...sono le passioni che ti salvano quando tutto intorno sembra crollare, solo attraverso loro sei vivo...
giovedì 25 ottobre 2012
Cosa tiene accese le stelle.Mario Calabresi.
Ogni volta che provo a raccontare i sogni che vorrei realizzare a qualcuno, l'espressione che mi trovo davanti è tutt'altro che incoraggiante; l'opinione più diffusa è che questo non sia il tempo di sognare, bensì di accontentarsi, e , ammetto che per molti anni l'ho pensato anche io. Come scusanti alla mia rinuncia arrogavo due motivi fondamentali : i tempi difficili e precari nei quali viviamo e il fatto che se nessuno mi aveva mai incoraggiata, forse, era perchè "sapevano" che io non ero all'altezza dei miei sogni.
Poi sono cresciuta e ho capito che in realtà le scuse che mi tenevano lontana dal provarci erano assolutamente inconsistenti, perchè dopo tutto io non avevo mai fallito, decisamente non avevo nemmeno cominciato, così, per farmi coraggio ho attinto direttamente da me stessa,e, quando le motivazioni crollavano o non bastavano, ho cercato fiducia e speranza nei libri.
E' con questo stato d'animo che ho comprato " Cosa tiene accese le stelle ". Mi ha colpita il titolo e il nome dell'autore: Mario Calabresi è il direttore della "Stampa", il mio quotidiano preferito,lo conoscevo soprattutto per i suoi libri e articoli sul terrorismo e mi ha sorpresa piacevolmente il fatto che abbia scritto un testo come questo.
E' un saggio che parla, innanzitutto, dell'Italia e degli Italiani, di come il sentimento di sfiducia che permea questo paese abbia paralizzato ogni nostra iniziativa più della crisi stessa, di come semplicemente non esista più spazio per il futuro e per i sogni. Non è tanto di politica e riforme mancate o sbagliate che Calabresi vuole parlare, ma, piuttosto, di quello che ogni singolo individuo può fare per migliorare la propria situazione: " Bisogna cavarsela da soli e siamo diventati troppo egoisti per ricordarci come si fa. Orfani di padre, cioè dell'autorità che trae origine dall'autorevolezza e consente ai figli di avventurarsi in territori inesplorati, sapendo di poter contare all'occorrenza su una robusta ringhiera. E con una classe dirigente specializzata nel dare il cattivo esempio, priva del titolo morale per imporre regole che è la prima a non rispettare...Almeno per chi è convinto che non ci si possa aspettare il riscatto sociale da teorie economiche e ideologie politiche, ma solo dall'urgenza di tante rivoluzioni individuali che riescano a connettersi fra loro, creando una vera comunità. Darsi una disciplina esistenziale, fissare dei traguardi e poi mettersi in marcia senza vittimismi, perché i se sono la patente dei falliti, mentre nella vita si diventa grandi nonostante ".
Per suffragare queste parole, che potrebbero apparire a molti come una vuota paternale, Calabresi riporta degli esempi, più o meno famosi, di persone che ce l'hanno fatta, che raccontano la propria esperienza e , dimostrano che, tutto sommato, non è l'epoca a determinare la riuscita, ma la fatica e l'impegno: giornalisti, scienziati, imprenditori, tutti a testimoniare che una possibilità c'è sempre, a volte fuori da questo paese, a volte a pochi passi da casa, che quello che conta è provarci, perchè non si sbaglia mai inseguendo le proprie passioni. Bisogna combattere per non diventare vittime di questa società, ma artefici di noi stessi.
"Tra vent'anni sarai più deluso dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto.." scriveva Mark Twain, quindi non ha senso non provarci, smettere di piangerci addosso è il primo passo verso la riuscita,e, come dice, la citazione di Leopardi che Calabresi ha scelto per il suo libro: " Questo tempo è gravido di avvenimenti … non lo sprecate. Quando ci libereremo dalla superstizione, dai pregiudizi, quando trionferà la verità, il diritto, la ragione, la virtù se non adesso? Quando risorgerà l’amor della patria? Quando? Sarà morto per sempre? Non ci sarà più speranza? Io parlo a voi… Ora è il tempo… O in questa generazione che nasce, o mai. Abbiatela per sacra, destatela a grandi cose, mostratele il suo destino, animatela."
sabato 20 ottobre 2012
Il corpo umano.Paolo Giordano.
E' impossibile non pensare a " La solitudine dei numeri primi " leggendo questo romanzo, e , non solo per la consequenzialità cronologica dei due, non solo perchè sono stati scritti dallo stesso autore, ma, anche e, soprattutto, perchè in entrambe le storie sono le imperfezioni e i traumi umani i veri protagonisti.
Paolo Giordano ci ha messo ben cinque anni a scrivere il suo secondo libro e, sono sicura, che parte di questo tempo sia anche dovuto al fatto che non deve essere stato facile rimettersi in gioco dopo il successo del suo primo romanzo: milioni di lettori si erano immedesimati in Alice e Mattia, molti di noi si erano all'improvviso scoperti numeri primi tra miliardi di numeri positivi.
Ne " Il corpo umano " Paolo Giordano affronta un argomento che apparentemente non ha niente a che vedere con il suo primo romanzo: in questo libro è la guerra a farla da padrone, la guerra vera, fisica, quella combattuta in Afghanistan, fatta di soldati, di uomini normali, molti di loro quasi degli anti- eroi; ma, accanto a questa guerra ce n'è un'altra che i protagonisti combattono, quella con se stessi, una guerra fatta di fughe e rimozioni, una guerra che non ha il rumore dei mortai, delle bombe, ma quello dei corpi, dei ricordi, che arrivano fin lì nel deserto, ad aggiungersi ai nemici, che sono dovunque, che li osservano, che li uccidono.
Questi ragazzi si ritroveranno in una delle aree più pericolose dell'Afghanistan, il Gulistan, il loro accampamento è la forward operating base ( fob ), una sorta di bolla di sicurezza di questa guerra e delle loro vite. Lì c'è il tenente medico Alessandro Egitto, che accumula mesi su mesi di missione pur di non affrontare la sua vita da civile; la divisa, quell'area recintata in mezzo al deserto e gli antidepressivi che prende sono per lui la forma più alta di protezione che la sua mente riesca a concepire.
C'è poi il maresciallo Antonio Renè che, da civile offre servizi a pagamento alle donne sole, un uomo che si ritrova al comando di un intero plotone senza in realtà esserne veramente in grado e, poi, ancora, tanti altri uomini, che nella loro vita di tutti i giorni hanno paura, fuggono da legami familiari, legami sociali, uomini per i quali questa guerra è la loro prova più grande, il vero passaggio all'età adulta.
Ancora una volta Paolo Giordano parla ai nostri tormenti, della paura di affrontarli, degli errori, a volte letali, che può portarci a fare, una vita non vissuta appieno, della vigliaccheria e dei sensi di colpa, che ogni uomo, almeno una volta nella vita si trova a vivere, le fragilità, le debolezze di chi fugge dalla guerra con se stesso, buttandosi in una guerra vera che paradossalmente considera meno pericolosa.
Paolo Giordano ci ha messo ben cinque anni a scrivere il suo secondo libro e, sono sicura, che parte di questo tempo sia anche dovuto al fatto che non deve essere stato facile rimettersi in gioco dopo il successo del suo primo romanzo: milioni di lettori si erano immedesimati in Alice e Mattia, molti di noi si erano all'improvviso scoperti numeri primi tra miliardi di numeri positivi.
Ne " Il corpo umano " Paolo Giordano affronta un argomento che apparentemente non ha niente a che vedere con il suo primo romanzo: in questo libro è la guerra a farla da padrone, la guerra vera, fisica, quella combattuta in Afghanistan, fatta di soldati, di uomini normali, molti di loro quasi degli anti- eroi; ma, accanto a questa guerra ce n'è un'altra che i protagonisti combattono, quella con se stessi, una guerra fatta di fughe e rimozioni, una guerra che non ha il rumore dei mortai, delle bombe, ma quello dei corpi, dei ricordi, che arrivano fin lì nel deserto, ad aggiungersi ai nemici, che sono dovunque, che li osservano, che li uccidono.
Questi ragazzi si ritroveranno in una delle aree più pericolose dell'Afghanistan, il Gulistan, il loro accampamento è la forward operating base ( fob ), una sorta di bolla di sicurezza di questa guerra e delle loro vite. Lì c'è il tenente medico Alessandro Egitto, che accumula mesi su mesi di missione pur di non affrontare la sua vita da civile; la divisa, quell'area recintata in mezzo al deserto e gli antidepressivi che prende sono per lui la forma più alta di protezione che la sua mente riesca a concepire.
C'è poi il maresciallo Antonio Renè che, da civile offre servizi a pagamento alle donne sole, un uomo che si ritrova al comando di un intero plotone senza in realtà esserne veramente in grado e, poi, ancora, tanti altri uomini, che nella loro vita di tutti i giorni hanno paura, fuggono da legami familiari, legami sociali, uomini per i quali questa guerra è la loro prova più grande, il vero passaggio all'età adulta.
Ancora una volta Paolo Giordano parla ai nostri tormenti, della paura di affrontarli, degli errori, a volte letali, che può portarci a fare, una vita non vissuta appieno, della vigliaccheria e dei sensi di colpa, che ogni uomo, almeno una volta nella vita si trova a vivere, le fragilità, le debolezze di chi fugge dalla guerra con se stesso, buttandosi in una guerra vera che paradossalmente considera meno pericolosa.
martedì 2 ottobre 2012
Incontrarsi. Angela Barile.
Provo a seguire il tuo passo, a non fare resistenza, ad accettarti così come sei, imperfetta e talvolta fragile.
Ho avuto paura di te, di questa sconosciuta che ogni tanto mi appariva in sogno, ho urlato più forte per coprire la tua voce, volevo smettere di soffrire, non capivo che la sofferenza era oppormi.
Adesso sono qui, non di fronte, ma di fianco a te, ti osservo bene prima di prendere qualsiasi decisione, ti ascolto e non fuggo più, anche se, a volte, quello che dici mi fa paura.
Ho passato 34 anni a cercarti, per strada, nei bar, tra la gente, come se la completezza si potesse avere solo dall'esterno: quando si parla d'amore molti dicono che bisogna trovare il nostro pezzo mancante, ecco, io non sono daccordo, dobbiamo essere completi per amare, completi per non dare all'altro una responsabilità che non gli compete.
Tutti questi anni per capirlo, a soffrire inutilmente per qualcosa che semplicemente cercavo nel posto sbagliato. Le prime volte in cui ti ho percepita davvero sono state nei miei sogni, nell'unica parte di me che non potevo controllare, all'inizio non ci badavo più di tanto, poi ho cominciato a guardarli questi sogni,e , pian piano, ho iniziato a conoscerti, se prima eri solo un fruscìo, poi, sei diventata vento e infine tempesta, più ti riconoscevo, più facevi rumore, più diventavi presenza concreta. All'inizio ti ho combattuta, mi facevi rabbia, non riuscivo a riconoscerti, mi apparivi come qualcosa di estraneo, di doloroso, poi finalmente ti ho accolta. Non c'è stato un momento preciso, solo, un pò alla volta, ho accettato che tu c'eri e, dopo un pò, hai cominciato a piacermi. E' come rinascere sai ( ma si che lo sai! ) con tutte le paure e le sorprese che la vita riserva, senza sapere nulla di quello che sarà, non immaginavo che l'incertezza potesse, in una certa misura, essere così stimolante, non immaginavo che si potesse essere coraggiosi anche avendo paura.
Ora sei qui con me, anche mentre scrivo, non riesco più a distinguere se sono le mie o le tue dita a pigiare i tasti, ormai non c'è più nessuna separazione, nessun confine, sia fuori che dentro, non cerco perchè ho già trovato, piuttosto assaporo, osservo, mi incuriosisco di tutto quello che ho intorno; non so che sapore ha trovare "il grande amore", ma conosco il sapore che mi hai lasciato tu dentro e fatico a credere che ci sia qulcosa che possa superarlo.
Ho avuto paura di te, di questa sconosciuta che ogni tanto mi appariva in sogno, ho urlato più forte per coprire la tua voce, volevo smettere di soffrire, non capivo che la sofferenza era oppormi.
Adesso sono qui, non di fronte, ma di fianco a te, ti osservo bene prima di prendere qualsiasi decisione, ti ascolto e non fuggo più, anche se, a volte, quello che dici mi fa paura.
Ho passato 34 anni a cercarti, per strada, nei bar, tra la gente, come se la completezza si potesse avere solo dall'esterno: quando si parla d'amore molti dicono che bisogna trovare il nostro pezzo mancante, ecco, io non sono daccordo, dobbiamo essere completi per amare, completi per non dare all'altro una responsabilità che non gli compete.
Tutti questi anni per capirlo, a soffrire inutilmente per qualcosa che semplicemente cercavo nel posto sbagliato. Le prime volte in cui ti ho percepita davvero sono state nei miei sogni, nell'unica parte di me che non potevo controllare, all'inizio non ci badavo più di tanto, poi ho cominciato a guardarli questi sogni,e , pian piano, ho iniziato a conoscerti, se prima eri solo un fruscìo, poi, sei diventata vento e infine tempesta, più ti riconoscevo, più facevi rumore, più diventavi presenza concreta. All'inizio ti ho combattuta, mi facevi rabbia, non riuscivo a riconoscerti, mi apparivi come qualcosa di estraneo, di doloroso, poi finalmente ti ho accolta. Non c'è stato un momento preciso, solo, un pò alla volta, ho accettato che tu c'eri e, dopo un pò, hai cominciato a piacermi. E' come rinascere sai ( ma si che lo sai! ) con tutte le paure e le sorprese che la vita riserva, senza sapere nulla di quello che sarà, non immaginavo che l'incertezza potesse, in una certa misura, essere così stimolante, non immaginavo che si potesse essere coraggiosi anche avendo paura.
Ora sei qui con me, anche mentre scrivo, non riesco più a distinguere se sono le mie o le tue dita a pigiare i tasti, ormai non c'è più nessuna separazione, nessun confine, sia fuori che dentro, non cerco perchè ho già trovato, piuttosto assaporo, osservo, mi incuriosisco di tutto quello che ho intorno; non so che sapore ha trovare "il grande amore", ma conosco il sapore che mi hai lasciato tu dentro e fatico a credere che ci sia qulcosa che possa superarlo.
martedì 18 settembre 2012
Diario 1941-1943.Etty Hillesum.
Ho scoperto questo libro per caso in rete, ultimamente sono molto attratta da testi che vadano un pò oltre la semplice storia che ti toglie il respiro mentre la leggi, e questo mi sembrava adatto, si inizialmente, prima di comprarlo, ho pensato semplicemente che fosse "adatto"; e ora eccomi qui a scrivere di uno dei libri più scioccanti e sconvolgenti che mi sia mai capitato di leggere.
Etty Hillesum è un'ebrea olandese, una donna estremamente passionale e di un'intelligenza non comune, nel 1941 Etty ha 27 anni, è una ragazza ricca e colta con un'esistenza normale e una vita sentimentale piuttosto movimentata, nelle prime pagine di questo diario la protagonista parla soprattutto dei suoi amori, nomina Dio, ma questa parola è ancora qualcosa di astratto, un modo di dire semplicemente; della guerra quasi non ci accorgiamo leggendo le prime pagine: Etti è un'ebrea che vive in Olanda nel 1941,e, a parte qualche accenno al popolo tedesco, all'inizio del Diario, c'è poco altro a proposito di quello che sta avvenendo in quel periodo in Europa.
Non è un caso quest'omissione:il Diario è, paradossalmente, una rinascita, Etty racconta quello che avviene dentro di se; man mano che andiamo avanti nella lettura, ci rendiamo conto di come il mondo esterno diventi sempre di più uno scenario, un pretesto perchè l'apoteosi del suo percorso personale abbia luogo.
Per la prima volta nella mia vita sono stata costretta a guardare con occhi nuovi a uno dei periodi più terribili e angoscianti della storia mondiale: quando, in passato, ho letto Il diario di Anna Frank, vedevo il Nazismo e l'Olocausto con gli occhi di una ragazzina che non capiva bene quello che stava avvenendo e conservava in se la speranza di riuscire a farcela, nonostante tutto; leggendo il Diario di Etty Hillesum il punto di vista cambia totalmente. Etty è una donna consapevole, sa esattamente quello che sta accadendo, non si dispera, non cerca di fuggire, ma "coglie l'occasione" perchè tutto questo orrore possa renderla una persona migliore.
Nonostante tutto, l'idea che abbiamo di questa donna, non è quella di martire, Etty è una donna normale, una donna che risponde alla più grande disumanità di tutti i tempi con un'accettazione e un amore che sono fuori dal comune in un contesto simile.
Scrive: “Dentro di me c'è una sorgente profonda; a volte riesco a raggiungerla, a volte resta sepolta, allora bisogna dissotterrare di nuovo, liberare da pietre e da sabbia e ritrovare la fonte. Mi ritiro nel monastero interiore, lontano dalle distrazioni; mi concentro in unità e ne esco più raccolta, concentrata e forte. Chiamo Dio la parte più profonda e ricca di me; chiamo Dio il mio amore per la vita;...
Non mi abbandono alla tristezza. Mi sento nel grembo della vita. Ascolto il battito fedele del cuore. Respiro l'aria fresca, sento la carezza dell'aria. Contemplo l'ampio cielo tutto intero sopra di me. La casa della mia interiorità mi impedisce di sfasciarmi, perdermi, rovinarmi. Mi ascolto dentro. Mi sento salva e sicura nell'accostare il mistero di Dio in me. Una grande fiducia va maturando lentamente e mi aiuta a governare con calma le asprezze della giornata. Riguadagno il contatto con me, col più profondo di me, col meglio che c'è in me, che io chiamo Dio… e se Dio non mi aiuterà, sarò io ad aiutare Dio; tocca a noi aiutare te, oh Dio. Difendere fino all'ultimo la tua casa in noi. L'unica cosa che possiamo ancora salvare e che veramente conta è un piccolo spazio di te in noi... Siamo noi a dover aiutare te, in questo modo aiutiamo noi. Cercherò di aiutarti perché tu non venga sepolto dentro di me. Sono stata strattonata da relazioni amorose. Mi sento salva e sicura in Te. Quel pezzetto di eternità che ci portiamo dentro può essere espresso in una parola come in dieci volumi: Dio è il mio amore per la vita.”
Ma il Dio che viene fuori da questo Diario è un Dio personale e laico, qualcosa che è innanzitutto la nostra essenza più profonda, è come se in ognuno di noi ci fosse una sorgente divina e, quindi, queste preghiere siano, in realtà rivolte a noi stessi, non c'è distanza tra umano e divino, tutt'al più le due cose si compenetrano, e compito di noi uomini, è convivere con entrambe senza soffocare nessuna delle due.
Etty cerca di fare questo fino alla fine dei suoi giorni, morirà in un campo di concentramento anche lei, lasciandoci in eredità un messaggio d'amore inaspettato se si tiene conto del periodo storico in cui è stato scritto; all'odio, alla violenza, all'atrocità lei risponde con la dedizione verso il prossimo e la preghiera.
Se una donna che ha vissuto quello che ha vissuto lei può pensare e scrivere cose come queste allora diventa un fatto incontrovertibile che l'odio non ha nessun motivo di esistere e non è mai giustificabile.
giovedì 26 luglio 2012
Il tempo dei bilanci e delle decisioni.
Ricordo ancora, come fosse ieri, il mio primo treno per Firenze, ricordo il tepore anomalo di quel febbraio del 2007. Le valigie strabordavano della nuova me stessa che mi portavo dietro, un'Angela fatta di sogni, di dolori più o meno rimarginati, della volontà di poter fare quello che aveva sempre desiderato: andare via. Sono cresciuta con la strana consapevolezza di non vedere il futuro nel posto in cui ero nata e non soltanto lavorativamente ma anche e, soprattutto, emozionalmente. Ho sempre invidiato le persone che amavano la propria città di origine, io, personalmente non l'ho amata mai, ogni giorno della mia esistenza era costellato da questo non amore, senza che ci fosse un valido motivo.
Firenze per me era il raggiungimento di questo mio sogno, un punto di arrivo. Avevo 28 anni, mi sembravano pochi, oggi so che erano già troppi, che forse avrei dovuto laurearmi più in fretta, decidere più in fretta, ma è facile tirare le fila con la mia nuova consapevolezza, all'epoca ero una ragazzina o almeno così mi sentivo.
Firenze è stata il mio banco di prova, ha rappresentato lo sradicamento fisico di qualcosa che prima era solo una sensazione; ricordo i primi mesi, quasi su di giri, felice di essere libera e artefice della mia vita, uscivo tutte le sere, presa da una foga e un'entusiasmo incommensurabili, come sotto l'effetto di una droga, ho accettato il primo lavoro che mi veniva offerto, l'indipendenza mi sembrava il giusto prezzo da pagare alla rinuncia dei miei sogni: si, volevo scrivere, volevo lavorare con i libri, ma non c'era tempo, dovevo guadagnare, avere uno stipendio a fine mese.
Per anni mi sono detta che non era più tempo per sognare: già nel 2007 avevo scelto, se fossi rimasta a casa con i miei, forse, avrei potutto provare a fare master, stage, chissà a scrivere un romanzo, ma avevo fatto un'altra scelta e, non era stata avventata, ho sempre deciso tutto nella mia vita valutando bene i pro e i contro, peccato che col tempo le priorità cambino!
Di Firenze salvo le persone che ho conosciuto, meravigliose e accoglienti.
Mi dissero, prima di partire, che i fiorentini non erano granchè simpatici, che erano freddi, quasi aristocratici, io l'ho trovati infinitamente umani seppur molto discreti; ironici e contestatori, figli di una città antica e rispettata, innamorati della propria squadra di calcio, orgogliosi di quel giglio che, che, più di ogni altro, è il simbolo del loro passato e di un'appartenenza che a loro ho sempre invidiato, perchè io non riuscivo a sentirla.
Volevo affondare le mie radici in questo posto, ma in tutti questi anni non ci sono riuscita mai per un secondo, non mi sono mai sentita a casa qui, ho sempre sentito questi luoghi di passaggio, un controsenso se penso alla sensazione che avevo su quel treno che saliva verso nord, eppure eccomi adesso dopo cinque anni e mezzo a dover rivedere tutto daccapo.
C'è la crisi economica in tutto il mondo e io non ho più 28 anni, ho un lavoro stabile, pagato abbastanza bene, sicuro, ma che odio, in maniera profonda e quasi colpevole.
Ma se c'è una cosa che Firenze mi ha insegnato è l'umiltà di accettare che si può cambiare idea, che gli amici non possono sostituire la propria famiglia, che gli amori non arrivano quando dovrebbero, o forse non arrivano proprio perchè non devono, con un uomo accanto non mi sarei riavvicinata alla mia famiglia, alla mia terra, forse sarei rimasta qui, un uomo mi avrebbe dato prova che avevo ragione, che tutto poteva essere sostituito, ma non è stato così.
Ritorno a casa, o almeno mi avvicino perchè la paura di nessuna crisi mondiale può competere con i sorrisi della mia nipotina che a stento sa che esisto, con l'amore della mia famiglia che mi ha sempre assecondata in ogni mia scelta, anche quando la mia decisione mi allontanava da loro. So adesso che devo riappacificarmi con la mia terra e con tutto quello che mi ha permesso di essere quella che sono, qui mi sento una donna a metà, come dice una frase che ho letto un pò di tempo fa, un pianoforte senza i tasti neri, incapace di produrre una melodia completa.
mercoledì 18 luglio 2012
Il vile agguato. Enrico Deaglio.
Rabbia e incredulità, sono queste le sensazioni che mi hanno pervasa nella lettura de "Il vile agguato " di Enrico Deaglio. Già di per sè, l'attentato al giudice Paolo Borsellino crea sgomento, dolore, ma ancora peggio è, se vogliamo, il modo in cui a questa tragedia si è arrivati e come sono state condotte le indagini (indagini?) nei 20 anni seguenti.
Scopro con questo libro, da profana, abbastanza ignorante a proposito, fatti incomprensibili, la cui assurdità è talmente lampante da poter essere notata anche da un bambino, ma non dagli inquirenti, a quanto pare!
Innanzitutto mi colpsice che, abitava in via D'Amelio, un certo Salvatore Vitale , proprietario di un maneggio di Palermo, lo stesso in cui andava a saltare gli ostacoli il piccolo Giuseppe Di Matteo, si, proprio lui, il bambino rapito da Cosa nostra e successivamente ammazzato e sciolto nell'acido, per punire il padre pentito; lo stesso Vitale, a quanto pare, la mattina di quel giorno, aveva fatto allontanare dei bambini che giocavano a pallone vicino alla famosa 126 rossa che, poi, saltò in aria, lui stesso e la sua famiglia quel giorno non si trovavano a Palermo, ma erano andati a fare una gita in campagna.
Via D'Amelio era, inoltre, una zona pericolosissima, strada cieca, difficile da gestire, anche per la grande quantità di automobili parcheggiate,più volte la cosa era stata fatta notare, ma nessuno aveva preso provvedimenti ; tante cose in questa soria vengono ignorate o meglio "tralasciate" prima e dopo l'attentato, la scena del crimine viene immediatamente inquinata, non consentendo rilievi scentifici attendibili, per anni il processo si basa su un colpevole assolutamente non credibile, tale Vincenzo Scarantino, che confessa tutto,e, poi ritratta, riconosciuto innocente nel 2011.
Ancora oggi, a distanza di 20 anni, non si sa chi sia stato ad uccidere Paolo Borsellino, ma questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, siamo in Italia, "il paese felice" dove si preferisce insabbiare, nascondere, non vedere quello che per altri occhi sarebbe decisamente ovvio.
E' un'indagine questa che ti lascia con l'amarezza in bocca, che fa aumentare sfiducia e pessimismo.
La mafia che viene fuori da queste pagine è parte costituente del nostro paese, talmente ramificata e con radici così profonde, da non poter distinguere cosa tocca e cosa risparmia, non ci sono buoni che combattono contro cattivi, o, meglio, in questa guerra, il buono non sa mai chi ha davanti, è una lotta impari, non è più quella tra Stato e Mafia, perchè Stato e Mafia combattono fianco a fianco, sono l'uno parte integrante dell'altra.
La sensazione che ho avuto è che Falcone e Borsellino più in là non potessero andare perchè erano disperatamente soli, senza alcuna protezione, se non la propria scorta, fatta di uomini, di singoli uomini, che credevano realmente in quel che facevano, sapendo di rischiare ogni giorno la vita.
Questa è la storia di due grandi amici, che, sognavano di sconfiggere la Mafia,e, che per questo furono denigrati e uccisi, e, dopo la morte, osannati; persone che, in un altro mondo, sarebbero definite normali, ma, che, nel nostro diventano, eroi.
Scopro con questo libro, da profana, abbastanza ignorante a proposito, fatti incomprensibili, la cui assurdità è talmente lampante da poter essere notata anche da un bambino, ma non dagli inquirenti, a quanto pare!
Innanzitutto mi colpsice che, abitava in via D'Amelio, un certo Salvatore Vitale , proprietario di un maneggio di Palermo, lo stesso in cui andava a saltare gli ostacoli il piccolo Giuseppe Di Matteo, si, proprio lui, il bambino rapito da Cosa nostra e successivamente ammazzato e sciolto nell'acido, per punire il padre pentito; lo stesso Vitale, a quanto pare, la mattina di quel giorno, aveva fatto allontanare dei bambini che giocavano a pallone vicino alla famosa 126 rossa che, poi, saltò in aria, lui stesso e la sua famiglia quel giorno non si trovavano a Palermo, ma erano andati a fare una gita in campagna.
Via D'Amelio era, inoltre, una zona pericolosissima, strada cieca, difficile da gestire, anche per la grande quantità di automobili parcheggiate,più volte la cosa era stata fatta notare, ma nessuno aveva preso provvedimenti ; tante cose in questa soria vengono ignorate o meglio "tralasciate" prima e dopo l'attentato, la scena del crimine viene immediatamente inquinata, non consentendo rilievi scentifici attendibili, per anni il processo si basa su un colpevole assolutamente non credibile, tale Vincenzo Scarantino, che confessa tutto,e, poi ritratta, riconosciuto innocente nel 2011.
Ancora oggi, a distanza di 20 anni, non si sa chi sia stato ad uccidere Paolo Borsellino, ma questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, siamo in Italia, "il paese felice" dove si preferisce insabbiare, nascondere, non vedere quello che per altri occhi sarebbe decisamente ovvio.
E' un'indagine questa che ti lascia con l'amarezza in bocca, che fa aumentare sfiducia e pessimismo.
La mafia che viene fuori da queste pagine è parte costituente del nostro paese, talmente ramificata e con radici così profonde, da non poter distinguere cosa tocca e cosa risparmia, non ci sono buoni che combattono contro cattivi, o, meglio, in questa guerra, il buono non sa mai chi ha davanti, è una lotta impari, non è più quella tra Stato e Mafia, perchè Stato e Mafia combattono fianco a fianco, sono l'uno parte integrante dell'altra.
La sensazione che ho avuto è che Falcone e Borsellino più in là non potessero andare perchè erano disperatamente soli, senza alcuna protezione, se non la propria scorta, fatta di uomini, di singoli uomini, che credevano realmente in quel che facevano, sapendo di rischiare ogni giorno la vita.
Questa è la storia di due grandi amici, che, sognavano di sconfiggere la Mafia,e, che per questo furono denigrati e uccisi, e, dopo la morte, osannati; persone che, in un altro mondo, sarebbero definite normali, ma, che, nel nostro diventano, eroi.
lunedì 9 luglio 2012
La mia arma. Angela Barile.
Ringrazio Dio ogni giorno dell'amore per la lettura che mi ha donato.
Lui sapeva che mi sarebbe tornato utile; mentre io a 4 anni mi innamoravo delle parole lui era lì ad incoraggiarmi- Su Angela, continua così-mi diceva-i libri saranno la tua arma!.
Si, perchè ognuno di noi ne ha una, una capacità che lo aiuterà ad affrontare la vita: c'è chi è dotato di una profonda ironia, chi ha uno spiccato senso artistico, chi una naturale propensione all'egoismo, e, infine, chi, ha un profondo amore per qualcosa.
I libri, in effetti, mi hanno salvata più di una volta: da piccola quasi non me ne rendevo conto, sapevo, tuttavia, che la parola scritta mi apriva un nuovo mondo, era come una porta, che oltrepassavo quando ero triste, non mi sentivo capita, o, semplicemente quando, la realtà non mi bastava.
Tante cose nella vita non avrei potuto superare senza i libri e vi assicuro che non è un'esagearazione!
In un lavoro come il mio i libri mi hanno salvata nelle ore vuote e infinitamente lunghe di questo negozio/prigione, alcuni personaggi mi hanno soccorsa con una parola, una frase, e io ho colto sempre in essi quello che volevo sentirmi dire; alcuni sono stati un colpo di fulmine, altri ho imparato ad amarli pagina dopo pagina, di alcuni mi ha rapita un titolo, di altri l'immagine di una copertina, di altri ancora una citazione letta per caso su internet.
Quando il dolore, in certi giorni, è stato troppo forte, perdermi nelle pagine di un romanzo, è stato l'unico sollievo: arrivavano sempre in mio aiuto come angeli dal cielo, io li cercavo e loro apparivano sul mio cammino, come se fossero stati scritti solo per me tra milioni di esseri umani. Ognuno trova in un libro quello che cerca, libri che per me sono stati meravigliosi potrebbero dire poco o niente a qualcun altro, si arriva alle pagine di un romanzo con il proprio bagaglio, la propria personalità: io, per esempio mi sono sentita un numero primo nel romanzo di Paolo Giordano, orfana in "Fai bei sogni" di Gramellini, ho ritrovato il mio amore immaginato e sognato nelle lettere del romanzo di Grossman "Che tu sia per me il coltello" e potrei elencare un'infinita serie di titoli ancora e, probabilmente, non tutti saranno daccordo con me, molti avranno trovato questi libri noiosi,o, comunque , insignificanti.
Il potere e la magia della lettura è proprio questo, ognuno trova nei libri quello che serve, sono come una lampada di Aladino da accarezzare, un vaso di Pandora da aprire, dentro quelle pagine ci sei tu, innanzitutto, non una semplice storia, c'è quello che vuoi che ci sia.
So che posso sentire tutto questo solo perchè li amo, so che sembrerò una visionaria per chi legge poco o non legge affatto, ma chi mi conosce, potrà capire, anche se non condividere, queste parole con me.
Dopo tutto la lettura è la "mia " arma, ognuno, leggendo queste parole, forse, troverà la sua.
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