A volte succede anche questo, a volte semplicemente i libri non li leggi, eppure loro continuano a leggere te.
Ritrovi le loro frasi scarabocchiate su un foglio o semplicemente sottolineate sulla pagina ed è come se qualche cellula del tuo corpo non avesse fatto altro che pensarci per settimane, per mesi, per anni.
A volte ti succede anche con libri che magari non ti sono piaciuti più di tanto, libri la cui storia nemmeno più ricordi, eppure c'è quella frase che ti risuona, quella frase che non hai mai perso. Mi succede anche con le persone, è chiaro non tutte mi piacciono, eppure c'è sempre qualcosa in loro che mi piace conservare, un atteggiamento, una loro caratteristica, qualcosa da salvare.
Ecco qualcosa da salvare c'è sempre, anche nelle cose brutte, anche in quelle stupide, perfino nel male.
E come quando leggo un libro non lo lascio mai a metà, così quando conosco qualcuno non mi arrendo mai finchè non trovo qualcosa che possa piacermi e, se nemmeno quello mi è possibile, allora prendo la cosa peggiore del libro, della gente e da essa parto per arrivare al suo contrario e piano percorro quella strada, la strada che separa il brutto dal bello, il male dal bene e, vi assicuro, che lì in mezzo c'è sempre qualcosa che non avevi visto, a cui prima non avevi pensato, ed è quello il vero tesoro, è quel piccolo particolare a fare la differenza.
Ecco, forse io non sono una persona tanto coraggiosa, ma ci sono due cose davanti alle quali non mi arrendo mai: un libro brutto e una brutta persona perchè dietro c'è sempre una storia, c'è sempre qualcuno da conoscere, basta solo saper leggere tra le righe, basta solo saper ascoltare.
...sono le passioni che ti salvano quando tutto intorno sembra crollare, solo attraverso loro sei vivo...
venerdì 29 ottobre 2010
mercoledì 20 ottobre 2010
Antologia di Spoon River. Edgar Lee Masters.
Ogni tanto mi capita di rileggere qualche brano di questa raccolta.
Tra i tanti libri che ho forse questo è il più vissuto, il più segnato, tanto che alcuni dei suoi epitaffi li ricordo quasi a memoria. L'ho letto per la prima volta da adolescente, come credo la maggior parte di voi, l'ho ripreso più volte durante i folli anni dell'università e spesso mi capita di leggerlo ora in autobus o nelle mie notti insonni.
Ancora oggi se qualcuno mi chiede il perchè di così tanto interesse io rispondo che leggerlo è come esorcizzare la morte rendendola un fatto normale; adesso voi potreste obiettare...ma cosa c'è di più normale della morte?tutti moriamo, a tutti capita, è il percorso logico di ogni essere umano, questo è vero, ma quanti di noi ne hanno davvero consapevolezza?quanti vivono la propria vita tenendo presente che un giorno moriranno? Quasi nessuno, credo.
Con L'Antologia di Spoon River i morti sono vivi davanti a noi, con i loro aneddoti, i loro rimpianti.
Inerpicati su quella collina ci parlano, si umanizzano anche nella morte.
E' quasi come se la morte potessimo toccarla, come se un filo invisibile tenesse attaccati questi due mondi, in un abbraccio eterno e questo, personalmente, mi rassicura...in qualche modo è come se niente finisse mai davvero.
Ed eccoli i personaggi di questo universo parallelo, eccoli qua descritti nella loro corporeità e debolezza umana, eccoli a raccontare le proprie morti, le proprie vite, a volte a giustificarsi, ad ammonire, come si immagina possa fare un moribondo, non un defunto: eccolo il cedro di Washington McNeely, che assiste inerme allo sfracelo della famiglia, il falco in gabbia dell'ignoto che gracchia con rabbia e anela alla libertà, oppure la nave alla fonda con la vela ammainata, scolpita sulla lapide di George Gray, un vero e proprio inno alla vita, un monito a chi può ancora viverla " Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave. Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vago desiderio: è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura."
Forse eccola la vera differenza tra noi e gli abitanti della collina di Sponn River: loro possono solo raccontarci, non sono veramente morti perchè noi possiamo ancora sentirli, chiaramente, quasi fisicamente, attraverso la scrittura, eppure l'unica cosa che possono fare è parlare al passato, rimpiangere, lamentarsi, giustificarsi; siamo noi, quelli che rimangono, che possiamo agire, noi si che possiamo vivere davvero.
Tra i tanti libri che ho forse questo è il più vissuto, il più segnato, tanto che alcuni dei suoi epitaffi li ricordo quasi a memoria. L'ho letto per la prima volta da adolescente, come credo la maggior parte di voi, l'ho ripreso più volte durante i folli anni dell'università e spesso mi capita di leggerlo ora in autobus o nelle mie notti insonni.
Ancora oggi se qualcuno mi chiede il perchè di così tanto interesse io rispondo che leggerlo è come esorcizzare la morte rendendola un fatto normale; adesso voi potreste obiettare...ma cosa c'è di più normale della morte?tutti moriamo, a tutti capita, è il percorso logico di ogni essere umano, questo è vero, ma quanti di noi ne hanno davvero consapevolezza?quanti vivono la propria vita tenendo presente che un giorno moriranno? Quasi nessuno, credo.
Con L'Antologia di Spoon River i morti sono vivi davanti a noi, con i loro aneddoti, i loro rimpianti.
Inerpicati su quella collina ci parlano, si umanizzano anche nella morte.
E' quasi come se la morte potessimo toccarla, come se un filo invisibile tenesse attaccati questi due mondi, in un abbraccio eterno e questo, personalmente, mi rassicura...in qualche modo è come se niente finisse mai davvero.
Ed eccoli i personaggi di questo universo parallelo, eccoli qua descritti nella loro corporeità e debolezza umana, eccoli a raccontare le proprie morti, le proprie vite, a volte a giustificarsi, ad ammonire, come si immagina possa fare un moribondo, non un defunto: eccolo il cedro di Washington McNeely, che assiste inerme allo sfracelo della famiglia, il falco in gabbia dell'ignoto che gracchia con rabbia e anela alla libertà, oppure la nave alla fonda con la vela ammainata, scolpita sulla lapide di George Gray, un vero e proprio inno alla vita, un monito a chi può ancora viverla " Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave. Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vago desiderio: è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura."
Forse eccola la vera differenza tra noi e gli abitanti della collina di Sponn River: loro possono solo raccontarci, non sono veramente morti perchè noi possiamo ancora sentirli, chiaramente, quasi fisicamente, attraverso la scrittura, eppure l'unica cosa che possono fare è parlare al passato, rimpiangere, lamentarsi, giustificarsi; siamo noi, quelli che rimangono, che possiamo agire, noi si che possiamo vivere davvero.
mercoledì 13 ottobre 2010
Amabili resti. Alice Sebold.
In questi giorni di dolore mediatico mi è tornato alla mente questo libro che ho letto un pò di tempo fa.
Amabili resti è la storia di un efferato omicidio, ma non è un giallo classico quello che si profila pagina dopo pagina, insomma non è una storia di un assassinio e della ricerca del suo colpevole.
Amabili resti racconta del dolore, dell'impossibilità di comunicare, di come una famiglia venga completamente sconvolta da una morte, di quelle che, ormai, nel gergo giornalistico e televisivo, noi definiamo "inspiegabili". Ma la vera originalità di questo romanzo è il punto di vista narrante: è Susie, la protagonista quattordicenne, che già morta all'inizio del libro, racconta la sua storia "dal suo cielo"; fin dall'inizio lei ci dice chi è l'assassino, ci racconta come è stata uccisa, comunica continuamente con il lettore, la sua è una vera e propria lettera a chi la sta ascoltando, una lettera di violenza e di orrore ( Susie è stata violentata da un vicino di casa prima di essere uccisa), ma soprattutto di perdono; anche se avvertiamo il logico rancore e la sete di giustizia, non c'è odio nelle parole di questo libro, c'è anzi la freschezza del linguaggio di una ragazzina, il dolore di non poter comunicare più con la sua famiglia, o almeno di non riuscire a farlo come vorrebbe, perchè Susie a loro parla, certo, in un linguaggio che non è più umano, che a volte viene recepito e a volte no, la sente, ad esempio il suo fratellino più piccolo e a tratti anche suo padre. Sarà proprio lei, la protagonista invisibile, a portare alla cattura del suo assassino, a guidare gli altri sulle sue tracce.
L'autrice ha subito lei stessa una violenza nell'adolescenza, e forse questo libro rappresenta per lei una specie di chiusura con il passato, il superamento di un'esperienza che, senza dubbio, l'ha indelebilmente segnata, e che rivive in questa storia, prendendo però allo stesso tempo le distanze dall'evento facendo parlare in prima persona la vittima stessa.
Il libro non cade mai in facili sentimentalismi nè assume mai i contorni torbidi e sorprendenti di un thriller, ci parla invece delle infinite forme dell'amore e del dolore delle persone che conoscevano Susie, della vita di questa ragazzina, delle sue amiche, della scuola, del suo primo amore: è questo romanzo un inno alla vita, in qualche modo,e insieme il rimpianto di non aver potuto viverla.
Amabili resti è la storia di un efferato omicidio, ma non è un giallo classico quello che si profila pagina dopo pagina, insomma non è una storia di un assassinio e della ricerca del suo colpevole.
Amabili resti racconta del dolore, dell'impossibilità di comunicare, di come una famiglia venga completamente sconvolta da una morte, di quelle che, ormai, nel gergo giornalistico e televisivo, noi definiamo "inspiegabili". Ma la vera originalità di questo romanzo è il punto di vista narrante: è Susie, la protagonista quattordicenne, che già morta all'inizio del libro, racconta la sua storia "dal suo cielo"; fin dall'inizio lei ci dice chi è l'assassino, ci racconta come è stata uccisa, comunica continuamente con il lettore, la sua è una vera e propria lettera a chi la sta ascoltando, una lettera di violenza e di orrore ( Susie è stata violentata da un vicino di casa prima di essere uccisa), ma soprattutto di perdono; anche se avvertiamo il logico rancore e la sete di giustizia, non c'è odio nelle parole di questo libro, c'è anzi la freschezza del linguaggio di una ragazzina, il dolore di non poter comunicare più con la sua famiglia, o almeno di non riuscire a farlo come vorrebbe, perchè Susie a loro parla, certo, in un linguaggio che non è più umano, che a volte viene recepito e a volte no, la sente, ad esempio il suo fratellino più piccolo e a tratti anche suo padre. Sarà proprio lei, la protagonista invisibile, a portare alla cattura del suo assassino, a guidare gli altri sulle sue tracce.
L'autrice ha subito lei stessa una violenza nell'adolescenza, e forse questo libro rappresenta per lei una specie di chiusura con il passato, il superamento di un'esperienza che, senza dubbio, l'ha indelebilmente segnata, e che rivive in questa storia, prendendo però allo stesso tempo le distanze dall'evento facendo parlare in prima persona la vittima stessa.
Il libro non cade mai in facili sentimentalismi nè assume mai i contorni torbidi e sorprendenti di un thriller, ci parla invece delle infinite forme dell'amore e del dolore delle persone che conoscevano Susie, della vita di questa ragazzina, delle sue amiche, della scuola, del suo primo amore: è questo romanzo un inno alla vita, in qualche modo,e insieme il rimpianto di non aver potuto viverla.
venerdì 8 ottobre 2010
L'eleganza del riccio. Muriel Burbery.
Siamo a Parigi in un condominio al n 7 di Rue de Granelle.
E' qui, in questo palazzo, abitato da gente molto ricca, che si intrecciano le storie di Renèè, la portinaia, e di Paloma, figlia dodicenne della famiglia Josse, che vive all'interno del condominio.
La sensazione che ho avuto, fin dalle prime pagine del libro, è stata quella di trovarmi su un palcoscenico, la scrittura e la morfologia dei personaggi è, secondo me, molto visiva; alcune frasi sn molto teatrali, a volte buffe e taglienti, a volte profonde e particolarmente intime.
La portineria di questo condominio è un vero e proprio crocevia per i tanti personaggi che affollano il romanzo, tutto ruota intorno a quello che le persone appaiono e a quello che realmente sono.
Renèè è apparentemente il tipico prototipo della portinaia, sciatta, incolta, pettegola, in realtà, però nn è assolutamente così, è una donna, invece, di grande acume e sensibilità, e , soprattutto, dotata di grande cultura.
L'impressione è, si, che lei si nasconda, ma neanche gli altri si preoccupano più di tanto di scovare la vera natura della donna; la mamma di Paloma definisce la portinaia come un riccio, mentre sua figlia, ad un certo punto,intuisce, che dietro quella corazza, debba esserci un 'eleganza assolutamente inaspettata.
L'altro personaggio del romanzo è , appunto, Paloma, ragazzina dodicenne, di grande profondità e intelligenza, che ha deciso di suicidarsi il giorno del suo tredicesimo compleanno, non riesce, infatti, a rassegnarsi alla grettezza della sua famiglia e della società in cui vive; ma anche lei come Renèè si nasconde fingendo di essere una normale ragazzina della sua età.
Ma solo con l'arrivo di un terzo personaggio, il signor Kakuro Ozu, queste due donne così diverse eppure così simili, si avvicineranno.
In questo modo l'autrice ci mostra come, solo attraverso il confronto, possa venir fuori la vera natura delle persone. Finchè ognuno rimane isolato nel suo mondo, non può succedere niente, tutto resta fermo, arroccato: Renèè nella sua portineria e Paloma in attesa del giorno del suo suicidio.
E da questo confronto sia i protagonisti sia il lettore imparano soprattutto una cosa: che nonostane la vita; spesso,ci faccia sentire come "un pesce in una boccia" noi abbiamo il diritto e il dovere di cercare la vera bellezza, "una sospensione, un altrove in questo luogo...un sempre nel mai."
E' qui, in questo palazzo, abitato da gente molto ricca, che si intrecciano le storie di Renèè, la portinaia, e di Paloma, figlia dodicenne della famiglia Josse, che vive all'interno del condominio.
La sensazione che ho avuto, fin dalle prime pagine del libro, è stata quella di trovarmi su un palcoscenico, la scrittura e la morfologia dei personaggi è, secondo me, molto visiva; alcune frasi sn molto teatrali, a volte buffe e taglienti, a volte profonde e particolarmente intime.
La portineria di questo condominio è un vero e proprio crocevia per i tanti personaggi che affollano il romanzo, tutto ruota intorno a quello che le persone appaiono e a quello che realmente sono.
Renèè è apparentemente il tipico prototipo della portinaia, sciatta, incolta, pettegola, in realtà, però nn è assolutamente così, è una donna, invece, di grande acume e sensibilità, e , soprattutto, dotata di grande cultura.
L'impressione è, si, che lei si nasconda, ma neanche gli altri si preoccupano più di tanto di scovare la vera natura della donna; la mamma di Paloma definisce la portinaia come un riccio, mentre sua figlia, ad un certo punto,intuisce, che dietro quella corazza, debba esserci un 'eleganza assolutamente inaspettata.
L'altro personaggio del romanzo è , appunto, Paloma, ragazzina dodicenne, di grande profondità e intelligenza, che ha deciso di suicidarsi il giorno del suo tredicesimo compleanno, non riesce, infatti, a rassegnarsi alla grettezza della sua famiglia e della società in cui vive; ma anche lei come Renèè si nasconde fingendo di essere una normale ragazzina della sua età.
Ma solo con l'arrivo di un terzo personaggio, il signor Kakuro Ozu, queste due donne così diverse eppure così simili, si avvicineranno.
In questo modo l'autrice ci mostra come, solo attraverso il confronto, possa venir fuori la vera natura delle persone. Finchè ognuno rimane isolato nel suo mondo, non può succedere niente, tutto resta fermo, arroccato: Renèè nella sua portineria e Paloma in attesa del giorno del suo suicidio.
E da questo confronto sia i protagonisti sia il lettore imparano soprattutto una cosa: che nonostane la vita; spesso,ci faccia sentire come "un pesce in una boccia" noi abbiamo il diritto e il dovere di cercare la vera bellezza, "una sospensione, un altrove in questo luogo...un sempre nel mai."
giovedì 7 ottobre 2010
La solitudine dei numeri primi. Paolo Giordano
La mia storia personale con questo libro comincia con un colpo di fulmine mentre mi aggiro svogliata, in attesa di un treno, tra gli scaffali di una libreria. Spesso le lunghe attese nelle stazioni danno inizio a grandi amori e, quel titolo, che fa capolino in mezzo ad altri testi, sembra adocchiarmi, mentre io adocchio lui,
non leggo la trama, a stento faccio caso al nome dell'autore. Quel libro deve essere mio! Forse perchè dentro ci sentiamo un pò tutti numeri primi, forse perchè i grafici della copertina hanno fatto un buon lavoro, me lo sono chiesta più volte, ma ai grandi amori non si può dare una spiegazione.
E' cominciata così la nostra avventura, una lettura nervosa e commossa da lasciare senza fiato, con una scrittura che man mano che il libro andava avanti diventava più perfetta e complessa, con Alice e Mattia, che segnati, nella loro infanzia, da due eventi traumatici, crescono, si incontrano e forse mai si innamorano veramente. Non si innamorano, perchè non sanno amare, ad entrambi aspetta un destino di solitudine. Sono, i due protagonisti, come dei numeri primi gemelli, numeri divisibili solo per uno e per se stessi, separati da un solo altro numero, così simili, ma mai abbastanza da toccarsi veramente.
Ed eccoli Alice e Mattia, che tra le pagine del libro si cercano e si respingono continuamente, attratti inevitabilmente dalle loro sofferenze, dalla loro indivisibilità. Eccoli, lui con le sue cicatrici, lei con quel corpo troppo magro e pesante da sopportare e, intorno a loro,come sottofondo decisamente inquietante, l'indifferenza di tutti quelli che non vogliono vedere, dei genitori dei due ragazzi, che ignorano il problema, dei mariti,dei fidanzati,degli amanti che fanno finta di non capire,perchè a volte "vedere" è imbarazzante, doloroso, o forse perchè il destino di due numeri primi gemelli è vivere in solitudine nel limbo delle loro indivisibilità.
non leggo la trama, a stento faccio caso al nome dell'autore. Quel libro deve essere mio! Forse perchè dentro ci sentiamo un pò tutti numeri primi, forse perchè i grafici della copertina hanno fatto un buon lavoro, me lo sono chiesta più volte, ma ai grandi amori non si può dare una spiegazione.
E' cominciata così la nostra avventura, una lettura nervosa e commossa da lasciare senza fiato, con una scrittura che man mano che il libro andava avanti diventava più perfetta e complessa, con Alice e Mattia, che segnati, nella loro infanzia, da due eventi traumatici, crescono, si incontrano e forse mai si innamorano veramente. Non si innamorano, perchè non sanno amare, ad entrambi aspetta un destino di solitudine. Sono, i due protagonisti, come dei numeri primi gemelli, numeri divisibili solo per uno e per se stessi, separati da un solo altro numero, così simili, ma mai abbastanza da toccarsi veramente.
Ed eccoli Alice e Mattia, che tra le pagine del libro si cercano e si respingono continuamente, attratti inevitabilmente dalle loro sofferenze, dalla loro indivisibilità. Eccoli, lui con le sue cicatrici, lei con quel corpo troppo magro e pesante da sopportare e, intorno a loro,come sottofondo decisamente inquietante, l'indifferenza di tutti quelli che non vogliono vedere, dei genitori dei due ragazzi, che ignorano il problema, dei mariti,dei fidanzati,degli amanti che fanno finta di non capire,perchè a volte "vedere" è imbarazzante, doloroso, o forse perchè il destino di due numeri primi gemelli è vivere in solitudine nel limbo delle loro indivisibilità.
mercoledì 6 ottobre 2010
L'ultima riga delle favole. Massimo Gramellini
" Ho scritto L'ultima riga delle favole perchè avevo bisogno di una pomata dell'anima e ho provato a costruirmela da solo."
E' così che Gramellini spiega il senso di questo libro,un modo per rispondere alle tante domande che affliggono l'essere umano, domande su noi stessi, sul dolore e sul senso che questo abbia nella vita di ognuno,sull'anima gemella, ma soprattutto un libro sull'amore, quello verso noi stessi e quello verso gli altri.
Tomàs, il protagonista, è un uomo come tanti, impaurito, sfuggente, un uomo che davanti ad una donna che gli piace starnutisce, mostrando, in questo modo, una sorta di disagio, una vera e propria allergia fisica, non tanto, o comunque non solo nell'amore verso gli altri, ma anche e soprattutto verso se stesso.
E così Tomàs, improvvisamente, comincia questo viaggio magico nelle terme dell'anima, un viaggio fantastico, che con alcuni incontri e prove avventurose porterà il protagonista alla reale scoperta di se stesso e del proprio talento, senza il quale è impossibile amare veramente gli altri.
E così scopriamo, capitolo dopo capitolo,infinite perle di saggezza che ci colpiscono, ci annientano, perchè hanno sempre fatto parte di noi, della nostra umanità. Impossibile elencarle, riempiono il libro pagina dopo pagina, dando l'impressione di essere lì appositamente per noi, e quello che Gramellini si augurava essere "un massaggio per l'anima" si realizza magicamente in ogni parola, in ogni frase, fin dalla prima pagina con l'incontro tra noi e la nostra anima, e forse la risposta a tutto è proprio in questa filastocca:
" Lettrice o lettore, non ti crucciare. Prima o poi- e più prima che poi- sentirai in sogno una voce di flauto. Lei è la tua anima, mica un accidente. Se non te ne innamori, non amerai mai niente. "
E' così che Gramellini spiega il senso di questo libro,un modo per rispondere alle tante domande che affliggono l'essere umano, domande su noi stessi, sul dolore e sul senso che questo abbia nella vita di ognuno,sull'anima gemella, ma soprattutto un libro sull'amore, quello verso noi stessi e quello verso gli altri.
Tomàs, il protagonista, è un uomo come tanti, impaurito, sfuggente, un uomo che davanti ad una donna che gli piace starnutisce, mostrando, in questo modo, una sorta di disagio, una vera e propria allergia fisica, non tanto, o comunque non solo nell'amore verso gli altri, ma anche e soprattutto verso se stesso.
E così Tomàs, improvvisamente, comincia questo viaggio magico nelle terme dell'anima, un viaggio fantastico, che con alcuni incontri e prove avventurose porterà il protagonista alla reale scoperta di se stesso e del proprio talento, senza il quale è impossibile amare veramente gli altri.
E così scopriamo, capitolo dopo capitolo,infinite perle di saggezza che ci colpiscono, ci annientano, perchè hanno sempre fatto parte di noi, della nostra umanità. Impossibile elencarle, riempiono il libro pagina dopo pagina, dando l'impressione di essere lì appositamente per noi, e quello che Gramellini si augurava essere "un massaggio per l'anima" si realizza magicamente in ogni parola, in ogni frase, fin dalla prima pagina con l'incontro tra noi e la nostra anima, e forse la risposta a tutto è proprio in questa filastocca:
" Lettrice o lettore, non ti crucciare. Prima o poi- e più prima che poi- sentirai in sogno una voce di flauto. Lei è la tua anima, mica un accidente. Se non te ne innamori, non amerai mai niente. "
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