Non so perchè, leggendo questo libro, mi è tornato alla mente il romanzo di Gramellini, " L'ultima riga delle favole ", e, in particolare, alcune parole dello stesso scrittore " Ci sono tanti libri che raccontano il male...e sanno raccontarlo bene...io ho provato a scrivere un romanzo che parli del bene...".
Ecco, quando io ho letto "XY", ho pensato a queste parole, ai tanti romanzi che raccontano bene del male, e il libro di Veronesi appartiene certamente a questa schiera. Eppure la catalogazione non può essere così banale, perchè questa non è per niente una storia banale e scontata, anzi, credo non mi sia mai capitato di leggere qualcosa del genere.
All'inizio XY assomiglia ad un giallo: le caratteristiche ci sono tutte, Un piccolo paesino sperduto sulle montagne del Trentino, dove una mattina muoiono ben 11 persone, in modo assolutamente inspiegabile e illogico. Ma non è sulla soluzione dei delitti che si impernia il romanzo, quanto sugli effetti deleteri che questa atrocità ha sugli abitanti del piccolo borgo, su come il male possa trasformare completamente la vita delle persone, in un paesino, come quello di San Giuda, dove non arriva neanche la televisione, tanto meno internet; un paese, che fino al momento dei delitti, se di delitti si può parlare, si gestiva in maniera completamente autonoma, praticamente staccato dal resto del mondo.
L'unico a conservare un barlume di lucidità, in tutta questa storia, è il parroco del villaggio, Don Ermete. E' lui che, ad un certo punto, chiede aiuto ad una psicologa, l'altra protagonista del romanzo, Giovanna: entrambi diventano i veri e propri detective di questa strage, coloro che si oppongono con assoluta decisione a quello che l'autorità vuole far passare come un' improbabile atto terroristico.
Ma, man mano che il romanzo va avanti, ci rendiamo conto non solo che una spiegazione ragionevole e logica a questi omicidi non c'è, ma che oltretutto non è importante conoscerla, la cosa fondamentale è imparare a reagire, andare avanti.
Ecco così che, tra improbabili spiegazioni, il romanzo non è più tanto la ricerca dei colpevoli della strage, quanto la scoperta e la rinascita dei due protagonisti, che si mettono a nudo, che mostrano e accettano la parte oscura di se stessi, così come devono necessariamente accettare ed accogliere il male nato da tutta questa storia, perchè non è negando la malvagità che l'essere umano potrà risorgere, ma soltando affrontandola e riuscendo a sopravvivere senza traumi e rimorsi.
...sono le passioni che ti salvano quando tutto intorno sembra crollare, solo attraverso loro sei vivo...
mercoledì 17 novembre 2010
giovedì 4 novembre 2010
Caos calmo. Sandro Veronesi.
Pietro è un uomo realizzato nel suo lavoro con una bella moglie e una figlia di dieci anni.
Tutto il suo mondo sembra, però, crollare, quando, in un giorno d'estate, mentre lui salva una donna in mare, sua moglie muore a casa colta da un'aneurisma.
E' qui che comincia il caos calmo di questa storia, è da qui che Pietro riparte in un modo assolutamente spiazzante e inconsueto. Lui e sua figlia reagiscono a questo dolore senza mostrare la disperazione normalissima per un caso come questo, al caos che vaga dentro di loro entrambi reagiscono con calma sorprendente.
Pietro decide per un periodo di non andare più a lavorare e comincia ad aspettare sua figlia davanti alla sua scuola, rimane lì tutto il tempo che sua figlia è in classe, dapprima chiuso in macchina, poi seduto su una panchina nel parco di fronte.
Ed ecco che la sua posizione, sia fisica che mentale, diventa un vero e proprio crocevia di persone e di storie, da questo nuovo punto di vista Pietro, scopre la parte oscura degli altri. Ognuno, familiari, colleghi,sfoga su di lui, che dovrebbe soffrire e non soffre, il proprio dolore, le proprie meschinità, ed è da qui che il nostro protagonista parte, da un nuovo modo di vedere le cose, e , forse, ci fa riflettere Sandro Veronesi, che la disperazione e la frenesia della nostra società siano solo un modo per non affrontare le cose veramente importanti? A volte basta solo un nuovo punto di vista per uscire da situazioni dolorose: e così Pietro, seduto davanti a quella scuola, con lo sguardo rivolto alla finestra dell'aula di sua figlia, riesce a vedere quello che prima non vedeva, segue il normale corso degli eventi, da solo contiene tutte le storie che gli vengono raccontate, tutti i destini di quella gente, che davanti alla sua apparente calma, sputa su di lui tutto il proprio dolore, tutta la propria rabbia.
Sandro Veronesi, con questo romanzo, ha vinto il premio strega nel 2006, nel 2008 è uscito anche il film ad esso ispirato, film che, peraltro, segue abbastanza fedelmente la storia, con un Nanni Moretti che, secondo me, interpreta Pietro in un modo sublime.
Con questo storia, che parte da una tragedia, da una morte inspiegabile, l'autore ci mostra un nuovo modo di affrontare il dolore senza cadere in facili sentimentalismi, con pagine commoventi e ironiche, con occhi sempre nuovi e capaci di sorprendersi davanti al sorriso di un bambino down oppure davanti allo sguardo seducente della ragazza che passeggia col cane, dandosi la possibilità di fermarsi a conoscere veramente le persone, di accettare inviti da sconosciuti rallentando una volta tanto la giostra vorticosa e altalenante che è la nostra vita.
Tutto il suo mondo sembra, però, crollare, quando, in un giorno d'estate, mentre lui salva una donna in mare, sua moglie muore a casa colta da un'aneurisma.
E' qui che comincia il caos calmo di questa storia, è da qui che Pietro riparte in un modo assolutamente spiazzante e inconsueto. Lui e sua figlia reagiscono a questo dolore senza mostrare la disperazione normalissima per un caso come questo, al caos che vaga dentro di loro entrambi reagiscono con calma sorprendente.
Pietro decide per un periodo di non andare più a lavorare e comincia ad aspettare sua figlia davanti alla sua scuola, rimane lì tutto il tempo che sua figlia è in classe, dapprima chiuso in macchina, poi seduto su una panchina nel parco di fronte.
Ed ecco che la sua posizione, sia fisica che mentale, diventa un vero e proprio crocevia di persone e di storie, da questo nuovo punto di vista Pietro, scopre la parte oscura degli altri. Ognuno, familiari, colleghi,sfoga su di lui, che dovrebbe soffrire e non soffre, il proprio dolore, le proprie meschinità, ed è da qui che il nostro protagonista parte, da un nuovo modo di vedere le cose, e , forse, ci fa riflettere Sandro Veronesi, che la disperazione e la frenesia della nostra società siano solo un modo per non affrontare le cose veramente importanti? A volte basta solo un nuovo punto di vista per uscire da situazioni dolorose: e così Pietro, seduto davanti a quella scuola, con lo sguardo rivolto alla finestra dell'aula di sua figlia, riesce a vedere quello che prima non vedeva, segue il normale corso degli eventi, da solo contiene tutte le storie che gli vengono raccontate, tutti i destini di quella gente, che davanti alla sua apparente calma, sputa su di lui tutto il proprio dolore, tutta la propria rabbia.
Sandro Veronesi, con questo romanzo, ha vinto il premio strega nel 2006, nel 2008 è uscito anche il film ad esso ispirato, film che, peraltro, segue abbastanza fedelmente la storia, con un Nanni Moretti che, secondo me, interpreta Pietro in un modo sublime.
Con questo storia, che parte da una tragedia, da una morte inspiegabile, l'autore ci mostra un nuovo modo di affrontare il dolore senza cadere in facili sentimentalismi, con pagine commoventi e ironiche, con occhi sempre nuovi e capaci di sorprendersi davanti al sorriso di un bambino down oppure davanti allo sguardo seducente della ragazza che passeggia col cane, dandosi la possibilità di fermarsi a conoscere veramente le persone, di accettare inviti da sconosciuti rallentando una volta tanto la giostra vorticosa e altalenante che è la nostra vita.
venerdì 29 ottobre 2010
Qualcosa da salvare. Angela Barile.
A volte succede anche questo, a volte semplicemente i libri non li leggi, eppure loro continuano a leggere te.
Ritrovi le loro frasi scarabocchiate su un foglio o semplicemente sottolineate sulla pagina ed è come se qualche cellula del tuo corpo non avesse fatto altro che pensarci per settimane, per mesi, per anni.
A volte ti succede anche con libri che magari non ti sono piaciuti più di tanto, libri la cui storia nemmeno più ricordi, eppure c'è quella frase che ti risuona, quella frase che non hai mai perso. Mi succede anche con le persone, è chiaro non tutte mi piacciono, eppure c'è sempre qualcosa in loro che mi piace conservare, un atteggiamento, una loro caratteristica, qualcosa da salvare.
Ecco qualcosa da salvare c'è sempre, anche nelle cose brutte, anche in quelle stupide, perfino nel male.
E come quando leggo un libro non lo lascio mai a metà, così quando conosco qualcuno non mi arrendo mai finchè non trovo qualcosa che possa piacermi e, se nemmeno quello mi è possibile, allora prendo la cosa peggiore del libro, della gente e da essa parto per arrivare al suo contrario e piano percorro quella strada, la strada che separa il brutto dal bello, il male dal bene e, vi assicuro, che lì in mezzo c'è sempre qualcosa che non avevi visto, a cui prima non avevi pensato, ed è quello il vero tesoro, è quel piccolo particolare a fare la differenza.
Ecco, forse io non sono una persona tanto coraggiosa, ma ci sono due cose davanti alle quali non mi arrendo mai: un libro brutto e una brutta persona perchè dietro c'è sempre una storia, c'è sempre qualcuno da conoscere, basta solo saper leggere tra le righe, basta solo saper ascoltare.
Ritrovi le loro frasi scarabocchiate su un foglio o semplicemente sottolineate sulla pagina ed è come se qualche cellula del tuo corpo non avesse fatto altro che pensarci per settimane, per mesi, per anni.
A volte ti succede anche con libri che magari non ti sono piaciuti più di tanto, libri la cui storia nemmeno più ricordi, eppure c'è quella frase che ti risuona, quella frase che non hai mai perso. Mi succede anche con le persone, è chiaro non tutte mi piacciono, eppure c'è sempre qualcosa in loro che mi piace conservare, un atteggiamento, una loro caratteristica, qualcosa da salvare.
Ecco qualcosa da salvare c'è sempre, anche nelle cose brutte, anche in quelle stupide, perfino nel male.
E come quando leggo un libro non lo lascio mai a metà, così quando conosco qualcuno non mi arrendo mai finchè non trovo qualcosa che possa piacermi e, se nemmeno quello mi è possibile, allora prendo la cosa peggiore del libro, della gente e da essa parto per arrivare al suo contrario e piano percorro quella strada, la strada che separa il brutto dal bello, il male dal bene e, vi assicuro, che lì in mezzo c'è sempre qualcosa che non avevi visto, a cui prima non avevi pensato, ed è quello il vero tesoro, è quel piccolo particolare a fare la differenza.
Ecco, forse io non sono una persona tanto coraggiosa, ma ci sono due cose davanti alle quali non mi arrendo mai: un libro brutto e una brutta persona perchè dietro c'è sempre una storia, c'è sempre qualcuno da conoscere, basta solo saper leggere tra le righe, basta solo saper ascoltare.
mercoledì 20 ottobre 2010
Antologia di Spoon River. Edgar Lee Masters.
Ogni tanto mi capita di rileggere qualche brano di questa raccolta.
Tra i tanti libri che ho forse questo è il più vissuto, il più segnato, tanto che alcuni dei suoi epitaffi li ricordo quasi a memoria. L'ho letto per la prima volta da adolescente, come credo la maggior parte di voi, l'ho ripreso più volte durante i folli anni dell'università e spesso mi capita di leggerlo ora in autobus o nelle mie notti insonni.
Ancora oggi se qualcuno mi chiede il perchè di così tanto interesse io rispondo che leggerlo è come esorcizzare la morte rendendola un fatto normale; adesso voi potreste obiettare...ma cosa c'è di più normale della morte?tutti moriamo, a tutti capita, è il percorso logico di ogni essere umano, questo è vero, ma quanti di noi ne hanno davvero consapevolezza?quanti vivono la propria vita tenendo presente che un giorno moriranno? Quasi nessuno, credo.
Con L'Antologia di Spoon River i morti sono vivi davanti a noi, con i loro aneddoti, i loro rimpianti.
Inerpicati su quella collina ci parlano, si umanizzano anche nella morte.
E' quasi come se la morte potessimo toccarla, come se un filo invisibile tenesse attaccati questi due mondi, in un abbraccio eterno e questo, personalmente, mi rassicura...in qualche modo è come se niente finisse mai davvero.
Ed eccoli i personaggi di questo universo parallelo, eccoli qua descritti nella loro corporeità e debolezza umana, eccoli a raccontare le proprie morti, le proprie vite, a volte a giustificarsi, ad ammonire, come si immagina possa fare un moribondo, non un defunto: eccolo il cedro di Washington McNeely, che assiste inerme allo sfracelo della famiglia, il falco in gabbia dell'ignoto che gracchia con rabbia e anela alla libertà, oppure la nave alla fonda con la vela ammainata, scolpita sulla lapide di George Gray, un vero e proprio inno alla vita, un monito a chi può ancora viverla " Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave. Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vago desiderio: è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura."
Forse eccola la vera differenza tra noi e gli abitanti della collina di Sponn River: loro possono solo raccontarci, non sono veramente morti perchè noi possiamo ancora sentirli, chiaramente, quasi fisicamente, attraverso la scrittura, eppure l'unica cosa che possono fare è parlare al passato, rimpiangere, lamentarsi, giustificarsi; siamo noi, quelli che rimangono, che possiamo agire, noi si che possiamo vivere davvero.
Tra i tanti libri che ho forse questo è il più vissuto, il più segnato, tanto che alcuni dei suoi epitaffi li ricordo quasi a memoria. L'ho letto per la prima volta da adolescente, come credo la maggior parte di voi, l'ho ripreso più volte durante i folli anni dell'università e spesso mi capita di leggerlo ora in autobus o nelle mie notti insonni.
Ancora oggi se qualcuno mi chiede il perchè di così tanto interesse io rispondo che leggerlo è come esorcizzare la morte rendendola un fatto normale; adesso voi potreste obiettare...ma cosa c'è di più normale della morte?tutti moriamo, a tutti capita, è il percorso logico di ogni essere umano, questo è vero, ma quanti di noi ne hanno davvero consapevolezza?quanti vivono la propria vita tenendo presente che un giorno moriranno? Quasi nessuno, credo.
Con L'Antologia di Spoon River i morti sono vivi davanti a noi, con i loro aneddoti, i loro rimpianti.
Inerpicati su quella collina ci parlano, si umanizzano anche nella morte.
E' quasi come se la morte potessimo toccarla, come se un filo invisibile tenesse attaccati questi due mondi, in un abbraccio eterno e questo, personalmente, mi rassicura...in qualche modo è come se niente finisse mai davvero.
Ed eccoli i personaggi di questo universo parallelo, eccoli qua descritti nella loro corporeità e debolezza umana, eccoli a raccontare le proprie morti, le proprie vite, a volte a giustificarsi, ad ammonire, come si immagina possa fare un moribondo, non un defunto: eccolo il cedro di Washington McNeely, che assiste inerme allo sfracelo della famiglia, il falco in gabbia dell'ignoto che gracchia con rabbia e anela alla libertà, oppure la nave alla fonda con la vela ammainata, scolpita sulla lapide di George Gray, un vero e proprio inno alla vita, un monito a chi può ancora viverla " Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave. Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vago desiderio: è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura."
Forse eccola la vera differenza tra noi e gli abitanti della collina di Sponn River: loro possono solo raccontarci, non sono veramente morti perchè noi possiamo ancora sentirli, chiaramente, quasi fisicamente, attraverso la scrittura, eppure l'unica cosa che possono fare è parlare al passato, rimpiangere, lamentarsi, giustificarsi; siamo noi, quelli che rimangono, che possiamo agire, noi si che possiamo vivere davvero.
mercoledì 13 ottobre 2010
Amabili resti. Alice Sebold.
In questi giorni di dolore mediatico mi è tornato alla mente questo libro che ho letto un pò di tempo fa.
Amabili resti è la storia di un efferato omicidio, ma non è un giallo classico quello che si profila pagina dopo pagina, insomma non è una storia di un assassinio e della ricerca del suo colpevole.
Amabili resti racconta del dolore, dell'impossibilità di comunicare, di come una famiglia venga completamente sconvolta da una morte, di quelle che, ormai, nel gergo giornalistico e televisivo, noi definiamo "inspiegabili". Ma la vera originalità di questo romanzo è il punto di vista narrante: è Susie, la protagonista quattordicenne, che già morta all'inizio del libro, racconta la sua storia "dal suo cielo"; fin dall'inizio lei ci dice chi è l'assassino, ci racconta come è stata uccisa, comunica continuamente con il lettore, la sua è una vera e propria lettera a chi la sta ascoltando, una lettera di violenza e di orrore ( Susie è stata violentata da un vicino di casa prima di essere uccisa), ma soprattutto di perdono; anche se avvertiamo il logico rancore e la sete di giustizia, non c'è odio nelle parole di questo libro, c'è anzi la freschezza del linguaggio di una ragazzina, il dolore di non poter comunicare più con la sua famiglia, o almeno di non riuscire a farlo come vorrebbe, perchè Susie a loro parla, certo, in un linguaggio che non è più umano, che a volte viene recepito e a volte no, la sente, ad esempio il suo fratellino più piccolo e a tratti anche suo padre. Sarà proprio lei, la protagonista invisibile, a portare alla cattura del suo assassino, a guidare gli altri sulle sue tracce.
L'autrice ha subito lei stessa una violenza nell'adolescenza, e forse questo libro rappresenta per lei una specie di chiusura con il passato, il superamento di un'esperienza che, senza dubbio, l'ha indelebilmente segnata, e che rivive in questa storia, prendendo però allo stesso tempo le distanze dall'evento facendo parlare in prima persona la vittima stessa.
Il libro non cade mai in facili sentimentalismi nè assume mai i contorni torbidi e sorprendenti di un thriller, ci parla invece delle infinite forme dell'amore e del dolore delle persone che conoscevano Susie, della vita di questa ragazzina, delle sue amiche, della scuola, del suo primo amore: è questo romanzo un inno alla vita, in qualche modo,e insieme il rimpianto di non aver potuto viverla.
Amabili resti è la storia di un efferato omicidio, ma non è un giallo classico quello che si profila pagina dopo pagina, insomma non è una storia di un assassinio e della ricerca del suo colpevole.
Amabili resti racconta del dolore, dell'impossibilità di comunicare, di come una famiglia venga completamente sconvolta da una morte, di quelle che, ormai, nel gergo giornalistico e televisivo, noi definiamo "inspiegabili". Ma la vera originalità di questo romanzo è il punto di vista narrante: è Susie, la protagonista quattordicenne, che già morta all'inizio del libro, racconta la sua storia "dal suo cielo"; fin dall'inizio lei ci dice chi è l'assassino, ci racconta come è stata uccisa, comunica continuamente con il lettore, la sua è una vera e propria lettera a chi la sta ascoltando, una lettera di violenza e di orrore ( Susie è stata violentata da un vicino di casa prima di essere uccisa), ma soprattutto di perdono; anche se avvertiamo il logico rancore e la sete di giustizia, non c'è odio nelle parole di questo libro, c'è anzi la freschezza del linguaggio di una ragazzina, il dolore di non poter comunicare più con la sua famiglia, o almeno di non riuscire a farlo come vorrebbe, perchè Susie a loro parla, certo, in un linguaggio che non è più umano, che a volte viene recepito e a volte no, la sente, ad esempio il suo fratellino più piccolo e a tratti anche suo padre. Sarà proprio lei, la protagonista invisibile, a portare alla cattura del suo assassino, a guidare gli altri sulle sue tracce.
L'autrice ha subito lei stessa una violenza nell'adolescenza, e forse questo libro rappresenta per lei una specie di chiusura con il passato, il superamento di un'esperienza che, senza dubbio, l'ha indelebilmente segnata, e che rivive in questa storia, prendendo però allo stesso tempo le distanze dall'evento facendo parlare in prima persona la vittima stessa.
Il libro non cade mai in facili sentimentalismi nè assume mai i contorni torbidi e sorprendenti di un thriller, ci parla invece delle infinite forme dell'amore e del dolore delle persone che conoscevano Susie, della vita di questa ragazzina, delle sue amiche, della scuola, del suo primo amore: è questo romanzo un inno alla vita, in qualche modo,e insieme il rimpianto di non aver potuto viverla.
Iscriviti a:
Post (Atom)