domenica 30 dicembre 2012

La guardiana di cappelli. Angela Barile.

Uno strano lavoro il mio, così strano che devi pensare per forza che ci sia un motivo se lo fai.
Appartengo a quella fila di persone che credono che esista una ragione per ogni evento della vita, anche se, non sempre, devo ammettere, è possibile capirla, a volte le cose sembra che accadano a casaccio o, comunque, seguendo percorsi imperscrutabili ai nostri occhi.





                                              
Ho passato quattro anni chiusa in un negozio a vendere cappelli, o, meglio, come ho sempre ironizzato io, a far loro la guardia. Un lavoro che non ho scelto e, che, devo ammettere, non ho amato. Mi ha rubato il tempo, il sonno,a volte, l'ottimismo. Mi sono sentita catapultata in una realtà che non mi apparteneva, a fare quello che mai avrei desiderato fare. Nessuno fa il lavoro che ama, è vero, ma io ho fatto di tutto per non farlo, lo capisco adesso, è chiaro, la mia è stata una scelta inconsapevole, ma sta di fatto che avrei potuto lavorare in qualsiasi altro negozio e, invece, mi sono ritrovata qui a passare ore interminabili da sola.
Il tempo me lo sono dovuto inventare, ho dovuto pensare a come riempirlo e l'ho fatto con quello cha amo di più: i libri e la scrittura.

In questi anni ho letto centinaia di romanzi saggi, raccolte di poesie, all'inizio, come sempre, solo per passare il tempo, poi pian piano mi sono accorta che nei libri cercavo altro, non la bella storia o il personaggio convincente, non il verso perfetto o la prosa scorrevole, ma scavavo, piuttosto, tra le pagine per trovare me, per trovare qualcosa che mi riguardasse e di cui non ne sospettassi l'esistenza.
Questo lavoro mi ha costretta, attraverso una delle cose che amo di più- i libri- a guardare dentro me stessa, a capire le parti di me più scomode, a rivedere certe mie posizioni, ho cominciato a scrivere, ho aperto questo blog e, molto spesso, ho scritto alla parte più sconosciuta di me più che agli altri.

Probabilmente se non avessi trovato un lavoro del genere non lo avrei mai fatto o forse il processo sarebbe stato molto più lungo. Tutto è perfetto così com'è, tutto è come deve essere, mi ripeto spesso, anche quando sembra che sia tremendamente difficile e doloroso, nessuno vuole punirti, ogni cosa accade perchè tu impari. Se davvero può un mantra infonderti serenità, queste parole allora sono il mio.

La mia avventura lavorativa è al termine, quello che dovevo imparare spero di averlo imparato,e, se non dovessi esserci riuscita, spero che mi sarà data ancora una possibilità.
Altre sfide mi aspettano adesso, forse dure,forse più di quello che immagino.
Per il nuovo anno mi auguro ancora di imparare come è stato per gli ultimi sei anni della mia vita, con me porto via tutto, ogni singolo istante di debolezza, di disperazione, di gioia, ogni persona che ho amato o detestato.
 Porto via questa città che ora resta indissolubilmente legata a me, perchè non ti liberi mai della vita che hai vissuto.

giovedì 6 dicembre 2012

Vedi alla voce:amore. David Grossman.

                                                              
                                                  
Ho comprato Vedi alla voce:amore distrattamente e con leggerezza, a richiamarmi era stato il nome dell'autore del quale avevo letto Che tu sia per me il coltello, che mi era piaciuto moltissimo.
Ma dopo poche pagine avevo già capito che di leggero questo romanzo non aveva proprio nulla, sia per l'argomento trattato ( si parla infatti dell'Olocausto ), sia per il tipo di prosa, difficile da capire. Non è certo un libro per tutti questo, ti appassiona pian piano, paragrafo dopo paragrafo, finchè ti ritrovi irrimediabilmente innamorata dei suoi personaggi, della poesia che emanano, dell'immortalità delle loro vite.

Il romanzo è diviso in quattro parti: nella prima Momik, figlio di sopravvissuti all'Olocausto, nato dopo la fine della seconda guerra mondiale, è sempre più incuriosito dagli accenni che gli adulti della sua famiglia fanno su  quel paese lì  e sulla belva nazista, ma nessuno di loro ne parla mai apertamente davanti al bambino, così ,agli occhi di Momik, la Germania, mai nominata, diventa un paese incantato, e , la belva nazista, assume i contorni di un animale feroce vero e proprio.

Ma è solo nella seconda parte che, Momik, finalmente adulto, potrà partire alla scoperta dei luoghi e dei fatti, che, da bambino, gli avevano destato tanta curiosità, e, lo fa seguendo le tracce di uno scrittore ebreo, Bruno Shultz, ucciso da un'ufficiale nazista: e così comincia il viaggio di Bruno in mare insieme ad un gruppo di storioni, la morte si riveste di  un nuovo corpo, diventando una vera e propria rinascita.
Bellissimi sono i paragrafi in cui è l'oceano a parlare, perdutamente innamorato di quest'uomo che smette di vivere sulla terra, per vivere nelle sue acque.

Nella terza parte è raccontato un incontro a metà tra realtà e immaginazione: quello tra il nonno di Momik, Wasserman, e un ufficiale nazista, Niegel, in un campo di concentramento.
Niegel riconosce in Wasserman lo scrittore dei libri della sua infanzia e, ordina all'ebreo che, ogni sera, gli racconti una storia. Comincia così tra i due un rapporto paradossale che si inverte continuamente tra sudditanza e supremazia dell'uno nei confronti dell'altro. Wasserman vorrebbe morire, ma nonostante più volte i nazisti abbiano provato ad ucciderlo all'interno del campo, lui sembra completamente immunizzato ad ogni pallottola che gli attraversa il cranio. La sua immortalità dipende dal fatto che lui è uno scrittore e, uno scrittore è le sue storie e le storie di chi scrive non muoiono mai.
Wassemann conquista Niegel raccontando ogni sera, le avventure dei ragazzi di cuore,  gli stessi protagonisti dei libri che scriveva in passato, ma stavolta cresciuti, invecchiati e, con l'aggiunta di un nuovo personaggio, Kasik, un bambino che cresce ed invecchia precocemente così da esaurire l'intero suo ciclo vitale in 24 ore.
Niegel, attraverso questa storia, prende man mano consapevolezza dei suoi demoni,e , attraverso la conoscenza con Wassermann si ferma a riflettere sulle sue azioni nel campo, prima viste solo da un punto di vista meccanico.

Ma è solo nella quarta parte che tutti i tasselli vanno al loro posto.
Qui Momik, ormai cresciuto e consapevole, compila una vera e propria enciclopedia, e, ogni voce, spiega, in qualche modo, tutto quello che abbiamo letto in precedenza, ma non con un ordine temporale,   seguendo piuttosto una sequenza basata sulle emozioni.

Vedi alla voce: amore è un libro di una profondità inaudita, l'unico romanzo sull'olocausto che abbia mai letto, che accenna soltanto ai fatti tragici di quel periodo, come se Grossmann non riuscisse a prendere dalla realtà le parole per descrivere tanto orrore, preferisce esprimersi nel "non detto" attraverso la fantasia, mischiando personaggi reali ed altri immaginari, trasformando uomini in storioni, rendendo immortali gli scrittori e, infine, creando, un vero e proprio essere umano, limitato nel tempo nello spazio, a cui dedicare una vera e propria enciclopedia, che pian piano diventa l'enciclopedia di tutta l'umanità.




mercoledì 7 novembre 2012

Mr Nobody.

Ieri, durante uno dei miei lunghissimi buchi lavorativi, ho scovato un film da guardare su youtube.
Il film è Mr nobody, il regista è il belga Jaco Van Dormael, le riprese di questa pellicola sono iniziate il 4 Giugno 2007 e finite il 14 Dicembre dello stesso anno. Il film in realtà non è ancora mai uscito in Italia (io infatti l'ho visto con i sottotitoli) e non ha avuto nemmeno il successo che io credo meritasse.
L'idea sulla quale si basa la storia è, secondo me, geniale ed estremamente poetica.
Siamo nel 2092, in un mondo in cui la vecchiaia e la morte non esistono più, la ricerca genetica è riuscita a bloccare l'invecchiamento delle cellule. Mr Nobody ha 118 anni ed è l'ultimo uomo mortale esistente sulla terra.

La storia comincia con il racconto che lui fa della sua vita ad un medico e ad un giornalista.All'inizio i suoi ricordi particolarmente confusi ci disorientano, e sia i due interlocutori che lo ascoltano sia noi telespettatori siamo portati a pensare che dipendano dalla vecchiaia del protagonista che sembra confonderli e in alcuni casi addirittura inventarli. Ecco che per ogni bivio che gli si presenta nella vita Mr Nobody fa prima una scelta, poi un'altra, vivendo il filo della sua esistenza su vari percorsi narrativi , come se tutti fossero reali anche se contraddittori l'uno con l'altro.

In realtà non era del film in se per se che volevo parlarvi (anche se consiglio a tutti di vederlo ), ma del concetto di destino, di quanto noi pensiamo possa contare nella nostra esistenza e della possibilità che abbiamo di cambiarlo. Il regista ci mostra come ogni scelta nella vita possa completamente stravolgerla cambiando i luoghi, le persone che conosciamo, le esperienze. Ogni filo narrativo nel film è una sorta di opportunità che Mr Nobody ha per cambiare completamente la sua vita: nessuna di queste è migliore di un'altra, nessuna di queste sembra più vera o più profonda, tutte rappresentano la sua vita , con una fine paradossale, ma a proposito non voglio anticiparvi nient'altro.

Io personalmente credo che ognuno di noi nasca con un destino ben preciso, il margine che abbiamo di poterlo cambiare è minimo, io credo che le cose fondamentali della vita di ognuno avvengano in ogni caso, qualsiasi scelta noi facciamo, è piuttosto la non-scelta  a paralizzarci ed è forse l'unico modo che abbiamo di non realizzare il disegno della nostra esistenza.
Ora che sono davanti a un bivio mi muovo con una certa consapevolezza: non credo che il cambiamento che sto per fare muterà completamente la mia vita, non credo che una città o un lavoro abbiano il potere di rendere una vita migliore, l'unica cosa che conta davvero in questi casi è fare quello che meglio corrisponde a noi stessi, nient'altro. Mr Nobody racconta a 118 anni le vite vere o presunte che ha vissuto, tempo e spazio non esistono più nei suoi ricordi, lui è ancora quel bambino fermo davanti ad un binario della stazione mentre sceglie se restare con sua madre o andare con suo padre, perchè dopo tutto l'essenza non muta, alla fine la cosa veramente importante è ritrovarci.

giovedì 25 ottobre 2012

Cosa tiene accese le stelle.Mario Calabresi.




                                     

Ogni volta che provo a raccontare i sogni che vorrei realizzare a qualcuno, l'espressione che mi trovo davanti è tutt'altro che incoraggiante; l'opinione più diffusa è che questo non sia il tempo di sognare, bensì di accontentarsi, e , ammetto che per molti anni l'ho pensato anche io. Come scusanti alla mia rinuncia arrogavo due motivi fondamentali : i tempi difficili e precari nei quali viviamo e il fatto che se nessuno mi aveva mai incoraggiata, forse, era perchè "sapevano" che io non ero all'altezza dei miei sogni.

Poi sono cresciuta e ho capito che in realtà le scuse che mi tenevano lontana dal provarci erano assolutamente inconsistenti, perchè dopo tutto io non avevo mai fallito, decisamente non avevo nemmeno cominciato, così, per farmi coraggio ho attinto direttamente da me stessa,e, quando le motivazioni crollavano o non bastavano, ho cercato fiducia e speranza nei libri.

E' con questo stato d'animo che ho comprato " Cosa tiene accese le stelle ". Mi ha colpita il titolo e il nome dell'autore: Mario Calabresi è il direttore della "Stampa", il mio quotidiano preferito,lo conoscevo soprattutto per i suoi libri e articoli sul terrorismo e mi ha sorpresa piacevolmente il fatto che abbia scritto un testo come questo.
E' un saggio che parla, innanzitutto, dell'Italia e degli Italiani, di come il sentimento di sfiducia che permea questo paese abbia paralizzato ogni nostra iniziativa più della crisi stessa, di come semplicemente non esista più spazio per il futuro e per i sogni. Non è tanto di politica e riforme mancate o sbagliate che Calabresi vuole parlare, ma, piuttosto, di quello che ogni singolo individuo può fare per migliorare la propria situazione: " Bisogna cavarsela da soli e siamo diventati troppo egoisti per ricordarci come si fa. Orfani di padre, cioè dell'autorità che trae origine dall'autorevolezza e consente ai figli di avventurarsi in territori inesplorati, sapendo di poter contare all'occorrenza su una robusta ringhiera. E con una classe dirigente specializzata nel dare il cattivo esempio, priva del titolo morale per imporre regole che è la prima a non rispettare...Almeno per chi è convinto che non ci si possa aspettare il riscatto sociale da teorie economiche e ideologie politiche, ma solo dall'urgenza di tante rivoluzioni individuali che riescano a connettersi fra loro, creando una vera comunità. Darsi una disciplina esistenziale, fissare dei traguardi e poi mettersi in marcia senza vittimismi, perché i se sono la patente dei falliti, mentre nella vita si diventa grandi nonostante ".

Per suffragare queste parole, che potrebbero apparire a molti come una vuota paternale, Calabresi riporta degli esempi, più o meno famosi, di persone che ce l'hanno fatta, che raccontano la propria esperienza e , dimostrano che, tutto sommato, non è l'epoca a determinare la riuscita, ma la fatica e l'impegno: giornalisti, scienziati, imprenditori, tutti  a testimoniare che una possibilità c'è sempre, a volte fuori da questo paese, a volte a pochi passi da casa, che quello che conta è provarci, perchè non si sbaglia mai inseguendo le proprie passioni. Bisogna combattere per non diventare vittime di questa società, ma artefici di noi stessi.
"Tra vent'anni sarai più deluso dalle cose che non hai fatto che da quelle che hai fatto.." scriveva Mark Twain, quindi non ha senso non provarci, smettere di piangerci addosso è il primo passo verso la riuscita,e, come dice, la citazione di Leopardi che Calabresi ha scelto per il suo libro: " Questo tempo è gravido di avvenimenti … non lo sprecate. Quando ci libereremo dalla superstizione, dai pregiudizi, quando trionferà la verità, il diritto, la ragione, la virtù se non adesso? Quando risorgerà l’amor della patria? Quando? Sarà morto per sempre? Non ci sarà più speranza? Io parlo a voi… Ora è il tempo… O in questa generazione che nasce, o mai. Abbiatela per sacra, destatela a grandi cose, mostratele il suo destino, animatela."

sabato 20 ottobre 2012

Il corpo umano.Paolo Giordano.

E' impossibile non pensare a " La solitudine dei numeri primi " leggendo questo romanzo, e , non solo per la consequenzialità cronologica dei due, non solo perchè sono stati scritti dallo stesso autore, ma, anche  e, soprattutto, perchè in entrambe le storie sono le imperfezioni e i traumi umani i veri protagonisti.

Paolo Giordano ci ha messo ben cinque anni a scrivere il suo secondo libro e, sono sicura, che parte di questo tempo sia anche dovuto al fatto che non deve essere stato facile rimettersi in gioco dopo il successo del suo primo romanzo: milioni di lettori si erano immedesimati in Alice e Mattia, molti di noi si erano all'improvviso scoperti numeri primi tra miliardi di numeri positivi.

Ne " Il corpo umano " Paolo Giordano affronta un argomento che apparentemente non ha niente  a che vedere con il suo primo romanzo: in questo libro è la guerra a farla da padrone, la guerra vera, fisica, quella combattuta in Afghanistan, fatta di soldati, di uomini normali, molti di loro quasi degli anti- eroi; ma, accanto a questa guerra ce n'è un'altra che i protagonisti combattono, quella con se stessi, una guerra fatta di fughe e rimozioni, una guerra che non ha il rumore dei mortai, delle bombe, ma quello dei corpi, dei ricordi, che arrivano fin lì nel deserto, ad aggiungersi ai nemici, che sono dovunque, che li osservano, che li uccidono.

Questi ragazzi si ritroveranno in una delle aree più pericolose dell'Afghanistan, il Gulistan, il loro accampamento è la forward operating base ( fob ), una sorta di bolla di sicurezza di questa guerra e delle loro vite.  Lì c'è il tenente medico Alessandro Egitto, che accumula mesi su mesi di missione pur di non affrontare la sua vita da civile; la divisa, quell'area recintata in mezzo al deserto e gli antidepressivi che prende sono per lui la forma più alta di protezione che la sua mente riesca a concepire.
C'è poi il maresciallo Antonio Renè che, da civile offre servizi a pagamento alle donne sole, un uomo che si ritrova al comando di un intero plotone senza in realtà esserne veramente in grado e, poi, ancora, tanti altri uomini, che nella loro vita di tutti i giorni hanno paura, fuggono da legami familiari, legami sociali, uomini per i quali questa guerra è la loro prova più grande, il vero passaggio all'età adulta.

Ancora una volta Paolo Giordano parla ai nostri tormenti, della paura di affrontarli, degli errori, a volte letali, che può portarci a fare, una vita non vissuta  appieno, della vigliaccheria e dei sensi di colpa, che ogni uomo, almeno una volta nella vita si trova a vivere, le fragilità, le debolezze di chi fugge dalla guerra con se stesso, buttandosi in una guerra vera che paradossalmente considera meno pericolosa.



martedì 2 ottobre 2012

Incontrarsi. Angela Barile.

Provo a seguire il tuo passo, a non fare resistenza, ad accettarti così come sei, imperfetta e talvolta fragile.
Ho avuto paura di te, di questa sconosciuta che ogni tanto mi appariva in sogno, ho urlato più forte per coprire la tua voce, volevo smettere di soffrire, non capivo che la sofferenza era oppormi.
Adesso sono qui, non di fronte, ma di fianco a te, ti osservo bene prima di prendere qualsiasi decisione, ti ascolto e non fuggo più, anche se, a volte, quello che dici mi fa paura.

Ho passato 34 anni a cercarti,  per strada, nei bar, tra la gente, come se la completezza si potesse avere solo dall'esterno: quando si parla d'amore molti dicono che bisogna trovare il nostro pezzo mancante, ecco, io non sono daccordo, dobbiamo essere completi per amare, completi per non dare all'altro una responsabilità che non gli compete.
 Tutti questi anni per capirlo, a soffrire inutilmente per qualcosa che semplicemente cercavo nel posto sbagliato. Le prime volte in cui ti ho percepita davvero sono state nei miei sogni, nell'unica parte di me che non potevo controllare, all'inizio non ci badavo più di tanto, poi ho cominciato a guardarli questi sogni,e , pian piano, ho iniziato a conoscerti, se prima eri solo un fruscìo, poi, sei diventata vento e infine tempesta, più ti riconoscevo, più facevi rumore, più diventavi presenza concreta. All'inizio ti ho combattuta, mi facevi rabbia, non riuscivo a riconoscerti, mi apparivi come qualcosa di estraneo, di doloroso, poi finalmente ti ho accolta. Non c'è stato un momento preciso, solo, un pò alla volta, ho accettato che tu c'eri e, dopo un pò, hai cominciato a piacermi. E' come rinascere sai ( ma si che lo sai! ) con tutte le paure e le sorprese che la vita riserva, senza sapere nulla di quello che sarà, non immaginavo che l'incertezza potesse, in una certa misura, essere così stimolante, non immaginavo che si potesse essere coraggiosi anche avendo paura.

Ora sei qui con me, anche mentre scrivo, non riesco più a distinguere se sono le mie o le tue dita a pigiare i tasti, ormai non c'è più nessuna separazione, nessun confine, sia fuori che dentro, non cerco perchè ho già trovato, piuttosto assaporo, osservo, mi incuriosisco di tutto quello che ho intorno; non so che sapore ha trovare "il grande amore", ma conosco il sapore che mi hai lasciato tu dentro e fatico a credere che ci sia qulcosa che possa superarlo.




                                                                 

martedì 18 settembre 2012

Diario 1941-1943.Etty Hillesum.














Ho scoperto questo libro per caso in rete, ultimamente sono molto attratta da testi che vadano un pò oltre la semplice storia che ti toglie il respiro mentre la leggi, e questo mi sembrava adatto, si inizialmente, prima di comprarlo, ho pensato semplicemente che fosse "adatto"; e ora eccomi qui a scrivere di uno dei libri più scioccanti e sconvolgenti che mi sia mai capitato di leggere.

Etty Hillesum è un'ebrea olandese, una donna estremamente passionale e di un'intelligenza non comune, nel 1941 Etty ha 27 anni, è una ragazza ricca e colta con un'esistenza normale e una vita sentimentale piuttosto movimentata, nelle prime pagine di questo diario la protagonista parla soprattutto dei suoi amori, nomina Dio, ma questa parola è ancora qualcosa di astratto, un modo di dire semplicemente; della guerra quasi non ci accorgiamo leggendo le prime pagine: Etti è un'ebrea che vive in Olanda nel 1941,e, a parte qualche accenno al popolo tedesco, all'inizio del Diario, c'è poco altro a proposito di quello che sta avvenendo in quel periodo in Europa.
Non è un caso quest'omissione:il Diario è, paradossalmente, una rinascita, Etty racconta quello che avviene dentro di se; man mano che andiamo avanti nella lettura, ci rendiamo conto di come il mondo esterno diventi sempre di più uno scenario, un pretesto perchè l'apoteosi del suo percorso personale abbia luogo.
Per la prima volta nella mia vita sono stata costretta a guardare con occhi nuovi a uno dei periodi più terribili e angoscianti della storia mondiale: quando, in passato, ho letto Il diario di Anna Frank, vedevo il Nazismo e l'Olocausto con gli occhi di una ragazzina che non capiva bene quello che stava avvenendo e conservava in se la speranza di riuscire a farcela, nonostante tutto; leggendo il Diario di Etty Hillesum il punto di vista cambia totalmente. Etty è una donna consapevole, sa esattamente quello che sta accadendo, non si dispera, non cerca di fuggire, ma "coglie l'occasione" perchè tutto questo orrore possa renderla una persona migliore.
Nonostante tutto, l'idea che abbiamo di questa donna, non è quella di martire, Etty è una donna normale, una donna che risponde alla più grande disumanità di tutti i tempi con un'accettazione e un amore che sono fuori dal comune in un contesto simile.
Scrive: “Dentro di me c'è una sorgente profonda; a volte riesco a raggiungerla, a volte resta sepolta, allora bisogna dissotterrare di nuovo, liberare da pietre e da sabbia e ritrovare la fonte. Mi ritiro nel monastero interiore, lontano dalle distrazioni; mi concentro in unità e ne esco più raccolta, concentrata e forte. Chiamo Dio la parte più profonda e ricca di me; chiamo Dio il mio amore per la vita;...
Non mi abbandono alla tristezza. Mi sento nel grembo della vita. Ascolto il battito fedele del cuore. Respiro l'aria fresca, sento la carezza dell'aria. Contemplo l'ampio cielo tutto intero sopra di me. La casa della mia interiorità mi impedisce di sfasciarmi, perdermi, rovinarmi. Mi ascolto dentro. Mi sento salva e sicura nell'accostare il mistero di Dio in me. Una grande fiducia va maturando lentamente e mi aiuta a governare con calma le asprezze della giornata. Riguadagno il contatto con me, col più profondo di me, col meglio che c'è in me, che io chiamo Dio… e se Dio non mi aiuterà, sarò io ad aiutare Dio; tocca a noi aiutare te, oh Dio. Difendere fino all'ultimo la tua casa in noi. L'unica cosa che possiamo ancora salvare e che veramente conta è un piccolo spazio di te in noi... Siamo noi a dover aiutare te, in questo modo aiutiamo noi. Cercherò di aiutarti perché tu non venga sepolto dentro di me. Sono stata strattonata da relazioni amorose. Mi sento salva e sicura in Te. Quel pezzetto di eternità che ci portiamo dentro può essere espresso in una parola come in dieci volumi: Dio è il mio amore per la vita.”

Ma il Dio che viene fuori da questo Diario è un Dio personale e laico, qualcosa che è innanzitutto la nostra essenza più profonda, è come se in ognuno di noi ci fosse una sorgente divina e, quindi, queste preghiere siano, in realtà rivolte a noi stessi, non c'è distanza tra umano e divino, tutt'al più le due cose si compenetrano, e compito di noi uomini, è convivere con entrambe senza soffocare nessuna delle due.
Etty cerca di fare questo fino alla fine dei suoi giorni, morirà in un campo di concentramento anche lei, lasciandoci in eredità un messaggio d'amore inaspettato se si tiene conto del periodo storico in cui è stato scritto; all'odio, alla violenza, all'atrocità lei risponde con la dedizione verso il prossimo e la preghiera.
Se una donna che ha vissuto quello che ha vissuto lei può pensare e scrivere cose come queste allora diventa un fatto incontrovertibile che l'odio non ha nessun motivo di esistere e non è mai giustificabile.

giovedì 26 luglio 2012

Il tempo dei bilanci e delle decisioni.








Ricordo ancora, come fosse ieri, il mio primo treno per Firenze, ricordo il tepore anomalo di quel febbraio del 2007. Le valigie strabordavano della nuova me stessa che mi portavo dietro, un'Angela fatta di sogni, di dolori più o meno rimarginati, della volontà di poter fare quello che aveva sempre desiderato: andare via. Sono cresciuta con la strana consapevolezza di non vedere il futuro nel posto in cui ero nata e non soltanto lavorativamente ma anche e, soprattutto, emozionalmente. Ho sempre invidiato le persone che amavano la propria città di origine, io, personalmente non l'ho amata mai, ogni giorno della mia esistenza era costellato da questo non amore, senza che ci fosse un valido motivo.
Firenze per me era il raggiungimento di questo mio sogno, un punto di arrivo. Avevo 28 anni, mi sembravano pochi, oggi so che erano già troppi, che forse avrei dovuto laurearmi più in fretta, decidere più in fretta, ma è facile tirare le fila con la mia nuova consapevolezza, all'epoca ero una ragazzina o almeno così mi sentivo.

Firenze è stata il mio banco di prova, ha rappresentato lo sradicamento fisico di qualcosa che prima era solo una sensazione; ricordo i primi mesi, quasi su di giri, felice di essere libera e artefice della mia vita, uscivo tutte le sere, presa da una foga e un'entusiasmo incommensurabili, come sotto l'effetto di una droga, ho accettato il primo lavoro che mi veniva offerto, l'indipendenza mi sembrava il giusto prezzo da pagare alla rinuncia dei miei sogni: si, volevo scrivere, volevo lavorare con i libri, ma non c'era tempo, dovevo guadagnare, avere uno stipendio a fine mese.
Per anni mi sono detta che non era più tempo per sognare: già nel 2007 avevo scelto, se fossi rimasta a casa con i miei, forse, avrei potutto provare a fare master, stage, chissà a scrivere un romanzo, ma avevo fatto un'altra scelta e, non era stata avventata, ho sempre deciso tutto nella mia vita valutando bene i pro e i contro, peccato che col tempo le priorità cambino!

Di Firenze salvo le persone che ho conosciuto, meravigliose e accoglienti.
Mi dissero, prima di partire, che i fiorentini non erano granchè simpatici, che erano freddi, quasi aristocratici, io l'ho trovati infinitamente umani seppur molto discreti; ironici e contestatori, figli di una città antica e rispettata, innamorati della propria squadra di calcio, orgogliosi di quel giglio che, che, più di ogni altro, è il simbolo del loro passato e di un'appartenenza che a loro ho sempre invidiato, perchè io non riuscivo a sentirla.
Volevo affondare le mie radici in questo posto, ma in tutti questi anni non ci sono riuscita mai per un secondo, non mi sono mai sentita a casa qui, ho sempre sentito questi luoghi di passaggio, un controsenso se penso alla sensazione che avevo su quel treno che saliva verso nord, eppure eccomi adesso dopo cinque anni e mezzo a dover rivedere tutto daccapo.
 C'è la crisi economica in tutto il mondo e io non ho più 28 anni, ho un lavoro stabile, pagato abbastanza bene, sicuro, ma che odio, in maniera profonda e quasi colpevole.
Ma se c'è una cosa che Firenze mi ha insegnato è l'umiltà di accettare che si può cambiare idea, che gli amici non possono sostituire la propria famiglia, che gli amori non arrivano quando dovrebbero, o forse non arrivano proprio perchè non devono, con un uomo accanto non mi sarei riavvicinata alla mia famiglia, alla mia terra, forse sarei rimasta qui, un uomo mi avrebbe dato prova che avevo ragione, che tutto poteva essere sostituito, ma non è stato così.
Ritorno a casa, o almeno mi avvicino perchè la paura di  nessuna crisi mondiale può competere con i sorrisi della mia nipotina che a stento sa che esisto, con l'amore della mia famiglia  che mi  ha sempre assecondata in ogni mia scelta, anche quando la mia decisione mi allontanava da loro. So adesso che devo riappacificarmi con la mia terra e con tutto quello che mi ha permesso di essere quella che sono, qui mi sento una donna a metà, come dice una frase che ho letto un pò di tempo fa, un pianoforte senza i tasti neri, incapace di produrre una melodia completa.

mercoledì 18 luglio 2012

Il vile agguato. Enrico Deaglio.

Rabbia e incredulità, sono queste le sensazioni che mi hanno pervasa nella lettura de "Il vile agguato " di Enrico Deaglio. Già di per sè, l'attentato al giudice Paolo Borsellino crea sgomento, dolore, ma ancora peggio è, se vogliamo, il modo in cui a questa tragedia si è arrivati e come sono state condotte le indagini (indagini?) nei 20 anni seguenti.
Scopro con questo libro, da profana, abbastanza ignorante a proposito, fatti incomprensibili, la cui assurdità è talmente lampante da poter essere notata anche da un bambino, ma non dagli inquirenti, a quanto pare!
Innanzitutto mi colpsice che, abitava in via D'Amelio, un certo Salvatore Vitale , proprietario di un maneggio di Palermo, lo stesso in cui andava a saltare gli ostacoli il piccolo Giuseppe Di Matteo, si, proprio lui, il bambino rapito da Cosa nostra e successivamente ammazzato e sciolto nell'acido, per punire il padre pentito; lo stesso Vitale, a quanto pare, la mattina di quel giorno, aveva fatto allontanare dei bambini che giocavano a pallone vicino alla famosa 126 rossa che, poi, saltò in aria, lui stesso e la sua famiglia quel giorno non si trovavano a Palermo, ma erano andati a fare una gita in campagna.
Via D'Amelio era, inoltre, una zona pericolosissima, strada cieca, difficile da gestire, anche per la grande quantità di automobili parcheggiate,più volte la cosa era stata fatta notare, ma nessuno aveva preso provvedimenti ; tante cose in questa soria vengono ignorate o meglio "tralasciate"  prima e dopo l'attentato, la scena del crimine viene immediatamente inquinata, non consentendo rilievi scentifici attendibili, per anni il processo si basa su un colpevole assolutamente non credibile, tale Vincenzo Scarantino, che confessa tutto,e, poi ritratta, riconosciuto innocente nel 2011.

Ancora oggi, a distanza di 20 anni,  non si sa chi sia stato ad uccidere Paolo Borsellino, ma questo non dovrebbe sorprenderci più di tanto, siamo in Italia, "il paese felice" dove si preferisce insabbiare, nascondere, non vedere quello che per altri occhi sarebbe decisamente ovvio.
E' un'indagine questa che ti lascia con l'amarezza in bocca, che fa aumentare sfiducia e  pessimismo.

La mafia che viene fuori da queste pagine è parte costituente del nostro paese, talmente ramificata e con radici così profonde, da non poter distinguere cosa tocca e cosa risparmia, non ci sono buoni che combattono contro cattivi, o, meglio, in questa guerra, il buono non sa mai chi ha davanti, è una lotta impari, non è più quella tra Stato e Mafia, perchè Stato e Mafia combattono fianco a fianco, sono l'uno parte integrante dell'altra.
La sensazione che ho avuto è che Falcone e Borsellino più in là non potessero andare perchè erano disperatamente soli, senza alcuna protezione, se non la propria scorta, fatta di uomini, di singoli uomini, che credevano realmente in quel che facevano, sapendo di rischiare ogni giorno la vita.
Questa è la storia di  due grandi amici, che, sognavano di sconfiggere la Mafia,e, che per questo furono denigrati e uccisi, e,  dopo la morte, osannati; persone che, in un altro mondo, sarebbero definite normali, ma, che, nel nostro diventano, eroi.

lunedì 9 luglio 2012

La mia arma. Angela Barile.

                                     


Ringrazio Dio ogni giorno dell'amore per la lettura che mi ha donato.
Lui sapeva che mi sarebbe tornato utile; mentre io a 4 anni mi innamoravo delle parole lui era lì ad incoraggiarmi- Su Angela, continua così-mi diceva-i libri saranno la tua arma!.
Si, perchè ognuno di noi ne ha una, una capacità che lo aiuterà ad affrontare la vita: c'è chi è dotato di una profonda ironia, chi ha uno spiccato senso artistico, chi una naturale propensione all'egoismo, e, infine, chi, ha un profondo amore per qualcosa.

I libri, in effetti, mi hanno salvata più di una volta: da piccola quasi non me ne rendevo conto, sapevo, tuttavia, che la parola scritta mi apriva un nuovo mondo, era come una porta, che oltrepassavo quando ero triste, non mi sentivo capita, o, semplicemente quando, la realtà non mi bastava.
Tante cose nella vita non avrei potuto superare senza i libri e vi assicuro che non è un'esagearazione!
In un lavoro come il mio i libri mi hanno salvata nelle ore vuote e infinitamente lunghe di questo negozio/prigione, alcuni personaggi mi hanno soccorsa con una parola, una frase, e io ho colto sempre in essi quello che volevo sentirmi dire; alcuni sono stati un colpo di fulmine, altri ho imparato ad amarli pagina dopo pagina, di alcuni mi ha rapita un titolo, di altri l'immagine di una copertina, di altri ancora una citazione letta per caso su internet.

Quando il dolore, in certi giorni, è stato troppo forte, perdermi nelle pagine di un romanzo, è stato l'unico sollievo: arrivavano sempre in mio aiuto come angeli dal cielo, io li cercavo e loro apparivano sul mio cammino, come se fossero stati scritti solo per me tra milioni di esseri umani. Ognuno trova in un libro quello che cerca, libri che per me sono stati meravigliosi potrebbero dire poco o niente a qualcun altro, si arriva alle pagine di un romanzo con il proprio bagaglio, la propria personalità: io, per esempio mi sono sentita un numero primo nel romanzo di Paolo Giordano, orfana in "Fai bei sogni" di Gramellini, ho ritrovato il mio amore immaginato e sognato nelle lettere del romanzo di Grossman "Che tu sia per me il coltello" e potrei elencare un'infinita serie di titoli ancora e, probabilmente, non tutti saranno daccordo con me, molti avranno trovato questi libri noiosi,o, comunque , insignificanti.

Il potere e la magia della lettura è proprio questo, ognuno trova nei libri quello che serve, sono come una lampada di Aladino da accarezzare, un vaso di Pandora da aprire, dentro quelle pagine ci sei tu, innanzitutto, non una semplice storia, c'è quello che vuoi che ci sia.
So che posso sentire tutto questo solo perchè li amo, so che sembrerò una visionaria per chi legge poco o non legge affatto, ma chi mi conosce, potrà capire, anche se non condividere, queste parole con me.
Dopo tutto la lettura è la "mia " arma, ognuno, leggendo queste parole, forse, troverà la sua.

venerdì 22 giugno 2012

Ritorno a casa. Angela Barile.

Ho passato tutta la mia vita a scappare, ho sempre sentito una non-appartenenza in quello che mi circondava, mi chiedevo, a volte, da dove ero venuta fuori io, mentre guardavo il resto della mia famiglia: avevo, è vero, lo sguardo di mia madre, le mani e i piedi di mio padre, i modi di fare e il tono di voce delle mie zie, eppure mi sentivo altra , come se a loro non potessi appartenere.
Ho deciso, quando ero una bambina, che sarei andata via, perchè doveva pur esistere da qualche parte, qualcosa in cui mi potessi riconoscere, nel frattempo mi estraniavo sempre di più da tutta la mia famiglia, se una differenza sentivo, la accentuavo, come fosse un segno inequivocabile, come se tutti dovessero vedere che io ero fatta di una materia diversa, nè meglio nè peggio, semplicemente ero un'altra cosa.
Ero fatta di parole, innanzitutto; soprattutto di quelle che tacevo, fatta dei libri che leggevo, delle storie che inventavo, per anni ho vissuto davvero solo in quello che non esisteva, mentre recitavo una vita normale, sperando, ingenuamente, che poi, un giorno, lontana da tutto e da tutti, sarei stata semplicemente quella che ero.

E così, quando ho potuto, sono andata via. Col senno di adesso mi chiedo perchè non sia mai fuggita davvero lontano, insomma avrei potuto andare dove volevo, nessuno me lo avrebbe vietato, la mia famiglia mi avrebbe sicuramente aiutata, eppure il posto più lontano dove sono riuscita ad arrivare è questa città di mezzo, la città, che per chi viene dal Sud, separa in qualche modo una piccola da una grande distanza, sono finita in una città di fiume, anche se avrei voluto una città di mare, in una città  a misura d'uomo, mentre avrei voluto una metropoli.

Non ho mai preso decisioni avventate nella mia vita, ho sempre seguito princìpi di cui mi fidavo ciecamente, peccato fossero ancora soltanto i princìpi di un'adolescente ribelle!
 Eppure Firenze è stata il luogo in cui mi sono ritrovata: abbastanza lontana da ciò che mi era familiare, ho dovuto reinventarmi, valutare daccapo tutto ciò che mi aveva portata fin lì. Lontana da casa, dalla mia famiglia, dalle mie montagne, dal mio mare, ho capito che non potevo sostituire niente e nessuno, ho capito che, lo vogliamo oppure no, i luoghi e le persone dalle quali nasciamo sono la nostra essenza più profonda, sono il materiale che ci portiamo dietro per poter diventare ciò che siamo.
Staccarmi da loro mi è servito, ma solo per capire che a loro volevo tornare.

Mia madre mi ha raccontato che quando sono nata, durante il parto, mentre lei spingeva con tutte le sue forze per mettermi al mondo, io, caparbia, ad ogni spinta, risalivo su. Ho fatto la stessa cosa anche dopo: testarda, ho rifiutato quello che era inevitabile:  un legame che c'era nelle cellule del mio corpo, che si rigenerava di continuo e che nessuna lontananza poteva cancellare.

Non so dove andrò adesso, non so cosa farò, per ora respiro profondamente, come quando sono nata la prima volta.
Ricomincio da qui, per morire e rinascere mille volte ancora.

mercoledì 6 giugno 2012

Il bacio di Venere e Sole. Angela Barile.

Oggi, 6 Giugno 2012 Venere e Sole si incontrano, un evento astrologico eccezionale avvenuto otto anni fa e che accadrà nuovamente tra 105 anni.
Ora, per chi non lo sappia, io sono una grande appassionata di astrologia e il fatto che questo "bacio" tra la stella e il pianeta più evocativi dello zodiaco avvenga mentre soggiornano nel mio segno zodiacale, devo dire, mi affascina moltissimo.
Quisquilie! Diranno gli scettici, eppure io questo transito lo sento. Sarà che tutto intorno a me sta cambiando velocemente, sarà che io mi sento una persona nuova, sarà che ho addosso tanta energia capace di spostare montagne. Sembro ferma, eppure mi muovo; per la prima volta nella mia vita non mi accade il contrario, per la prima volta nella mia vita sono al centro del mio universo e ridimensiono gli altri.
Mi sento come ci si può sentire nell'occhio del ciclone, in quei secondi che rappresentano una calma apparente, in quei secondi che sono il preludio di una rivolta devastante.
La rivolta c'è nel mio eterno andare, nel bastare a me stessa, nel cessare di aspettare.
La rivolta sono io che mi muovo leggera, una piuma che si fa trasportare dal vento, ma che non è alla sua mercè. Bisogna affidarci a noi stessi ogni tanto, a quella parte più profonda e più antica che ci portiamo dentro, lei sa sempre quello che c'è da fare!
Ecco la mia rivoluzione, ecco il mio transito personale.

mercoledì 9 maggio 2012

Andare. Angela Barile.

La cosa meravigliosa del dolore è che può darti una possibilità, può dartela se tu glielo concedi, se non ti sottrai al suo richiamo spaventoso. So che ci sono infinite teorie sull'utilità del dolore, ma so anche che sono solo parole vuote se non lo vivi sulla tua pelle, se non permetti a tutta quella sofferenza di svuotarti. Il vuoto è terribile, lo senti mentre ti consuma dall'interno, mentre ti inaridisce il cuore, ma se tu non ti opponi, se tu gli permetti di abitare dentro di te, se lo accetti e gli dai tutto lo spazio che gli serve, ecco, è proprio in quel momento, che si aprono nuove strade, o meglio, è solo in quel momento che tu riesci a vederle.

Sono qui, ferma, da tanto tempo ormai, :ferma mentre credevo di andare. Sono sempre stata una persona che gli altri definivano coraggiosa, perchè sono andata via per ricominciare da zero in un altro posto, ho sempre risposto che ci voleva più coraggio a restare in un luogo che sentivi non essere tuo e in cui non vedevi futuro, andare era una specie di necessità, era il solo modo che avevo per inseguire me stessa.

Cosa è successo poi? E' successo che in questo inseguirmi mi sono persa, senza neanche rendermene conto, il dolore mi è piovuto addosso come una pioggia infuocata, aveva un volto diverso di volta in volta, ma era sempre lo stesso, ad un certo punto ho cominicato a dimentichare chi l'aveva causato e a chiedermi perchè era venuto, perchè non si placava mai, perchè la serenità era diventata una piccola pausa tra un dolore e un'altro. Penso che questo cambio di prospettiva, questa domanda sia stata la chiave di tutto, è in quel momento che ho cominciato ad abitare il mio vuoto, ad accettarlo. Non mi è mai piaciuto molto il termine "accettare", per me ha sempre significato rassegnarsi, ho capito poi che il verbo "accettare" è in movimento, non ha la staticità della rassegnazione, accettare è abbracciare quello che hai intorno, rassegnarsi è come incatenarsi.

Sono nella fase adesso in cui questo vuoto non mi sembra così terribile, è ora diventato uno spazio, sto provando ad arredarlo, a capire lo stile che voglio dargli, per ora è solo pieno di luce e ha porte e finestre spalancate e so che al momento può bastare. Non so ancora precisamente cosa voglio, ma chi lo sa mai veramente? So solo che desidero andare avanti, seguirmi nel coacervo di strade e nella folla di gente che incontrerò, porto con me i libri, la scrittura e qualche ricordo perchè mi mostri sempre da dove vengo.
Non mi serve nient'altro.



martedì 10 aprile 2012

Qualcosa da scrivere. Angela Barile.




E' qualche settimana ormai che non scrivo più nulla sul blog. Ho avuto bisogno di qualche giorno di pausa per capire bene quello che volevo.
Mi sono interrogata a lungo sul significato della scrittura per me, sul peso che hanno nella mia vita le parole scritte: quelle che scrivo io e quelle che leggo nei libri.
Quando ero molto piccola, un giorno, vidi mio padre che stava leggendo un quotidiano, lo faceva muovendo leggermente le labbra: nella mia ottica di bambina mi sembrò che , attraverso quei disegni sul foglio, lui fabbricasse parole, la cosa mi colpì molto e decisi che dovevo imparare.
Non ricordo precisamente come sia avvenuto, so solo che è come se avessi saputo sempre farlo. E così, dapprima ho cominciato  a leggere le favole, poi a inventarle( me le raccontavo la sera prima di addormentarmi) infine, verso i sei o sette anni ho iniziato a scriverle.
Ci sono cose che fanno parte di te nel profondo, cose : ecco, leggere e scrivere per me da bambina è stata un'acquisizione naturale, un riaffiorare in superfice di qualcosa che in me era già presente.


Con gli anni, i libri e la scrittura sono diventati un rifugio, sono sempre stata una sognatrice, e la mia vita quotidiana certo non bastava a soddisfare le mie esigenze, così mi nutrivo di ogni tipo di romanzo e scrivevo qualsiasi genere di storia che mi sarebbe piaciuto poter vivere: le mie eroine inventate erano in grado di fare cose che io non avrei mai avuto il coraggio di vivere nella mia vita reale, inseguivano amori lontani, scappavano di casa, si perdevano nell'oblio della droga e  dell'alcool, ed erano così reali ai miei occhi che,  a volte, facevo fatica  a distinguere quei personaggi dalla me in carne ed ossa.
Con il passar del tempo la scrittura è diventata un modo per scoprirmi, per conoscere la mia parte più profonda e autentica, ho sempre scritto solo per me stessa, concretamente le cose che scrivevo non potevano interessare gli altri, anzi, erano così personali e intime che la sola idea che qualcuno potesse leggerle mi metteva in grave imbarazzo.
Poi all'improvviso la vita mi ha regalato qualcosa: il tempo, un tempo costretto all'interno di quattro mura, un tempo in cui le parole nella mia testa erano l'unica cosa a cui potevo aggrapparmi per non impazzire.
Ho cominciato così a scrivere, ho aperto questo blog, e , per la prima volta, gli altri hanno letto quello che scrivevo: spesso cose molto personali, altre volte considerazioni, recensioni dei libri che amavo di più.
Eppure a leggerle, col senno di poi, anche le mie recensioni hanno una matrice troppo intimista, anche in esse non riesco ad essere oggettiva, così più che la critica del romanzo, è l'impatto che quella storia, quella scrittura ha su di me che viene fuori.
Non so se sarò mai in grado di scrivere qualcosa che oltre che corrispondere  a me , possa anche interessare in modo compiuto gli altri, per il momento la scrittura resta il miglior mezzo che ho per esprimere me stessa, l'unico modo che conosco per comunicare con i mille personaggi che convivono e  si scontrano dentro di me, senza di essa sarei una persona disturbata  e infelice.



Ho pensato tante volte di cominciare a scrivere qualcosa che potesse, almeno in teoria, essere pubblicabile, tra i miei sogni di bambina e di adolescente c'era anche quello di diventare una scrittrice, non mi rendevo conto allora di quanto possa essere difficile scrivere per gli altri, quando si scrive per se tante cose possono darsi per scontate, non c'è bisogno di spiegare ogni passaggio, di descrivere nei dettagli quello che accade, tu sei creatrice, protagonista e pubblico.
Scrivere per gli altri presuppone un approccio diverso, che non ho mai utilizzato prima e che forse non mi viene così naturale, di conseguenza uno sforzo maggiore.
Non so se riuscirò mai a farlo, ma ci sto provando: in questi giorni di assenza dal blog ho iniziato a scrivere qualcosa di diverso, qualcosa che presupponga una pubblicazione ma soprattutto un pubblico, in alcuni paragrafi a guidarmi è la mia voce interiore, come sempre lei detta e io scrivo, ma spesso devo prendere le redini e guidarla, tradurla, perchè non si metta a parlare nella sua lingua personale: il dialetto stretto di una terra sperduta e sconosciuta ai più.
Creare dei collegamenti tra me e il mondo esterno, ecco, ora è questo che deve diventare per me la scrittura, almeno è quello che proverò a fare.

sabato 24 marzo 2012

Un indovino mi disse. Tiziano Terzani.

" Attento! Nel 1993 corri un grande rischio di morire. In quell'anno non volare. Non volare mai. "
Comincia così questo libro, dalla predizione che un indovino cinese fa a Tiziano Terzani nella primavera del 1976.
Passa il tempo, ma Tiziano non dimentica quella profezia e in quell'anno decide di non prendere aerei, pur continuando ad esercitare il suo lavoro di corrispondente. E' da questo evento non ordinario che trae origine la storia di questo viaggio eccezionale, alla scoperta di un'Asia , vista da una prospettiva nuova e lenta, fatta di tempi lunghi e di percorsi sudati, di frontiere da attraversare, di treni da prendere, di navi su cui imbarcarsi.
Con quella che ha tutta l'aria di una maledizione, Terzani riscopre il tempo lento e agognato della scoperta, in paesi che non sono semplicemente lo scalo di un'areoporto, bensì binari lunghi e malandati su cui andare, strade non asfaltate da attraversare e mari aperti da cui salpare e poter   avvistare terra.
E così, se da una parte c'è la cupa e triste constatazione di un paese che si sta sempre più occidentalizzando, dall'altra siamo ancora in grado di sentire lo spirito orientale di questi luoghi, in alcuni paesaggi, soprattutto, nei colori, nelle credenze, nelle persone.
Il filo conduttore di questa storia è il destino, di quei luoghi e di Terzani stesso, i numerosi indovini che lui consulta in questo viaggio sono spesso figure esilaranti, in qualche caso degne del massimo rispetto, persone che più che indovinare, sanno leggere l'animo umano, con l'attenzione tipica di un'Oriente ormai perduto.
Così questo viaggio diventa innanzitutto un viaggio alla scoperta di se e di una nuova dimensione umana, un modo nuovo di vivere in connessione diretta con quello che ci circonda. C'è in queste pagine il germe di una nuova consapevolezza, la profezia, con il senno di poi, diventa importante, e non tanto per la predizione in parte avveratasi davvero ( nel Marzo 1993 un aereo, carico di giornalisti precipita sul serio in Russia ), ma per il modo lungimirante e attento in cui Terzani la utilizza: non è necessario sapere se quello che dicono gli indovini si avvererà, molto probabilmente, nella maggioranza dei casi, non succederà, la parte essenziale sta proprio nella ricerca, nel viaggio personale di ogni individuo all'interno di se stesso, ed è esattamente quello che Terzani fa su questa immensa terra, piena di contraddizioni che è l'Asia: scoprire e scoprirsi al di là dei tempi e degli spazi che ci vengono imposti.

mercoledì 21 marzo 2012

Al "mio" fantasma. Angela Barile.

Inciampare nel tuo sguardo è, ancora oggi, nonostante tutto, tra le cose più ovvie e logiche che mi siano mai capitate. Avevi un senso nella mia vita, anche se chiunque direbbe, compreso te, che senso non sembra essercene stato alcuno in  questa storia.
Suona strano chiamarla storia, perchè adesso, con il senno di poi, mi rendo conto che la nostra è stata soltanto una farsa: innanzitutto la tua nei confronti di te stesso, ancora la tua nei miei confronti e infine la mia, che mentivo a me stessa, che negavo l'evidenza.
Dove sei adesso?Perso nei miei ricordi di carta o vivo in mezzo a questo presente che è solo tuo?
Sei ritornato nel limbo delle persone che non conosco o forse in quel limbo ci sei sempre stato?
La risposta è evidente ai miei e ai tuoi occhi, noi non abbiamo più bisogno di spiegazioni, io di sicuro no, di spiegazioni me ne hai date tante in questi mesi, solo che io all'inizio non le vedevo, le trasformavo man mano in quello che volevo sentire, le trasformavo nella persona che avrei voluto tu fossi.
Non sto scrivendo a te ,sai? Non riesco a pensarti come ad una persona in carne ed ossa, tu sei un fantasma, il "mio" fantasma, questo concedimelo, forse  è l'unica verità che mi porto dietro di noi due : quest'immagine irreale fatta di sabbia e vento, l'immagine di chi per me non è esistito mai.
Cosa mi lasci? Vuoi davvero saperlo? Mi restituisci il vuoto, quello che già era mio, un dolce senso di malinconia e di tristezza e, infine, mi rendi i miei sogni, gli stessi che hai tenuto per un pò tra le tue mani di vetro, gli stessi che mi avevi promesso avresti realizzato per me.
Sai cosa ho capito, mio fantasma? Che ai miei sogni ci devo pensare io, e serve tanto dolore per capirlo e tanta fatica per farlo, sto cercando di riempirlo questo immenso spazio che ho dentro con le mie sole forze e con qualche sorriso, sto creando la sola cosa che valga la pena creare: un'immagine di me più vera e profonda, un'immagine nuova che mi corrisponda davvero.
Ricorda, è questa l'unica cosa che conta.
Ti auguro di poter essere autentico, con te stesso, prima di tutto, e, con tutte le persone che incontrerai; di essere soddisfatto di quello che sei e, soprattutto, con tutto il cuore, di essere felice, nel modo in cui tu vorrai. Io da quassù continuo la mia personale lotta, tu, mi raccomando, continua la tua.

lunedì 19 marzo 2012

Le persone felici. Angela Barile.

Ci sono persone che nonostante tutto riescono ad essere felici solo perchè hanno trovato il modo di esprimere se stessi anche in una vita difficile:attraverso il lavoro, le proprie passioni o attraverso un amore; le persone felici sono sempre le più coraggiose perchè in qualche modo hanno rischiato, hanno capito che quello che conta davvero è trovare un compromesso tra la realtà che li circonda e la profonda essenza di sè, le persone felici non conoscono la parola "se", si buttano nella vita nonostante tutto, la cavalcano, nonostante la fatica e la paura, sono come quei surfisti che navigano l'onda e ci riescono solo diventando parte di essa.
 
Non bisogna invidiarle, ma ammirarle, loro hanno risposto agendo alle domande che normalmente affliggono gli esseri umani, hanno capito che la lotta per vivere davvero è l'unica possibilità che abbiamo per non lasciarci sopraffare, rimanere fermi e immobili ci rende indegni di questo grande dono che è la vita.
Noi siamo nati per essere felici, siamo stati dotati di tutto quello che ci serve: di un'anima, innanzitutto, dell'intelletto e della compassione, non ci serve nient'altro, l'unica cosa che dobbiamo fare è utilizzarli, smettere di lamentarci, di inveire contro la cattiva sorte, di provare rancore verso chi ci ha fatto del male.
Siamo noi e soltanto noi a decidere cosa possiamo essere, non controlliamo gli eventi, è vero, ma possiamo scegliere se stare con noi o contro di noi.
La scelta sembrerebbe ovvia  e naturale, eppure per qualche strano scherzo del destino, noi esseri umani non assecondiamo quasi mai la nostra natura, alziamo delle difese nei confronti degli altri e del mondo, ci convinciamo ( o ci convincono ) che quello che desideravamo da bambini non era realistico, che dobbiamo adattarci, conformarci alle esigenze della nostra famiglia, dei nostri amici, dei fidanzati, dei mariti o dei figli, finiamo così sempre per rimandare, finchè non dimentichiamo del tutto quello che avevamo sempre desiderato, siamo l'unico mammifero al mondo che tende all'autodistruzione e su di essa costruiamo un'esistenza precaria che prima o poi ci si ritorce contro.
 
Quindi muoviamoci! Non ci ucciderà inseguire i nostri sogni, è solo un'alternativa, l'unica possibilità che abbiamo per provare a essere felici e, dato che il risultato non è garantito, vi assicuro che la felicità sta nella lotta e non sulla vetta che chissà se vedremo mai.
 
 

sabato 10 marzo 2012

Alla ricerca della metà perduta. Angela Barile.

Oggi è dell'amore che voglio parlare, dell'amore quando non c'è, di quando ti manca il fiato, di quando non sai più capire dove finiscono le lacrime e dove inizia la pioggia, dell'amore sparito, dell'amore che non c'è mai stato, di un volto che credevi di vedere e che invece era solo la proiezione di quello che avresti voluto.
Ci sono giorni in cui il non-amore ti assale come un cavaliere a galoppo, giorni in cui come miele si attacca ai vetri delle tue finestre e i tuoi occhi non riescono più a guardare.
Capita a tutti almeno una volta nella vita di sentirsi persi in questo grande mondo, di sentirsi soli anche tra migliaia di persone, "un'anima in pena" si dice e di solito, con quest'espressione, ci si riferisce ad una persona senza amore.

Nel Simposio di Platone, Aristofane racconta un mito a proposito di Amore: in origine gli uomini e le donne non erano separati, ma vivevano l'uno attaccato all'altro in un unico corpo, gli dei, vedendo quanto potere aveva in sè questa unione, decisero di separarli, da allora gli uomini e le donne vagano nel mondo in cerca della loro metà perduta.
Secondo questo mito nessun uomo e nessuna donna è veramente completo finchè non trova l'altra parte di sè, ecco perchè la sofferenza d'amore è tra le più atroci, chi non trova l'altra metà passa l'intera vita  a cercarla e nè il denaro, nè il potere potrà sostituire questa mancanza, chi è senza amore sarà in qualche modo sempre un mezzo uomo o una mezza donna.
Certo questo è un mito ed è chiaro che non abbia una vera corrispondenza nella realtà, eppure è proprio così che si sentono i non amati, anche chi non ha mai sentito parlare di questa favola, avverte una specie di vuoto, una mancanza.

Ho pensato molto a queste metà che girano per il mondo, sofferenti, incomplete, senza la certezza di riuscire  a trovarsi: ci si può riprendere da una delusione d'amore, dopo un pò ci si consola pensando che  quella non era la metà giusta, ma quando il non-amore è la condizione di un'intera vita come si riesce ad andare avanti? Abbellendo e conoscendo nel profondo la metà che abbiamo,esprimendo tutte le sue potenzialità, senza provare rabbia o lamentarci per quello che non cè, d'altra parte l' amore non ci è dovuto, l'amore è un dono.
Trasformiamo Il non-amore in una possibilità, la possibilità di essere quello che siamo davvero nel profondo solo con quello che abbiamo, sperando che la nostra metà, persa da qualche parte in questo mondo stia facendo lo stesso.

giovedì 1 marzo 2012

Fai bei sogni. Massimo Gramellini.


1 marzo 2012. Stamattina alle nove ero già davanti alla mia libreria preferita ad aspettare che aprisse.
Volevo leggerlo questo libro il prima possibile, mossa da una necessità primordiale a cui non sapevo bene quale nome dare. Non è strana quest'immagine per chi mi conosce: la mia passione per la lettura è cosa ben nota. Eppure questa volta non è stata solo la  passione a portarmi lì davanti, ma una specie di voce interiore, quelle che nella vita ogni tanto ci parlano e che qualche volta siamo portati ad ascoltare.
Il libro era ancora imballato nella sua scatola, ho dovuto gentilmente chiedere di aprirla , ed eccolo finalmente l'oggetto sconosciuto che aveva mosso "il mio viaggio", pronto per me.
Ho odorato a lungo il profumo delle pagine, lo faccio sempre prima di cominciare a leggere un libro, è l'anticamera della lettura per me, un modo per entrare in sintonia con la storia che da lì a pochi minuti mi inonderà. Poi ho cominciato.

Sono le 18 e 34 adesso, tanto ci è voluto perchè finissi il romanzo, una manciata di ore che non senti passare, come quelle degli innamorati, che quasi non hanno una dimensione temporale, slegate da tutto quello che è la concretezza della vita.
Il libro è molto più autobiografico di quanto pensassi, me ne sono resa conto solo alla fine: la storia di un bimbo che combatte per tutta la vita il trauma della morte di sua madre, e anche se il bimbo cresce, capitolo dopo capitolo, è ancora un bambino quello che, a piedi nudi sul tappeto,combatte contro il suo Belfagor, arrendendosi infine all'amore e al perdono, diventando in quel momento adulto.

Non mi sento di fare una recensione di questo romanzo, come spesso faccio per altri libri.
Queste pagine sono state per me qualcosa di molto più personale perchè io possa recensirle: non sono orfana come Gramellini, non ho perso mia madre durante l' infanzia, ma ho perso me stessa, questo è sicuro; anche adesso mentre scrivo non sono certa di essermi ritrovata del tutto, ho perso i miei sogni, per orgoglio soprattutto credo, ogni scelta della mia vita mi ha portata sempre più lontana da essi, dicevo a tutti che volevo combattere per loro, ma in pratica me ne allontanavo, credevo di punire la mia famiglia in questo modo, ma in realtà ho finito per punire me stessa.

Si può perdere qualcuno, a volte, anche se continua a vivere, anche se abiti e condividi con lui le tue giornate: è quello che ho fatto io, li ho persi, forse perchè in un momento imprecisato della mia prima infanzia non mi sono sentita accettata e così ho preferito farmi artefice di questa lontananza e ho cominciato a crearla io. In questo gioco al massacro ho permesso all'orgoglio e al capriccio di gestire i fili della mia vita e così ho finito per scegliere gli studi sbagliati, le città sbagliate e gli uomini sbagliati, tutto quello che ho fatto non ha corrisposto mai alla vera me, ma solo all'immagine che avevo costruito.

In queste pagine ho ritrovato anche il mio Belfagor, ma soprattutto ho sentito che in certe frasi lui perdeva un pò di potere, che certi veli si scostavano di tanto in tanto per scoprire una donna che non fosse più bambina, e ho pensato a tutti i romanzi non finiti che riposano tramortiti nella memoria del mio computer, a quanto essi possano essere stati il tentativo disperato di un'anima che ha bisogno di spogliarsi per poter diventare niente di più di quello che è davvero.

martedì 31 gennaio 2012

Mr Gwyn. Alessandro Baricco.

Londra. Mr Gwyn, scrittore piuttosto conosciuto, decide di smettere di scrivere.
E' da qui che parte la storia di Baricco: dalla crisi "mistica" di uno scrittore che non trova più in quello che fa la " sua  forma " e non è semplicemente di stile che stiamo parlando, per forma si intende l'espressione più vera e più intima dell'essere umano.
Il dono di Mr Gwyn, viene più volte ripetuto nel libro, è quello di leggere l'anima, di descrivere i propri personaggi, calandosi nelle loro menti ed esprimendo in modo esatto quello che in realtà essi pensano.
E' così che dopo una profonda meditazione e una scrupolosa pianificazione decide di  fare il "copista", di scrivere ritratti , tutto sembra, all'inizio, assolutamente paradossale, eppure è l'unico modo in cui Mr Gwyn può continuare a fare il suo lavoro.
Ancora una volta Baricco ci trasporta in un mondo magico dove la realtà si mischia con la natura più profonda dell'essere umano: i personaggi che verranno fuori in questo percorso, conservano una concretezza spirituale che va al di là di ogni immaginazione: il suo manager e amico Tom,la vecchietta incontrata all'ospedale che diventa per Mr Gwyn una specie di mentore, la ragazza un pò grassottella che gli fa da assistente in questo suo nuovo percorso lavorativo, che mano a mano che il libro va avanti, diventa una vera e propria ricerca dell'essenza profonda dei suoi personaggi e di se stesso, e, infine l'artigiano delle lampade, l'artista delle luci che nel libro servono a scandire il tempo.
Così questo libro diventa, man mano, l'unico modo in cui questi personaggi hanno per svelarsi a se stessi e al mondo, un ritratto vero e profondo della poesia che abita in ogni essere umano.