sabato 31 agosto 2013

I quaderni di Malte Laurids Brigge. Rainer Maria Rilke.



                                                   


Ero molto in dubbio se scrivere una recensione su questo libro, mi sembrava un compito piuttosto arduo per molte ragioni. Difficile è, per esempio, identificarlo con un genere letterario preciso: molti critici parlano di romanzo, l'unico di quest'autore, Rainer Maria Rilke, che è, invece, un poeta; eppure questa definizione è, secondo me, non corretta. Il Malte è un testo molto complesso, con una trama non bene identificata: sappiamo solo che il protagonista, Malte Laurids Brigge, danese, appartenente ad una nobile famiglia decaduta, arriva a Parigi e si stabilisce nel quartiere latino. Da questo punto in poi tutto è affidato a impressioni, ricordi, soprattutto del periodo dell'infanzia, legati, questi, in particolare, all'immagine materna, che, viene fuori in tutta la sua dolcezza e profondità.
La solitudine dell'essere umano, l'incapacità di poter essere se stesso al di fuori dei condizionamenti della società, sono elementi importantissimi in quest'opera, e,  rendono questo testo particolarmente significativo. Infatti, Il Malte è stato pubblicato nel 1910 e, porta con sè la crisi del romanzo ottocentesco, lo sgretolamento dell'individuo; l'assenza quasi totale della trama, è, secondo me, la prova di questa indefinitezza, la ricerca continua dell'essere prende il sopravvento su una realtà, che, a parte rari momenti di comunione totale, sembra completamente estranea, all'artista.

E' chiaro che Malte è un alter ego di Rilke, è della sua estraneità che il poeta parla, è la sua inquietudine che mette in scena, ma, alla fine, è la condizione dell'uomo, in senso oggettivo, che trapela da queste pagine.
Leggendo questo testo mi è tornato alla mente Il libro dell'inquietudine di Pessoa, anche se, il sogno nell'autore portoghese rappresenta ormai l'unica realtà possibile, mentre in Rilke gli eventi, i ricordi restano ancora per essere poi trasfigurati e rappresentati in una realtà che sia al di sopra degli eventi.

Con la parabola del figliol prodigo, nella parte finale del libro, Rilke rappresenta se stesso: prima l'allontanamento dal mondo, poi, un ritorno al passato, e, infine, un avvicinamento all'amore perfetto, cioè, Dio. E' questa realtà che vive al di sopra delle cose che l'autore cerca, qualcosa che sia libero dalle contingenze della realtà fisica, che ci permetta di accettare con serenità quella che è l'unica vera condizione dell'uomo: la solitudine.



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