giovedì 25 ottobre 2012

Cosa tiene accese le stelle.Mario Calabresi.




                                     

Ogni volta che provo a raccontare i sogni che vorrei realizzare a qualcuno, l'espressione che mi trovo davanti è tutt'altro che incoraggiante; l'opinione più diffusa è che questo non sia il tempo di sognare, bensì di accontentarsi, e , ammetto che per molti anni l'ho pensato anche io. Come scusanti alla mia rinuncia arrogavo due motivi fondamentali : i tempi difficili e precari nei quali viviamo e il fatto che se nessuno mi aveva mai incoraggiata, forse, era perchè "sapevano" che io non ero all'altezza dei miei sogni.

Poi sono cresciuta e ho capito che in realtà le scuse che mi tenevano lontana dal provarci erano assolutamente inconsistenti, perchè dopo tutto io non avevo mai fallito, decisamente non avevo nemmeno cominciato, così, per farmi coraggio ho attinto direttamente da me stessa,e, quando le motivazioni crollavano o non bastavano, ho cercato fiducia e speranza nei libri.

E' con questo stato d'animo che ho comprato " Cosa tiene accese le stelle ". Mi ha colpita il titolo e il nome dell'autore: Mario Calabresi è il direttore della "Stampa", il mio quotidiano preferito,lo conoscevo soprattutto per i suoi libri e articoli sul terrorismo e mi ha sorpresa piacevolmente il fatto che abbia scritto un testo come questo.
E' un saggio che parla, innanzitutto, dell'Italia e degli Italiani, di come il sentimento di sfiducia che permea questo paese abbia paralizzato ogni nostra iniziativa più della crisi stessa, di come semplicemente non esista più spazio per il futuro e per i sogni. Non è tanto di politica e riforme mancate o sbagliate che Calabresi vuole parlare, ma, piuttosto, di quello che ogni singolo individuo può fare per migliorare la propria situazione: " Bisogna cavarsela da soli e siamo diventati troppo egoisti per ricordarci come si fa. Orfani di padre, cioè dell'autorità che trae origine dall'autorevolezza e consente ai figli di avventurarsi in territori inesplorati, sapendo di poter contare all'occorrenza su una robusta ringhiera. E con una classe dirigente specializzata nel dare il cattivo esempio, priva del titolo morale per imporre regole che è la prima a non rispettare...Almeno per chi è convinto che non ci si possa aspettare il riscatto sociale da teorie economiche e ideologie politiche, ma solo dall'urgenza di tante rivoluzioni individuali che riescano a connettersi fra loro, creando una vera comunità. Darsi una disciplina esistenziale, fissare dei traguardi e poi mettersi in marcia senza vittimismi, perché i se sono la patente dei falliti, mentre nella vita si diventa grandi nonostante ".

Per suffragare queste parole, che potrebbero apparire a molti come una vuota paternale, Calabresi riporta degli esempi, più o meno famosi, di persone che ce l'hanno fatta, che raccontano la propria esperienza e , dimostrano che, tutto sommato, non è l'epoca a determinare la riuscita, ma la fatica e l'impegno: giornalisti, scienziati, imprenditori, tutti  a testimoniare che una possibilità c'è sempre, a volte fuori da questo paese, a volte a pochi passi da casa, che quello che conta è provarci, perchè non si sbaglia mai inseguendo le proprie passioni. Bisogna combattere per non diventare vittime di questa società, ma artefici di noi stessi.
"Tra vent'anni sarai più deluso dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto.." scriveva Mark Twain, quindi non ha senso non provarci, smettere di piangerci addosso è il primo passo verso la riuscita,e, come dice, la citazione di Leopardi che Calabresi ha scelto per il suo libro: " Questo tempo è gravido di avvenimenti … non lo sprecate. Quando ci libereremo dalla superstizione, dai pregiudizi, quando trionferà la verità, il diritto, la ragione, la virtù se non adesso? Quando risorgerà l’amor della patria? Quando? Sarà morto per sempre? Non ci sarà più speranza? Io parlo a voi… Ora è il tempo… O in questa generazione che nasce, o mai. Abbiatela per sacra, destatela a grandi cose, mostratele il suo destino, animatela."

sabato 20 ottobre 2012

Il corpo umano.Paolo Giordano.

E' impossibile non pensare a " La solitudine dei numeri primi " leggendo questo romanzo, e , non solo per la consequenzialità cronologica dei due, non solo perchè sono stati scritti dallo stesso autore, ma, anche  e, soprattutto, perchè in entrambe le storie sono le imperfezioni e i traumi umani i veri protagonisti.

Paolo Giordano ci ha messo ben cinque anni a scrivere il suo secondo libro e, sono sicura, che parte di questo tempo sia anche dovuto al fatto che non deve essere stato facile rimettersi in gioco dopo il successo del suo primo romanzo: milioni di lettori si erano immedesimati in Alice e Mattia, molti di noi si erano all'improvviso scoperti numeri primi tra miliardi di numeri positivi.

Ne " Il corpo umano " Paolo Giordano affronta un argomento che apparentemente non ha niente  a che vedere con il suo primo romanzo: in questo libro è la guerra a farla da padrone, la guerra vera, fisica, quella combattuta in Afghanistan, fatta di soldati, di uomini normali, molti di loro quasi degli anti- eroi; ma, accanto a questa guerra ce n'è un'altra che i protagonisti combattono, quella con se stessi, una guerra fatta di fughe e rimozioni, una guerra che non ha il rumore dei mortai, delle bombe, ma quello dei corpi, dei ricordi, che arrivano fin lì nel deserto, ad aggiungersi ai nemici, che sono dovunque, che li osservano, che li uccidono.

Questi ragazzi si ritroveranno in una delle aree più pericolose dell'Afghanistan, il Gulistan, il loro accampamento è la forward operating base ( fob ), una sorta di bolla di sicurezza di questa guerra e delle loro vite.  Lì c'è il tenente medico Alessandro Egitto, che accumula mesi su mesi di missione pur di non affrontare la sua vita da civile; la divisa, quell'area recintata in mezzo al deserto e gli antidepressivi che prende sono per lui la forma più alta di protezione che la sua mente riesca a concepire.
C'è poi il maresciallo Antonio Renè che, da civile offre servizi a pagamento alle donne sole, un uomo che si ritrova al comando di un intero plotone senza in realtà esserne veramente in grado e, poi, ancora, tanti altri uomini, che nella loro vita di tutti i giorni hanno paura, fuggono da legami familiari, legami sociali, uomini per i quali questa guerra è la loro prova più grande, il vero passaggio all'età adulta.

Ancora una volta Paolo Giordano parla ai nostri tormenti, della paura di affrontarli, degli errori, a volte letali, che può portarci a fare, una vita non vissuta  appieno, della vigliaccheria e dei sensi di colpa, che ogni uomo, almeno una volta nella vita si trova a vivere, le fragilità, le debolezze di chi fugge dalla guerra con se stesso, buttandosi in una guerra vera che paradossalmente considera meno pericolosa.



martedì 2 ottobre 2012

Incontrarsi. Angela Barile.

Provo a seguire il tuo passo, a non fare resistenza, ad accettarti così come sei, imperfetta e talvolta fragile.
Ho avuto paura di te, di questa sconosciuta che ogni tanto mi appariva in sogno, ho urlato più forte per coprire la tua voce, volevo smettere di soffrire, non capivo che la sofferenza era oppormi.
Adesso sono qui, non di fronte, ma di fianco a te, ti osservo bene prima di prendere qualsiasi decisione, ti ascolto e non fuggo più, anche se, a volte, quello che dici mi fa paura.

Ho passato 34 anni a cercarti,  per strada, nei bar, tra la gente, come se la completezza si potesse avere solo dall'esterno: quando si parla d'amore molti dicono che bisogna trovare il nostro pezzo mancante, ecco, io non sono daccordo, dobbiamo essere completi per amare, completi per non dare all'altro una responsabilità che non gli compete.
 Tutti questi anni per capirlo, a soffrire inutilmente per qualcosa che semplicemente cercavo nel posto sbagliato. Le prime volte in cui ti ho percepita davvero sono state nei miei sogni, nell'unica parte di me che non potevo controllare, all'inizio non ci badavo più di tanto, poi ho cominciato a guardarli questi sogni,e , pian piano, ho iniziato a conoscerti, se prima eri solo un fruscìo, poi, sei diventata vento e infine tempesta, più ti riconoscevo, più facevi rumore, più diventavi presenza concreta. All'inizio ti ho combattuta, mi facevi rabbia, non riuscivo a riconoscerti, mi apparivi come qualcosa di estraneo, di doloroso, poi finalmente ti ho accolta. Non c'è stato un momento preciso, solo, un pò alla volta, ho accettato che tu c'eri e, dopo un pò, hai cominciato a piacermi. E' come rinascere sai ( ma si che lo sai! ) con tutte le paure e le sorprese che la vita riserva, senza sapere nulla di quello che sarà, non immaginavo che l'incertezza potesse, in una certa misura, essere così stimolante, non immaginavo che si potesse essere coraggiosi anche avendo paura.

Ora sei qui con me, anche mentre scrivo, non riesco più a distinguere se sono le mie o le tue dita a pigiare i tasti, ormai non c'è più nessuna separazione, nessun confine, sia fuori che dentro, non cerco perchè ho già trovato, piuttosto assaporo, osservo, mi incuriosisco di tutto quello che ho intorno; non so che sapore ha trovare "il grande amore", ma conosco il sapore che mi hai lasciato tu dentro e fatico a credere che ci sia qulcosa che possa superarlo.