venerdì 29 ottobre 2010

Qualcosa da salvare. Angela Barile.

A volte succede anche questo, a volte semplicemente i libri non li leggi, eppure loro continuano a leggere te.
Ritrovi le loro frasi scarabocchiate su un foglio o semplicemente sottolineate sulla pagina ed è come se qualche cellula del tuo corpo non avesse fatto altro che pensarci per settimane, per mesi, per anni.
A volte ti succede anche con libri che magari non ti sono piaciuti più di tanto, libri la cui storia nemmeno più ricordi, eppure c'è quella frase che ti risuona, quella frase che non hai mai perso. Mi succede anche con le persone, è chiaro non tutte mi piacciono, eppure c'è sempre qualcosa in loro che mi piace conservare, un atteggiamento, una loro caratteristica, qualcosa da salvare.

Ecco qualcosa da salvare c'è sempre, anche nelle cose brutte, anche in quelle stupide, perfino nel male.
E come quando leggo un libro non lo lascio mai a metà, così quando conosco qualcuno non mi arrendo mai finchè non trovo qualcosa che possa piacermi e, se nemmeno quello mi è possibile, allora prendo la cosa peggiore del libro, della gente e da essa parto per arrivare al suo contrario e piano percorro quella strada, la strada che separa il brutto dal bello, il male dal bene e, vi assicuro, che lì in mezzo c'è sempre qualcosa che non avevi visto, a cui prima non avevi pensato, ed è quello il vero tesoro, è quel piccolo particolare a fare la differenza.

Ecco, forse io non sono una persona tanto coraggiosa, ma ci sono due cose davanti alle quali non mi arrendo mai: un libro brutto e una brutta persona perchè dietro c'è sempre una storia, c'è sempre qualcuno da conoscere, basta solo saper leggere tra le righe, basta solo saper ascoltare.

mercoledì 20 ottobre 2010

Antologia di Spoon River. Edgar Lee Masters.

Ogni tanto mi capita di rileggere qualche brano di questa raccolta.
Tra i tanti libri che ho forse questo è il più vissuto, il più segnato, tanto che alcuni dei suoi epitaffi li ricordo quasi a memoria. L'ho letto per la prima volta da adolescente, come credo la maggior parte di voi, l'ho ripreso più volte durante i folli anni dell'università e spesso mi capita di leggerlo ora in autobus o nelle mie notti insonni.
Ancora oggi se qualcuno mi chiede il perchè di così tanto interesse io rispondo che leggerlo è come esorcizzare la morte rendendola un fatto normale; adesso voi potreste obiettare...ma cosa c'è di più normale della morte?tutti moriamo, a tutti capita, è il percorso logico di ogni essere umano, questo è vero, ma quanti di noi ne hanno davvero consapevolezza?quanti vivono la propria vita tenendo presente che un giorno moriranno? Quasi nessuno, credo.
Con L'Antologia di Spoon River i morti sono vivi davanti a noi, con i loro aneddoti, i loro rimpianti.
Inerpicati su quella collina ci parlano, si umanizzano anche nella morte.
E' quasi come se la morte potessimo toccarla, come se un filo invisibile tenesse attaccati questi due mondi, in un abbraccio eterno e questo, personalmente, mi rassicura...in qualche modo è come se niente finisse mai davvero.
Ed eccoli i personaggi di questo universo parallelo, eccoli qua descritti nella loro corporeità e debolezza umana, eccoli a raccontare le proprie morti, le proprie vite, a volte a giustificarsi, ad ammonire, come si immagina possa fare un moribondo, non un defunto: eccolo il cedro di Washington McNeely, che assiste inerme allo sfracelo della famiglia,  il falco in gabbia dell'ignoto che gracchia con rabbia e anela alla libertà, oppure la nave alla fonda con la vela ammainata, scolpita sulla lapide di George Gray, un vero e proprio inno alla vita, un monito a chi può ancora viverla " Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave. Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vago desiderio: è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura."
Forse eccola la vera differenza tra noi e gli abitanti della collina di Sponn River: loro possono solo raccontarci, non sono veramente morti perchè noi possiamo ancora sentirli, chiaramente, quasi fisicamente, attraverso la scrittura, eppure l'unica cosa che possono fare è parlare al passato, rimpiangere, lamentarsi, giustificarsi; siamo noi, quelli che rimangono, che possiamo agire, noi si che possiamo vivere davvero.

Fabrizio de Andrè - Un Chimico

mercoledì 13 ottobre 2010

Amabili resti. Alice Sebold.

In questi giorni di dolore mediatico mi è tornato alla mente questo libro che ho letto un pò di tempo fa.

Amabili resti è la storia di un efferato omicidio, ma non è un giallo classico quello che si profila pagina dopo pagina, insomma non è una storia di un assassinio e della ricerca del suo colpevole.
Amabili resti racconta del dolore, dell'impossibilità di comunicare, di come una famiglia venga completamente sconvolta da una morte, di quelle che, ormai, nel gergo giornalistico e televisivo, noi definiamo "inspiegabili". Ma la vera originalità di questo romanzo è il punto di vista narrante: è Susie, la protagonista quattordicenne, che già morta all'inizio del libro, racconta la sua storia "dal suo cielo"; fin dall'inizio lei ci dice chi è l'assassino, ci racconta come è stata uccisa, comunica continuamente con il lettore, la sua è una vera e propria lettera a chi la sta ascoltando, una lettera di violenza e di orrore ( Susie è stata violentata da un vicino di casa prima di essere uccisa), ma soprattutto di perdono; anche se avvertiamo il logico rancore e la sete di giustizia, non c'è odio nelle parole di questo libro, c'è anzi la freschezza del linguaggio di una ragazzina, il dolore di non poter comunicare più con la sua famiglia, o almeno di non riuscire a farlo come vorrebbe, perchè Susie a loro parla, certo, in un linguaggio che non è più umano, che a volte viene recepito e a volte no, la sente, ad esempio il suo fratellino più piccolo e a tratti anche suo padre. Sarà proprio lei, la protagonista invisibile, a portare alla cattura del suo assassino, a guidare gli altri sulle sue tracce.

L'autrice ha subito lei stessa una violenza nell'adolescenza, e forse questo libro rappresenta  per lei una specie di chiusura con il passato, il superamento di un'esperienza che, senza dubbio, l'ha indelebilmente segnata, e che rivive in questa storia, prendendo però allo stesso tempo le distanze dall'evento facendo parlare in prima persona la vittima stessa.

Il libro non cade mai in facili sentimentalismi nè assume mai i contorni torbidi e sorprendenti di un thriller, ci parla invece delle infinite forme dell'amore e del dolore delle persone che conoscevano Susie, della vita di questa ragazzina, delle sue amiche, della scuola, del suo primo amore: è questo romanzo un inno alla vita, in qualche modo,e insieme il rimpianto di non aver potuto viverla.

venerdì 8 ottobre 2010

L'eleganza del riccio. Muriel Burbery.

Siamo a Parigi in un condominio al n 7 di Rue de Granelle.
E' qui, in questo palazzo, abitato da gente molto ricca, che si intrecciano le storie di Renèè, la portinaia, e di Paloma, figlia dodicenne della famiglia Josse, che vive all'interno del condominio.
La sensazione che ho avuto, fin dalle prime pagine del libro, è stata quella di trovarmi su un palcoscenico, la scrittura e la morfologia dei personaggi è, secondo me, molto visiva; alcune frasi sn molto teatrali, a volte buffe e taglienti, a volte profonde e particolarmente intime.
La portineria di questo condominio è un vero e proprio crocevia per i tanti personaggi che affollano il romanzo, tutto ruota intorno a quello che le persone appaiono e a quello che realmente sono.
Renèè è apparentemente il tipico prototipo della portinaia, sciatta, incolta, pettegola, in realtà, però nn è assolutamente così, è una donna, invece, di grande acume e sensibilità, e , soprattutto, dotata di grande cultura.
L'impressione è, si, che lei si nasconda, ma neanche gli altri si preoccupano più di tanto di scovare la vera natura della donna; la mamma di Paloma definisce la portinaia come un riccio, mentre sua figlia, ad un certo punto,intuisce, che dietro quella corazza, debba esserci un 'eleganza assolutamente inaspettata.
L'altro personaggio del romanzo è , appunto, Paloma, ragazzina dodicenne, di grande profondità e intelligenza, che ha deciso di suicidarsi il giorno del suo tredicesimo compleanno, non riesce, infatti, a rassegnarsi alla grettezza della sua famiglia e della società in cui vive; ma anche lei come Renèè si nasconde fingendo di essere una normale ragazzina della sua età.
Ma solo con l'arrivo di un terzo personaggio, il signor Kakuro Ozu, queste due donne così diverse eppure così simili, si avvicineranno.
In questo modo l'autrice ci mostra come, solo attraverso il confronto, possa venir fuori la vera natura delle persone. Finchè ognuno rimane isolato nel suo mondo, non può succedere niente, tutto resta fermo, arroccato: Renèè nella sua portineria e Paloma in attesa del giorno del suo suicidio.
 E da questo confronto sia i protagonisti sia il lettore imparano soprattutto una cosa: che nonostane la vita; spesso,ci faccia sentire come "un pesce in una boccia" noi abbiamo il diritto e il dovere di cercare la vera bellezza, "una sospensione, un altrove in questo luogo...un sempre nel mai."

 

L'eleganza del riccio
 

giovedì 7 ottobre 2010

La solitudine dei numeri primi. Paolo Giordano

La mia storia personale con questo libro comincia con un colpo di fulmine mentre mi aggiro svogliata, in attesa di un treno, tra gli scaffali di una libreria. Spesso le lunghe attese nelle stazioni danno inizio a grandi amori e, quel titolo, che fa capolino in mezzo ad altri testi, sembra adocchiarmi, mentre io adocchio lui,
non leggo la trama, a stento faccio caso al nome dell'autore. Quel libro deve essere mio! Forse perchè dentro ci sentiamo un pò tutti numeri primi, forse perchè i grafici della copertina hanno fatto un buon lavoro, me lo sono chiesta più volte, ma ai grandi amori  non si può dare una spiegazione.
E' cominciata così la nostra avventura, una lettura nervosa e commossa da lasciare senza fiato, con una scrittura che man mano che il libro andava avanti diventava più perfetta e complessa, con Alice e Mattia, che segnati, nella loro infanzia, da due eventi traumatici, crescono, si incontrano e forse mai si innamorano veramente. Non si innamorano, perchè non sanno amare, ad entrambi aspetta un destino di solitudine. Sono, i due protagonisti, come dei numeri primi gemelli, numeri divisibili solo per uno e per se stessi, separati da un solo altro numero, così simili, ma mai abbastanza da toccarsi veramente.
Ed eccoli Alice e Mattia, che tra le pagine del libro si cercano e si respingono continuamente, attratti inevitabilmente dalle loro sofferenze, dalla loro indivisibilità. Eccoli, lui con le sue cicatrici, lei con quel corpo troppo magro e pesante da sopportare e, intorno a loro,come sottofondo decisamente inquietante, l'indifferenza di tutti quelli che non vogliono vedere, dei genitori dei due ragazzi, che ignorano il problema, dei mariti,dei fidanzati,degli amanti che fanno finta di non capire,perchè a volte "vedere" è imbarazzante, doloroso, o forse perchè il destino di due numeri primi gemelli è vivere in solitudine nel limbo delle loro indivisibilità.

mercoledì 6 ottobre 2010

L'ultima riga delle favole. Massimo Gramellini

" Ho scritto L'ultima riga delle favole perchè avevo bisogno di una pomata dell'anima e ho provato a costruirmela da solo."
E' così che Gramellini spiega il senso di questo libro,un modo per rispondere alle tante domande che affliggono l'essere umano, domande su noi stessi, sul dolore e sul senso che questo abbia nella vita di ognuno,sull'anima gemella, ma soprattutto un libro sull'amore, quello verso noi stessi e quello verso gli altri.
Tomàs, il protagonista, è un uomo come tanti, impaurito, sfuggente, un uomo che davanti ad una donna che gli piace starnutisce, mostrando, in questo modo, una sorta di disagio, una vera e propria allergia fisica, non tanto, o comunque non solo nell'amore verso gli altri, ma anche e soprattutto verso se stesso.
E così Tomàs, improvvisamente, comincia questo viaggio magico nelle terme dell'anima, un viaggio fantastico, che con alcuni incontri e prove avventurose porterà il protagonista alla reale scoperta di se stesso e  del proprio talento, senza il quale è impossibile amare veramente gli altri.
E così scopriamo, capitolo dopo capitolo,infinite perle di saggezza che ci colpiscono, ci annientano, perchè hanno sempre fatto parte di noi, della nostra umanità. Impossibile elencarle, riempiono il libro pagina dopo pagina, dando l'impressione di essere lì appositamente per noi, e quello che Gramellini si augurava essere "un massaggio per l'anima" si realizza magicamente in ogni parola, in ogni frase, fin dalla prima pagina con l'incontro tra noi e la nostra anima, e forse la risposta a tutto è proprio in questa filastocca:
" Lettrice o lettore, non ti crucciare. Prima o poi- e più prima che poi- sentirai in sogno una voce di flauto. Lei è la tua anima, mica un accidente. Se non te ne innamori, non amerai mai niente. "

Molto forte, incredibilmente vicino. Jonathan Safran Foer

In una New-York che cerca di andare avanti a fatica, dopo l'11 settembre, si dipana la storia di un bambino di nove anni, Oskar.
Oskar è un bambino molto sensibile e con un' intelligenza notevole, ma, soprattutto vive un grande dolore: ha perso suo padre nell'attacco alle torri. La sua vita, dopo allora, è un continuo ritorno a quel giorno, alla sera prima, ai messaggi in segreteria che quella mattina il padre aveva lasciato e a tutte le storie che Oskar ha creato sulla sua morte, sui suoi ultimi istanti di vita. Poi, un giorno, in un ripostiglio, ecco apparire, quasi magicamente una busta che contiene una chiave, sul retro della busta c'è scritto "Black". Quale serratura aprirà questa chiave? Chi è Black?
Da questo momento ha inizio l' avventura di Oskar alla ricerca di tutti i Black che vivono in città sperando di scoprire qualcosa in più di suo padre. Questo è un percorso soltanto suo, fatto di incontri, di bugie, di delusioni, quello che Oskar troverà alla fine sarà la forza e la bellezza di andare avanti, di ricominciare, l'accettazione di un dolore inspiegabile, di una tragedia che fa fatica a capire dall'alto dei suoi nove anni.
Questo libro è la testimonianza di come si possa scrivere dopo l'11 settembre senza essere dissacranti o patetici, Foer ci fa sorridere, piangere, ma soprattutto riflettere con una scrittura diretta, tagliente con richiami ad altre guerre, ad altri dolori per scoprire poi che il sapore di queste morti è sempre uguale.  

La storia di Neve

Ho appena finito di leggere LA STORIA DI NEVE di Mauro Corona. Non avevo mai letto niente di lui, ma devo dire che questo libro mi è piaciuto molto.
Il tono del romanzo è quello di una vecchia storia raccontata intorno al fuoco, una di quelle storie che vive nell'interregno tra la realtà e la fantasia. Lo sfondo è Erto, un piccolo paesino arroccato sulle montagne del Vajont, forse qualcuno lo ricorderà per la tragedia che lo seppellì insieme ad altri paesi il 9 ottobre 1963.
Ma la storia del romanzo avviene molto prima di queste vicende, quando Erto era ancora un posto incontaminato, quando l'uomo con la sua tecnologia ancora non era arrivato, un luogo fatto di montagne, di boschi e di lunghi inverni di neve e gelo.
E' in questo paese, dove pullulano streghe e forze malvagie e invisibili, qui dove i morti non muoiono mai del tutto e ogni cosa è regolata dal battere incessante delle stagioni, che, nel freddo inverno del 1919, nasce Neve. Che Neve non sia una bambina normale lo si capisce subito, quando ancora in fasce, guarisce miracolosamente alcuni suoi compaesani. Neve è infatti la reincarnazione della parte buona della strega Melissa, venuta sulla terra per espiare i suoi peccati. Da questa nascita cominciano una serie di delitti e di sparizioni che si dipanano per l'intero romanzo, mostrando i cuori spigolosi e induriti di questa gente di montagna, cuori che però si ammorbidiscono immediatamente davanti al bisogno e al dolore.
E' in questo posto che Neve vive la sua breve vita e compie i suoi miracoli, é qui che Neve si innamora , quasi magicamente,del suo Valentino ed é qui che Neve muore, a soli 29 anni, perché il suo destino non é quello di essere felice, ma di guarire e render felici gli altri, Neve non può amare e sarà proprio l'amore a ucciderla, a scioglierla come neve riscaldata dal calore del sole.

Cent'anni di solitudine ( Come non partire da qui? )

Lungo le vie e attraverso i cieli di Macondo ecco che si dipana la storia della famiglia Buendìa, di questa saga di nomi e di destini tutti uguali che si rincorrono, si alternano, nascono e muoiono sotto l'egida di una predizione: la nascita di un figlio con la coda di maiale.
E mentre gli anni passano, con alcuni personaggi, come Ursula, per esempio, la patriarca, che sembrano vivere all'infinito, e altri, come Remedios la bella, che si dissolve volando nei cieli in un bel giorno di primavera, come sottofondo di queste vite, ecco Macondo, il luogo dei luoghi, emblema di solitudini edi destini ineluttabili, posto magico dove può piovere anche per cent'anni, dove il tempo che avanza, il progresso, a cui, ad un certo punto, il paese va incontro, sono semplicemente un effetto boomerang per poi ritornare all'oblio e alla solitudine iniziali.
Tantissimi i personaggi di questa lunga storia, a partire dalla figura maschile più affascinante del libro, il colonnello Aureliano Buendìa, uomo lucido e analitico, che si arruola come rivoluzionario liberale contro il regime, promuovendo trentadue insurrezioni senza vincerne nessuna, padre di diciassette figli, che moriranno tutti, avuti da diciassette donne diverse, finirà i suoi giorni in un laboratorio a fabbricare pesiolini d'oro che fonde e rifonde di continuo; e ancora Melquiades, lo zingaro che porta a Macondo il progresso e l'innovazione, l'uomo che, chiuso in una stanza scriverà la profezia sulla fine della stirpe Buendìa, senza la quale l'intera storia non potrebbe sussistere.
E' un libro questo che parla di tutti gli uomini e di tutti i tempi, un libro in cui non è fondamentale, secondo me, concentrasi sull'intricato albero genealogico della vicenda, bensì cercare il senso, cogliere la fatale eredità che ogni personaggio lascia al suo successore, in quella visione, tipica della letteratura latino-americana, magica e fatalistica, che può non trovare tutti daccordo, ma è un aspetto affascinante e vivo di una cultura e di un filone letterario di grandi opere e di grandi autori.
Come può un essere umano, con tutte le sue imperfezioni e limitazioni, concepire un'opera di così largo respiro, una di quelle storie che non può lasciare indifferente e non può essere dimenticata?
E' la domanda che sempre mi faccio davanti a un grande capolavoro, e indubbiamente, Cent'anni di solitudine lo è.

Cenni storici

Quando ero piccola, una delle cose che mi rendeva veramente triste, era che , in tutta la mia vita non sarei mai riuscita a leggere tutti i libri che erano stati scritti. Se  ci penso ora mi viene da sorridere, ma provo tanta tenerezza per quella bambina così adulta e malinconica.
 Ho 32 anni adesso e di acqua ne è passata sotto i ponti, tante cose sono accadute, cambiate, scomparse, ma la passione per la lettura quella no, è rimasta, e un pò di quella malinconia me la porto ancora dietro come un bagaglio pesante, ma necessario.
Ho aperto questo blog perchè mi piaceva l'idea di poter scrivere qualcosa che gli altri potessero leggere, magari qualcosa che riguardasse i libri, quelli che ho letto, quelli che leggerò o quelli che hanno letto o leggeranno gli altri...quindi aiutatemi!Leggete e scrivete...vi aspetto!