giovedì 18 luglio 2013

Una donna.Sibilla Aleramo.






                                                   

E' difficile per me scrivere una recensione di questo romanzo, e, non solo perchè è un classico della letteratura su cui sono stati versati fiumi di inchiostro, ma anche perchè nelle sue pagine mi sono spesso ritrovata per similitudine o per contrasto. Questo potrebbe sembrare quasi paradossale vista l'epoca in cui è stato scritto ( la data di pubblicazione risale al 1906 ) e visto l'argomento trattato, che, in apparenza, è assolutamente estraneo alla società e al luogo nel quale vivo. Eppure, secondo me, questo libro, che poi è una vera e propria autobiografia dell'autrice, non è semplicemente uno dei primi testi femministi usciti in Italia, ma il racconto di come una vita debba essere , innanzitutto, la risposta ad una necessità primordiale che, è, poi, quella di incarnare la nostra essenza più profonda a costo di qualsiasi sacrificio.

Sibilla Aleramo, racconta la sua vita:  da lontano rivede gli anni felici della sua infanzia milanese, il rapporto forte e profondo che ha con suo padre, quello più distaccato con la madre, donna malinconica e amante di poesia, e, ancora, quello con i suoi fratelli e sorelle più piccoli.
Quando Sibilla ha dodici anni, tutta la famiglia si trasferisce a Civitanova marche, dove il padre dovrà dirigere una fabbrica di bottiglie. Il passaggio da una realtà come Milano a quella di un piccolo paesino del centro Italia è, per la famiglia, abbastanza traumatico, ma Sibilla si adatterà velocemente iniziando a lavorare accanto al suo amato padre. Ad un certo punto, gli eventi precipitano, pian piano il rapporto tra i suoi genitori si deteriora e sua madre si chiude sempre di più in una cupa tristezza che la porterà poi ad un tentativo di suicidio che non avrà buon fine.Quest'evento avrà un forte ascendente su lei, ragazzina : innanzitutto ne risentirà il sentimento di assoluta venerazione nei confronti della figura paterna, che non rivedrà mai più allo stesso modo, e, più avanti, sarà il motore dal quale partiranno le sue scelte future, l'immagine di sua madre, trasportata  a letto in un lenzuolo bianco si imprimerà nella sua mente per ritornare con violenza inaudita nelle ultime pagine del romanzo.
 Sibilla subirà uno stupro da parte di un dipendente di suo padre, che, alla fine sposerà. Il matrimonio sembra quasi un modo per dare legittimità ad un atto così atroce, lei non confessa a nessuno la violenza, ma , così, crede, di farsi giustizia da sola, attraverso le nozze.
E' immediatamente chiaro che marito e moglie non sono assolutamente fatti per stare insieme: lui, rozzo e violento non può capire un animo sensibile e colto come quello della sua compagna. L'unica gioia di questa unione è il figlio, Walter, che sarà il solo faro di questi anni bui. Per tantissimo tempo Sibilla crederà di poter resistere, di poter annullarsi nel suo ruolo di madre, in questo amore sconfinato e inesprimibile che sente per la sua creatura. Ma è a quel punto che l'immagine triste e sconsolata della donna che l'ha messa al mondo farà capolino nella sua memoria, comincerà ad immaginare come sarebbe stato se sua madre, scegliendo la vita, avesse abbandonato lei e i suoi fratelli, e, la risposta che lei, con il suo bagaglio di esperienze, si darà, non potrà che essere quella definitiva e l'unica possibile.
Sono cariche di sofferenza le pagine in cui lei combatte, divisa, tra il suo ruolo di moglie e di madre e il suo ruolo di donna. Siamo nei primi anni del 900 e le due necessità, all'epoca, non erano assolutamente compatibili: Sibilla si trova davanti ad un bivio e, noi, la vediamo propendere ora per una strada ora per un' altra, fino a che la scelta diventerà quasi obbligata.
E' a suo figlio che Sibilla scrive. Questo suo primo romanzo è una sorta di confessione fatta a lui, affinchè un giorno possa leggerla, e, a tutti i figli del futuro, ad un mondo nuovo in cui la donna avrà giuridicamente gli stessi diritti di un uomo.

Il dolore  e la forza che convivono nella protagonista sono una delle immagini più belle che io abbia mai colto in un libro, la necessità primordiale che lei sempre ha sentito e contro la quale ha sempre combattuto, si annida fin dalle prime pagine per restituirci , alla fine, una donna sofferente ma vera, una donna che prende coscienza della sua essenza più profonda e la insegue a costo di terribili rinunce.

Il libro, in passato, non ha avuto la considerazione che avrebbe meritato e la scrittrice se ne doleva: in una lettera, scritta nel 1956 ad Arnoldo Mondadori, Sibilla scrive:"Io ho dinanzi a me il futuro, anche se voi non lo credete."
Mai nessuna frase fu più profetica.
Una donna resta ancora oggi a rappresentare tutte le donne del mondo, del passato e del futuro, quelle che, a costo di grandi sacrifici, ce l'hanno fatta, quelle che hanno rinunciato e quelle che sono cadute lungo la strada.

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