uomini, che, quando si addormentano, sognano l'uno dell'altro, il duca d'Augè che, con salti di 175 anni, vive sempre in epoche diverse, e Cidrolin che vive su una chiatta ,e, come unica occupazione ha di ridipingere la sua staccionata, che viene continuamente imbrattata da un anonimo accusatore.
Chi dei due è il sognatore e chi il sognato?
Ci sono numerose interpretazioni a proposito. Innanzitutto, la prima cosa che viene fuori a proposito di questi due personaggi è la loro contrapposizione: da una parte c'è il duca d'Augè, continuamente impegnato in nuove avventure, purchè non si tratti di guerre( fa di tutto pur di non partire per una crociata e cerca di svignarsela anche davanti alla rivoluzione francese); dall'altra c'è Cidrolin, una personalità molto più statica e tranquilla, che non fa altro che dormire e bere essenza di finocchio sulla sua chiatta che è ben ormeggiata, un pò come la sua vita.
E' per questo motivo che, a mio parere, l'interpretazione più affascinante è quella psicanalitica, che è accennata anche da Calvino nella sua nota del traduttore: l'attivo duca d'Augè rappresenta l'Es e Cidrolin l'ego " sonnacchioso e pieno di complessi di colpa", e , solo attraverso l'inconscio, che raggiunge la coscienza di se stesso con i sogni, si potrà arrivare all'unico finale possibile, con l'incontro dei due personaggi, che finalmente compiono, insieme, un viaggio dai connotati quasi biblici.
Credo, infine, che si debba aggiungere qualche altra parola a proposito del titolo.
I fiori blu ritornano due volte soltanto nel romanzo a testimoniare tutto quello che decade e poi rinasce, in entrambi i casi infatti sono associati al fango che rappresenta, appunto, la decadenza.
Lo stesso Queneau spiegò a Calvino che l'espressione francese" i fiori blu" indica ironicamente " le persone romantiche, idealiste, nostalgiche d'una purezza perduta" .
I fiori blu è un romanzo in cui la storia viene fuori completamente frammentata costringendoci a guardarla con occhi nuovi e disincantati attraverso il sarcasmo dei due protagonisti che rendono ordinari eventi straordinari; esilarante, ad esempio, è il modo in cui viene trattata la guerra, dalle crociate alla rivoluzione francese, non tanto per la violenza dell'atto in se quanto per l'inutilità e la perdita di tempo che sembra rappresentare per il nostro duca, impegnato in ben altre interessanti avventure, una sorta di impedimento al vivere da cui si deve sempre fuggire, proprio come quei fiori blu che nell'immagine finale, ostinatamente, spuntano in mezzo al fango.
giovedì 5 settembre 2013
Resti di me. Angela Barile.
Eccomi qua, mentre provo a mettere insieme due parole sul mio tempo, sulla personalissima successione che dò agli eventi, sul modo in cui li seleziono e scelgo quali portare via con me e quali, invece, lasciare lungo la strada. Questi mesi sono stati veloci e carichi, non sempre il tempo è così, a volte pesa, sembra quasi che non passi, altre è leggero, hai come la sensazione di non essere riuscita a catturare tutto, di esserti persa qualcosa.
Eppure quello che è importante resta.
Resta questa città che rincorro da sempre e che, ora è mia, mia perchè la posso guardare tutte le mattine al risveglio, mia, anche quando, mentre porto curricula in giro, mi fa l'occhiolino con un tramonto, lei è lì vera, e, il tempo non la cancella, non è una di quelle cose che può passare.
Resta tutta la fatica, tutti i mesi passati a chiedermi perchè...e restano le risposte che mi sono data che non valgono per tutti, ma che valgono per me.
Resta quello che ho visto dalla cima di una montagna a 1800 metri di altezza: la distesa sconfinata di questo mondo visto dall'alto e il cielo che quasi sembrava di starci dentro, ma forse ancora di più resta la salita, un passo dopo l'altro, con la paura, che ogni tanto faceva capolino, di non riuscire a farcela.
Resta qualcuno, resta anche se non c'è più, sei tu che decidi se farlo restare.
Succede, a volte, che chi scompare resta di più.
Non resta, invece, la me di prima. A volte mi sembra vederla riaffiorare, ma è solo una specie di sogno, quando allungo le mani per sfiorarla lei scompare.
sabato 31 agosto 2013
I quaderni di Malte Laurids Brigge. Rainer Maria Rilke.
Ero molto in dubbio se scrivere una recensione su questo libro, mi sembrava un compito piuttosto arduo per molte ragioni. Difficile è, per esempio, identificarlo con un genere letterario preciso: molti critici parlano di romanzo, l'unico di quest'autore, Rainer Maria Rilke, che è, invece, un poeta; eppure questa definizione è, secondo me, non corretta. Il Malte è un testo molto complesso, con una trama non bene identificata: sappiamo solo che il protagonista, Malte Laurids Brigge, danese, appartenente ad una nobile famiglia decaduta, arriva a Parigi e si stabilisce nel quartiere latino. Da questo punto in poi tutto è affidato a impressioni, ricordi, soprattutto del periodo dell'infanzia, legati, questi, in particolare, all'immagine materna, che, viene fuori in tutta la sua dolcezza e profondità.
La solitudine dell'essere umano, l'incapacità di poter essere se stesso al di fuori dei condizionamenti della società, sono elementi importantissimi in quest'opera, e, rendono questo testo particolarmente significativo. Infatti, Il Malte è stato pubblicato nel 1910 e, porta con sè la crisi del romanzo ottocentesco, lo sgretolamento dell'individuo; l'assenza quasi totale della trama, è, secondo me, la prova di questa indefinitezza, la ricerca continua dell'essere prende il sopravvento su una realtà, che, a parte rari momenti di comunione totale, sembra completamente estranea, all'artista.
E' chiaro che Malte è un alter ego di Rilke, è della sua estraneità che il poeta parla, è la sua inquietudine che mette in scena, ma, alla fine, è la condizione dell'uomo, in senso oggettivo, che trapela da queste pagine.
Leggendo questo testo mi è tornato alla mente Il libro dell'inquietudine di Pessoa, anche se, il sogno nell'autore portoghese rappresenta ormai l'unica realtà possibile, mentre in Rilke gli eventi, i ricordi restano ancora per essere poi trasfigurati e rappresentati in una realtà che sia al di sopra degli eventi.
Con la parabola del figliol prodigo, nella parte finale del libro, Rilke rappresenta se stesso: prima l'allontanamento dal mondo, poi, un ritorno al passato, e, infine, un avvicinamento all'amore perfetto, cioè, Dio. E' questa realtà che vive al di sopra delle cose che l'autore cerca, qualcosa che sia libero dalle contingenze della realtà fisica, che ci permetta di accettare con serenità quella che è l'unica vera condizione dell'uomo: la solitudine.
E' chiaro che Malte è un alter ego di Rilke, è della sua estraneità che il poeta parla, è la sua inquietudine che mette in scena, ma, alla fine, è la condizione dell'uomo, in senso oggettivo, che trapela da queste pagine.
Leggendo questo testo mi è tornato alla mente Il libro dell'inquietudine di Pessoa, anche se, il sogno nell'autore portoghese rappresenta ormai l'unica realtà possibile, mentre in Rilke gli eventi, i ricordi restano ancora per essere poi trasfigurati e rappresentati in una realtà che sia al di sopra degli eventi.
Con la parabola del figliol prodigo, nella parte finale del libro, Rilke rappresenta se stesso: prima l'allontanamento dal mondo, poi, un ritorno al passato, e, infine, un avvicinamento all'amore perfetto, cioè, Dio. E' questa realtà che vive al di sopra delle cose che l'autore cerca, qualcosa che sia libero dalle contingenze della realtà fisica, che ci permetta di accettare con serenità quella che è l'unica vera condizione dell'uomo: la solitudine.
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