martedì 8 luglio 2014

Vita dopo vita. Kate Atkinson.


                                       



" E se avessi la possibilità di rivivere più volte la tua vita, finchè non venisse come deve? Non sarebbe splendido? "

                                                                                                   Edward Beresford


«Pochi istanti dopo essere venuta al mondo, il mio cuore ha smesso di battere. A quattro anni, sono annegata nell’oceano. A cinque anni, sono scivolata da un tetto coperto di ghiaccio. A otto anni, ho preso l’influenza spagnola. Quattro volte. A ventidue anni, mio marito mi ha spinto con violenza contro un tavolino, uccidendomi. A trent’anni, sono morta durante un bombardamento tedesco su Londra. E su di me cadevano le tenebre. Ma ho sempre avuto un’altra possibilità.»


Le intermittenze di una vita, ecco quello che racconta questo romanzo. Ursula nasce e muore più volte in queste pagine, è in queste vite che si dipana l'intera sua esistenza e quella di tutte le persone che le sono intorno, ogni evento può sempre accadere di nuovo, oppure no, è come se il tempo non fosse fatto dell'essenza cronologica che tutti gli riconosciamo, ma fosse circolare, come un serpente arrotolato su se stesso. C'è sempre un'altra possibilità per Ursula, e, ogni volta che lei si ritrova a vivere determinate condizioni, viene colta da un terrore primordiale, come se dell'altra vita avesse solo un sentore, che le fa sperimentare una sorta di preveggenza. In alcuni casi riesce a mutare il corso degli eventi cambiando non solo il suo destino ma, spesso, anche quello dell'intera umanità.

Ursula attraversa con le sue esistenze l'intero '900, il secolo delle guerre, dell'abominio nazista, ma anche del progresso, dell'emancipazione femminile, e, tutti questi elementi sono parte integrante della sua vita, tutto cambia nell'alternarsi delle sue esperienze, le uniche cose che restano come punti fermi indistruttibili sono il peso che questi eventi storici hanno avuto su di lei e, i membri della sua famiglia:ogni personaggio ha sempre, infatti, il medesimo ruolo e le stesse caratteristiche.

E' molto interessante e seducente la caratterizzazione dei protagonisti vista sulla scala di un tempo circolare, loro rimangono identici, ma esistenza dopo esistenza sempre più completi e vividi, come se, di volta in volta, venisse fuori qualcosa che prima ci era sfuggito.

Alla fine del libro si avrà la sensazione, che tutte queste vite, ripetute e sempre diverse, sono parte di un progetto unico, niente può essere tolto o aggiunto senza che il romanzo risulti manchevole, un aspetto che, personalmente, mi ha fatto molto riflettere sul significato lineare che si dà solitamente al tempo e allo spazio, che mi è sembrato "difettoso"  per la prima volta nella mia vita.

Forse, dopo tutto, le nostre esistenze non sono proprio come appaiono, forse è vero, tutti gli esseri umani hanno infinite possibilità perchè, come dice Sylvie, la madre di Ursula, alla fine del libro, "La perfezione si raggiunge con la pratica".
















mercoledì 4 giugno 2014

Le lunghe notti di Anna Alrutz. Ilva Fabiani.

                                         

                                                    


Questa è una storia di cui non riesci a liberarti, che ti catapulta in un passato lontano e, che, tu lettore, continui a sentirti addosso, come se quel tempo ti aleggiasse intorno, ti avvolgesse, vergognoso, pericoloso, sofferente.
Anna è qui, vento invisibile che soffia leggero o impetuoso, che si aggira nelle stanze della clinica dove ha lavorato,  che insegue le vite di chi è rimasto e cerca di afferrare le anime di chi è andato.

Anna è una braune Schwester, un'infermiera speciale del terzo Reich, lei contribuisce a rendere ancora più perfetta la razza ariana, si occupa della sterilizzazione di donne che, con i loro deficit fisici o psichici , potrebbero mettere al mondo figli non perfettamente sani.
Ma Anna è anche la voce narrante che viene fuori da queste pagine, che sibila tra gli atti violenti e inesplicabili di questo tempo. Ci racconta di una bambina sana e forte, di un'epoca lontana fatta di scuola e di vacanze, dell'adolescenza spensierata, dei primi contrasti in famiglia, del primo amore della sua vita, impossibile e platonico, di come e perchè lei, come milioni di tedeschi, abbia cominciato a vedere in Hitler il salvatore di se stessa e della Germania intera.

E tutto quello che succede sembra essere qui davanti a noi, il lettore lo vede, esattamente come la protagonista, ripetersi continuamente davanti ai suoi occhi. E' triste e struggente questo libro e non solo per l'argomento che tratta, ma anche perchè tutti noi ci sentiremo un pò Anna in queste pagine, capiremo che il male è una cosa che riguarda tutti, che non è così scontato, così definito, che nasce dalle nostre paure, dalle nostre debolezze,e, spesso non siamo capaci di individuarlo subito.

Anche lei lo capirà, poco prima di essere vento e il suo racconto sarà una catarsi necessaria e penosa, un luogo dove far rivivere tutto il dolore e la poesia, che pure si nasconde in questa assurda vita.

lunedì 2 giugno 2014

Lo straniero. Albert Camus.





                                                   


Nella mia vita è arrivato il momento giusto per ogni libro che avrei voluto leggere.
Ieri ho comprato e finito Lo straniero di Albert Camus. Ho sempre pensato che ci avrei messo un pò per leggerlo, e, invece, eccomi, l'ho divorato in poco più di due ore, soggiogata dalla sua scrittura essenziale, dalle frasi brevi e indissolubilmente distaccate l'una dall'altra, così nitide a descrivere il mondo quanto ermetiche a parlare di emozioni.

Il signor Meursault è lo straniero, l'uomo che vive alienato dalla propria vita e da quella degli altri.
Nelle prime pagine lui, assiste, quasi indifferente alla morte di sua madre, che viveva, ormai, da anni in un ospizio, sembra incapace di provare il benchè minimo dolore, accetta quest'evento, come qualcosa di ineluttabile, che, non cambia per niente la sua vita.
Tutto quello che gli succederà, da quel momento in poi, sembra quasi guidato da una mano invisibile, compreso l'omicidio che lo porterà in carcere ad una pesante condanna. Meursault ha sparato, ma non con l'intenzione di uccidere, era il sole di Algeri ad essere troppo caldo, a farlo agire senza che lui si rendesse ben conto di quello che faceva. E' un uomo che non mente a se stesso, che non intende giustificarsi, dice le cose così come stanno, senza mostrare nessuna emozione, non ama parlare di se, di quello che sente, è di poche parole, per lui esiste solo il mondo esterno, per lui la vita è rappresentata esclusivamente dai gesti che compie.
Quando Maria, la donna che ha conosciuto subito dopo la morte della madre, gli chiede se la ama, Meursault non sa rispondere, ma subito dopo è immediatamente colpito dal suo sguardo in cui si perde e si abbandona, ed è questa la cosa importante, molto più chiara di una sua qualsiasi risposta.

Durante il processo Meursault non appoggerà la linea difensiva del suo avvocato, non riuscirà a giustificare il suo gesto, perchè incapace di mostrarsi per quello che non è, accetterà la condanna, come ha sempre accettato ogni evento della sua vita, lasciandosi travolgere dalle conseguenze delle sue azioni, incapace di non essere straniero in mezzo agli uomini.

Solo nelle ultime pagine, il protagonista, si lascia andare ad un lungo monologo,e, lo fa urlando, per la prima volta, in tutto il romanzo, in queste ultime righe lui grida tutta la sua estraneità agli altri e al mondo, pronto ad affrontare il proprio destino che è poi il destino di tutti gli uomini.

Sembra quasi che Camus voglia dirci, in queste pagine, che, la felicità non è altro che questo:abbandonarsi.

venerdì 30 maggio 2014

A te. Angela Barile.

Continuo a scrivere di te, anche adesso che non ci sei più, anche ora che le pagine della tua vita sono bianche già da un pò. Mi piacerebbe riempirle io al posto tuo, come se si potesse continuare a far vivere qualcuno, anche quando lui non vive più. Ti ho messo via quando eri vivo, e adesso che sei morto non riesco a farlo. Sei come resuscitato dentro me, il tuo cuore ha ripreso a battere, il tuo sangue a scorrere, i tuoi polmoni a respirare e non riesco a liberarmi del tuo ricordo, ogni parte del tuo corpo è vivida come lo era quando eri davanti a me, certe tue espressioni, certi tuoi sorrisi, tutto è ritornato dal momento esatto in cui volavi da quella finestra. E' vera questa cosa, che i morti non muoiono mai, se prima te li sentivi accanto, ora ti vivono dentro, non hanno più vita propria e respirano in quelli che sono rimasti, ognuno porta con se un pezzetto, una parte precisa da cui è impossibile liberarsi: io porto con me le tue mani, con le dita leggermente nodose, non troppo grandi, quelle tue unghia rosicchiate da tutti i tuoi pensieri, ne ricordo il calore, la stretta decisa, la sensazione di tormento che comunicavano, le vedo ancora, erano mani che si aggrappavano alla vita, e, anche quel giorno, di questo sono sicura, loro hanno lasciato solo per un attimo la presa, in quel lancio si sono aggrappate alla morte.

Io ti ho cercato tanto, mi capita ancora oggi di credere di incrociare il tuo sguardo, mi basta vedere un ragazzo con la barba rossiccia e un cappello con la visiera per credere di riconoscerti in lui, mi sorprende sempre constatare che non sei tu, è come se non riuscissi ad assimilare il concetto di morte.

Sarà che per me tu non sei morto mai, è come se ti fossi fermato a guardare il panorama da quella finestra e stessi fumando lì, affacciato, la tua sigaretta, con le campane di San Pietro che suonano lì vicino e i gabbiani che sciamano con lentezza sulla città, e, tu, lì, immobile.
 Per l'eternità.








                                     

lunedì 5 maggio 2014

Shantaram. Gregory David Roberts.



                                               


Devo ammettere che, all'inizio, la mole di questo libro (1200 pagine) mi ha spaventata, ha riposato sugli scaffali della mia libreria per tre anni, finchè ho deciso di cominciare la mia avventura con Shantaram. Ci sono dei libri che non riesci a smettere di leggere, libri a cui non smetti di pensare neanche quando sei al al lavoro, che non vorresti mai interrompere, e che non vedi l'ora di riprendere al ritorno a casa. Ecco, questo è Shantaram, un viaggio sorprendente in una terra meravigliosa, l'India, un percorso alla ricerca del bene, un inno all'amore e al perdono, un testo che fa riflettere e commuovere, ma in cui si ride anche.

L'autore, Gregory David Roberts, è un australiano, ex studente di filosofia, ex eroinomane, ex rapinatore, che finisce in carcere, condannato ad una pena di 19 anni, da lì evade con una rocambolesca fuga, e, con un passaporto falso, arriva a Bombay, dove trascorrerà la maggior parte dei suoi 10 anni di latitanza, fino a quando verrà nuovamente catturato. Di nuovo in carcere, l'uomo scriverà questo libro che si ispira, romanzandoli, ai 10 anni in cui è stato in fuga.

Protagonista indiscussa di questo libro è Bombay, città caotica e accogliente, fatta di odori penetranti e di caldo pungente che, all'inizio, quasi toglie il respiro, fatta di tanta gente, di personaggi indimenticabili, di cui il lettore si innamora immediatamente: al suo arrivo, Lindsay, il protagonista, con il suo nuovo nome fresco di passaporto contraffatto, incontra Prebaker, la guida indiana simpatica che conquista con il suo sorriso aperto e sincero,e, pagina dopo pagina,vediamo il libro riempirsi di personaggi straordinari: la losca e artistica combriccola del Leopold, locale caratteristico della zona turistica della città, le indimenticabili donne, personaggi dolci ed enigmatici, coraggiosi e fragili, a volte lievi parentesi in un mondo fatto di violenza, altre volte parti integranti della violenza stessa, vittime, ma spesso anche carnefici di grandi atrocità. E poi, i poveri, i poveri di Bombay, che vivono nella miseria più assoluta con la leggerezza e l'ottimismo tipico del popolo indiano, il libro è impregnato dei loro sorrisi, del loro lavoro incessante, del loro amore disinteressato.

E in mezzo a tutti questi personaggi ecco Shantaram, che significa "uomo di pace"( così il protagonista viene soprannominato durante una visita in un villaggio indiano), un criminale, uno dei maggiori ricercati al mondo, un uomo, che cerca di trovare in questa terra, una nuova identità, che non sia solo anagrafica, una vita che sia quanto meno accettabile, nonostante le privazioni a cui deve sottostare un evaso, e, che, alla fine si ritroverà medico, senza nessun titolo, in uno slum( nome dei quartieri più poveri di Bombay), a lavorare per la mafia indiana, a combattere, in Afghanistan, al fianco dei mujaheddin, per riscoprire, paradossalmente, un se stesso nuovo, capace di "affrontare il volto feroce e sorridente del mondo".

Alla fine, quando ormai avevo quasi finito questo romanzo, ho pensato che 1200 pagine erano maledettamente poche, la grande mole è ancora adagiata sul mio comodino, non riesco a separarmene!

giovedì 27 marzo 2014

Il funerale. Angela Barile.

La prima immagine che conservava di lui era davanti all'entrata della chiesa il giorno del funerale. Fermo, immobile, vestito come ci si veste nei giorni di festa o di dolore. Gli occhi guardavano un punto fisso davanti a se.
Erano lì, eppure non c'erano.
 E le mani.
 Ricordava le mani.
Lui le aveva strette intorno alle sue, non per trattenere, ma solo per parlare, solo perché dalla bocca le parole non sapevano uscire.

Ricordava la stretta incerta, quasi imbarazzata, lo sguardo fisso dei suoi occhi su di lei, che non si fermava, ma passava attraverso, l'odore nauseante dei fiori, il rumore sommesso dei pianti in mezzo a quello strano silenzio, il sole caldo che oltrepassava le cose.

E poi c'era la bara, che a lei sembrava un contenitore vuoto, leggero, come se dentro non ci fosse nessuno, non quel corpo, non quella vita. Era lì, da poco riposta nel carro funebre, la gente la fissava sgomenta, incredula, quasi a volersi convincere che lui era davvero lì dentro, a cercare di immaginarselo, ma chissà forse non ci riuscivano neanche loro!
Le mani erano rimaste le une nelle altre per un tempo che le era sembrato infinito, un tempo che nessuna parola poteva riempire, poi lei si era allontanata, imbarazzata, sconfitta da questo insensato momento, dall'insensata morte di chi si toglie la vita. La bara si era allontanata. Vuota. Nessuno riusciva a immaginarla piena di lui.

Ci sono parole che non possono essere dette, quel funerale fu la commemorazione di qualcosa di indicibile, solo il prete osò parlare di dolore, solo lui mise insieme qualche frase dall'alto del pulpito, gli altri poterono solo esserci, salutare qualcosa che era già andata via, senza possibilità di saluto.

Chi muore resta, lei aveva sempre creduto, ma non voleva che queste parole fossero solo un messaggio vuoto, le piaceva pensare che avrebbe potuto far rivivere quella morte nella sua vita, mantenere con lui quel filo che prima di allora non erano stati in grado di tenere.

 Quella stretta di mano fu una promessa mancata, fu la prova, mesi dopo lo aveva capito, che da certe morti non può nascere niente, se non qualcosa di uguale, che i fili sono fatti per essere tenuti da almeno due persone,e, che, dall'altra parte, non c'era nessuno.

martedì 11 marzo 2014

Immagine di noi. Angela Barile



                                     

Non so se vi è mai capitato di tenere molto ad una persona, idealizzarla a tal punto da trasformarla dentro di voi perché quello di cui avete più bisogno è questa idealizzazione. Accorgersene richiede una grande consapevolezza di se stessi e dei propri bisogni; perché, spesso, è molto più facile attribuire il proprio dolore a qualcun altro piuttosto che a se stessi, perché quando la tua vita sembra non avere nè capo nè coda, la soluzione più facile è sperare che arrivi qualcosa dall'esterno ad aggiustare tutto e, lo desideri così ardentemente che basta riconoscere uno sguardo tra la folla e pensare: "Ecco, è lui".
Ho usato il termine "riconoscere" perché questa scelta non avviene per caso, insomma, non è che uno valga l'altro, mi piace ricordare una frase che una volta ho letto da qualche parte e che recitava più o meno così, non ci accade mai quello che desideriamo, ma solo quello di cui abbiamo bisogno e questo bisogno non è così scontato come possiamo immaginare, ed è uguale per tutti, non c'è distinzione:ciò che ci succede ha come fine ultimo, sempre, quello di aiutarci a diventare semplicemente noi stessi.

Così non è che quando qualcuno arriva nella tua vita debba necessariamente essere il tuo amore folle, o meglio, può anche succedere che lo sia, ma solo se il tuo percorso personale tu l'hai già concluso, se non c'è nient'altro che tu debba comprendere con le tue sole forze, in pratica, solo se l'altro è davvero, intimamente quello di cui hai bisogno.

Ci sono percorsi di vita che sembrano assolutamente incomprensibili; a volte girano in tondo, altre proseguono forse, ma molto più lentamente di quanto vorresti, e, hai bisogno di qualcuno, di qualcosa, che ti apra gli occhi su te stessa, e, di solito, le persone sbagliate non fanno altro che restituirti l'immagine distorta e sfuocata che hai di te. E tu colpevolizzi loro per tutto questo dolore, almeno fino a quando capisci che l'altro non è niente di più che uno specchio che ti mostra la parte oscura di te, ed è chiaro, che più tu sei completa, realizzata, intera, più la persona che hai davanti sarà quella giusta.

Non ci sono tempi validi per tutti, non ci sono scadenze, siamo sempre in tempo, sintonizzati sul ritmo che meglio si addice a noi, non ci sono ingiustizie che non apportino un qualsiasi genere di miglioramento. Dobbiamo solo imparare a lasciar andare nel momento in cui ci accorgiamo che una persona, un evento stride con qualcosa che è dentro di noi, rincorrere sempre e solo quello che è sulla nostra lunghezza d'onda.

La mia vita è piena di addii, alcuni imposti, altri voluti, piena di ultime scene cristallizzate in un tempo che è solo mio, immortalate nel mio personale "per sempre" e, niente potrà scalfirle, resteranno per l'eternità gioia e dolore assoluto, ma io vado oltre, oltre il buio della rassegnazione, lungo un percorso incerto e pieno di paure, ma estremamente luminoso, perchè l'unica speranza che devi avere lungo questa strada è che, attraversandola, un giorno finalmente troverai te stessa, l'unica cosa di cui hai davvero bisogno.