mercoledì 20 ottobre 2010

Antologia di Spoon River. Edgar Lee Masters.

Ogni tanto mi capita di rileggere qualche brano di questa raccolta.
Tra i tanti libri che ho forse questo è il più vissuto, il più segnato, tanto che alcuni dei suoi epitaffi li ricordo quasi a memoria. L'ho letto per la prima volta da adolescente, come credo la maggior parte di voi, l'ho ripreso più volte durante i folli anni dell'università e spesso mi capita di leggerlo ora in autobus o nelle mie notti insonni.
Ancora oggi se qualcuno mi chiede il perchè di così tanto interesse io rispondo che leggerlo è come esorcizzare la morte rendendola un fatto normale; adesso voi potreste obiettare...ma cosa c'è di più normale della morte?tutti moriamo, a tutti capita, è il percorso logico di ogni essere umano, questo è vero, ma quanti di noi ne hanno davvero consapevolezza?quanti vivono la propria vita tenendo presente che un giorno moriranno? Quasi nessuno, credo.
Con L'Antologia di Spoon River i morti sono vivi davanti a noi, con i loro aneddoti, i loro rimpianti.
Inerpicati su quella collina ci parlano, si umanizzano anche nella morte.
E' quasi come se la morte potessimo toccarla, come se un filo invisibile tenesse attaccati questi due mondi, in un abbraccio eterno e questo, personalmente, mi rassicura...in qualche modo è come se niente finisse mai davvero.
Ed eccoli i personaggi di questo universo parallelo, eccoli qua descritti nella loro corporeità e debolezza umana, eccoli a raccontare le proprie morti, le proprie vite, a volte a giustificarsi, ad ammonire, come si immagina possa fare un moribondo, non un defunto: eccolo il cedro di Washington McNeely, che assiste inerme allo sfracelo della famiglia,  il falco in gabbia dell'ignoto che gracchia con rabbia e anela alla libertà, oppure la nave alla fonda con la vela ammainata, scolpita sulla lapide di George Gray, un vero e proprio inno alla vita, un monito a chi può ancora viverla " Ora so che bisogna alzare le vele e farsi portare dai venti della sorte dovunque spingano la nave. Dare un senso alla vita può sfociare in follia ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vago desiderio: è una nave che desidera il mare ardentemente ma ha paura."
Forse eccola la vera differenza tra noi e gli abitanti della collina di Sponn River: loro possono solo raccontarci, non sono veramente morti perchè noi possiamo ancora sentirli, chiaramente, quasi fisicamente, attraverso la scrittura, eppure l'unica cosa che possono fare è parlare al passato, rimpiangere, lamentarsi, giustificarsi; siamo noi, quelli che rimangono, che possiamo agire, noi si che possiamo vivere davvero.

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