martedì 1 dicembre 2015

Scrivere. Angela Barile.



                                                 


Scrivere è un atto di coraggio, è entrare dentro se stessi e trasformare in parole quello che vediamo.
Scrivere è un atto solitario, ci sei tu e il bianco della pagina o dello schermo del computer.
Ogni volta che raccontiamo una storia, raccontiamo noi stessi, anche se quello che scriviamo sembra non aver a che fare niente con noi, anche se inventiamo una trama di sana pianta, siamo noi a scegliere le parole, noi a soffermarci più su una cosa rispetto ad un'altra, e i nostri personaggi avranno tratti a noi familiari, perché è impossibile parlare di sentimenti che non abbiamo mai sperimentato di persona; la gioia, la tristezza, l'angoscia avranno l'aspetto delle nostre, e sarà difficile raccontarle, trovare parole per cose che non sapevamo potessero averne.
Scrivere ti guarisce, o, a volte, ti fa sprofondare in un baratro, nel pozzo nero che hai dentro, e tu non devi farti prendere dal panico, ma devi rendere i tuoi occhi delle torce con cui poter guardare il mondo che trovi, se non sai guardare non puoi scrivere, ti farai sopraffare dalle cose orribili che vedrai, cose che puoi neutralizzare solo se troverai le parole per raccontarle.
Scrivo da quando avevo sei anni, da bambina inventavo favole che poi la sera mi raccontavo per consolarmi perché avevo paura del buio e le parole facevano ritornare la luce. Ho continuato a farlo perché mi piaceva creare nuovi mondi, far vivere persone che non esistevano, luoghi che non avevo mai visto; man mano che crescevo trovavo nelle parole tante versioni di me, che, all'epoca, credevo inventate, ma che oggi so di aver avuto dentro.
Una volta ho sentito un'intervista fatta ad Amos Oz, lui diceva di aver cominciato a scrivere per dare una possibilità a qualcosa, a qualcuno che non l'aveva mai avuta. Ecco, si, la scrittura è un po' questo anche per me, lo è sempre stata, ma è anche partorirsi ogni volta, cercarsi in ogni parola, in ogni personaggio, è morire e rinascere continuamente, così come facciamo ogni giorno nella nostra vita, raccontarsi e raccontare agli altri che non siamo soli, che in tutte le storie che scriviamo possiamo guardarci come in uno specchio e vedere parti di noi che non credevamo di avere.
Ho sempre pensato che quando racconti una storia, questa comincia a vivere davvero, perché, se anche l'hai vissuta in prima persona, il tempo tende sempre a scalfirla, il ricordo man mano sbiadisce e cominci a chiederti se l'hai solo sognata; la parola può regalarle un nuovo respiro, un anelito di vita, può mostrartela per quello che realmente è stata, un viaggio, solitario, intimo e personale, e, all'improvviso, lì, capisci che tutti i personaggi che l'hanno popolato sono piccoli pezzetti di te che tu hai conservato dentro, a cui hai dato una linfa vitale nuova, una nuova possibilità di vita.
Quindi scrivete, se potete, rendetevi responsabili di quello che vedete e raccontatelo, viaggiate, amate, odiate, e quando credete di non esserne più capaci, traducete tutto in parola scritta, in qualcosa che resta, che conserva una forma precisa.
Fidatevi sarà tranquillizzante!

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